- 20 Novembre 1999
Lo avevano appena licenziato da capo del personale della Rai. Ci incontrammo a Bologna. Poco tempo dopo licenziarono me da direttore di “Cuore”. Una conoscenza nata sulla base di un comune destino di trombati. Ecco perché ci diamo del tu. Parliamo per tre ore all’ultimo piano del palazzone Rai di viale Mazzini, quello imbottito di amianto. Pier Luigi Celli, direttore generale della Rai, fa finta di essere vecchio, di amare la maturità. In realtà ha la grinta e la determinazione di un neonato ben nascosta dietro un mezzo sigaro che mastica in continuazione, un eloquio pacato e sereno, un’aria da filosofo prestato temporaneamente al crudele mondo dei manager. Ha avuto una giornata dura: da fuori arrivavano da giorni echi di governi in crisi; dentro si percepivano agitazione, distinguo, disimpegni . Celli ha chiamato tutto il top management Rai e ha fatto una scenata delle sue. Alla sera lo trovo ancora con la mente e il pensiero rivolti alla riunione chiarificatrice. “In Rai”, dice, “c’è sempre una certa tendenza a leggere in anticipo i segni di cambiamento. Allora ho convocato tutti e ho detto: fa leggermente schifo il modo in cui si cerca di riorientarsi prima ancora che siano cambiate le cose”.
Proprio così hai detto? “Fa leggermente schifo?”
Proprio così.
Ti sei arrabbiato molto?
No. Quelli che cambiano idea mi danno molto fastidio ma li capisco. Quando uno ha paura non c’è niente da fare. Il coraggio non è una virtù in Rai. Molti non lo hanno mai esercitato: sono vissuti in un periodo in cui quello che premiava era la fedeltà, quello che garantiva era l’affiliazione.
Un voltagabbana è un voltagabbana.
Il trasformismo è in diminuzione. Negli anni in cui i partiti contavano molto, per i dipendenti Rai era una questione di autodifesa cambiare quando la situazione politica cambiava.
Come ti accorgi dei movimenti di riorientamento?
Diventa tutto improvvisamente più lento e difficile. Le chiacchiere cominciano a vorticare tumultuosamente. “Sai, questi stanno per andarsene… defiliamoci un po’… la situazione è critica… ci sono meno certezze… vedrai che arrivano elezioni anticipate… ”. Eccetera eccetera eccetera.
Hai 57 anni. Quasi tutti i cinquantenni che abbiamo intervistato si dichiarano giovani e pimpanti.
A me invecchiare piace. Ho sempre coltivato, forse per vezzo, l’idea di sentirmi più vecchio.
Ormai tutto quanto è un inno alla gioventù.
Io ho vissuto la gioventù in maniera affannata, di corsa, facevo mille mestieri.
Quali mille mestieri?
La mia famiglia era molto dignitosa e molto povera, eravamo cinque fratelli maschi, mio padre muratore, mia madre casalinga. Ho fatto anche il posatore di cubetti di porfido sulle strade.
E gli studi?
Due anni di ingegneria, uno di filosofia, la laurea in sociologia a Trento. Sempre lavorando.
Che cosa ti piace nella vecchiaia?
Consente di dire e fare delle cose senza paura delle conseguenze.
Vecchiaia è libertà. Il filosofo Manlio Sgalambro sostiene che anche l’erotismo nel vecchio si sviluppa al massimo livello.
Ah si? Io probabilmente ho sviluppato altre qualità.
Parliamone.
L’ozio. Adoro i momenti in cui posso oziare in maniera totale. Ti alzi quando vuoi. Ti vesti come vuoi. Non fai programmi.
Dov’è il luogo in cui ozi?
Capalbio.
Fai parte della “gauche capalbienne” di cui mi ha parlato Carlo Rossella?
Io ci sono andato nel 1972. Abito in una cascina che mi ha affittato un contadino.
Non frequenti sindaci e intellettuali?
Frequento uno degli ex laureati in sociologia a Trento, Michele Brambilla, figlio della sorella di Leopoldo Pirelli.
Allora frequenti ricchi industriali milanesi.
Michele Brambilla fa il contadino da 15 anni, scassa la terra, pota gli olivi, zappa l’orto e cura il pollaio.
Riassumo il tuo ozio: ti alzi tardi, ti vesti in maniera ignobile, corri a Capalbio.
Ma prima passo in libreria e faccio il pieno di libri. Mio figlio ha 13 anni e come hobby ha la pesca. Io lo accompagno e leggo vicino a lui per ore.
E poi torni in villa.
Cascina. Che divido con Irio, il contadino di 73 anni che me l’affitta. Lui vive solo e aspetta noi perché deve sfottermi per la tv.
Per che cosa ti sfotte di più?
Per le donne. Dice che quelle di Canale 5 sono molto più belle di quelle della Rai. Facciamo lunghissime chiacchierate, mi racconta le storie che ha vissuto. La cosa più terribile in una azienda è che nessuno ha delle storie da raccontare.
Molti dicono che si stava meglio ai tempi di Bernabei. Gianni Minà, per esempio, che si è lamentato perché non lo fate lavorare. Con la sinistra in Rai c’è meno libertà, mi ha detto.
L’azienda fa le sue scelte, questo mi serve e questo non mi serve. In questo momento la Rai dice che Minà non gli serve.
E Bernabei?
Gli uomini formati ai tempi di Bernabei erano di grandissima qualità. Lui assumeva democristiani ma li prendeva bravi.
Assumeva anche Enzo Biagi, Furio Colombo, Umberto Eco.
Se erano bravi lui non guardava al colore politico. C’era una maggioranza fidata e una minoranza che dava lustro. Ma tutti erano bravi.
Tu puoi farlo?
Se dicessi che ho sempre e solo deciso io, direi una puttanata. Però ho sempre cercato di farmi la mia idea, di decidere e di non stare a sentire altri. Grossissime difficoltà non ci sono. Molte pressioni, questo si.
Nel ‘68 che cosa facevi?
La vendemmia nel Bordeaux a Vibourne con un gruppo di amici.
E la contestazione?
L’ho vissuta ai margini, senza far parte di nessun movimento. Ero un progressista ma non un estremista.
Mio fratello Giorgio invece era di Lotta Continua. Come il mio amico Remo Marcone, un personaggio straordinario, insegnante di scuola e suonatore di organetto. Bellissima persona rimasta esattamente com’era. Non si è piegato né a destra né a sinistra. Non ha fatto carriera e non ha mai voluto farla.
Qual è il tuo network? Tatò? De Benedetti? De Matté?
A Bolzano mi è rimasto qualche amico, come Giandomenico Sbop oppure Beppino Sfondrini, un signore che avrà 75 anni adesso e che fa ancora l’assessore comunale. E’ uno dei cosiddetti socialisti anomali, i socialisti dal volto umano, per bene. Gestiva un cinema a Bolzano e noi riuscivamo a fargli dare film che ci piacevano a noi. Così lui non faceva una lira perché erano film per niente popolari. A vederli eravamo tre o quattro amici oltrettutto non paganti. Altro amico è Renzo Foi, sessantottino romano: siamo stati in tanti posti insieme, tre anni in Angola dove ero capoprogetto per l’Eni.
Sei stato a Trento, sociologia, dove sono nate le Brigate Rosse. E in Angola dove sono scappati molti brigatisti. Dobbiamo cominciare a sospettare qualcosa?
Io li ho conosciuti alcuni di questi brigatisti che erano giù. In particolare Sergio Adamoli, il medico di Genova che si era rifugiato in Angola. Ho passato nottate intere con Adamoli. Era un eccellente chirurgo, uno che si sacrificava, non conosceva orari all’ospedale militare. C’era anche Achille Lollo, implicato nell’incendio a Roma dove morì carbonizzata la famiglia Mattei. Faceva il giornalista nel giornale dell’Angola. Si era sposato con una brasiliana e aveva figli piccoli. Il latte non si trovava e glielo davamo noi.
Hai parlato dei tuoi amici. Ma il tuo network?
Sono molto amico di Severino Salvemini, della Bocconi. Una persona molto intelligente, ben introdotta nel mondo dell’organizzazione dello spettacolo e del cinema. Sono rimasto molto amico di De Matté, è stato lui che mi ha voluto in Rai come capo del personale, e di Gianni Locatelli. E anche di Elvira Sellerio, che è la mia editrice. Si è molto arrabbiata con me per la questione Minoli.
Perché l’hai cacciato?
Io non l’ho cacciato. Minoli è uno dei professionisti più preparati della Rai. Noi abbiamo detto da subito che questa azienda andava governata con tutti, che tutti dovevano procedere insieme. Lui voleva mettere le sue condizioni, ed è difficile convivere con uno così.
Fammi capire meglio.
O me o gli altri. E l’azienda ha scelto gli altri.
Che cosa voleva Minoli?
Voleva la direzione di una divisione. Almeno. L’ideale sarebbe stato vicedirettore generale.
A Mediaset sono molto più elastici e mobili.
Nelle aziende private è più facile. Quando il padrone decide non ci sono santi.
I dirigenti di Mediaset non hanno la preoccupazione di immagine che hanno i dirigenti della Rai.
In Rai i gradi e il ruolo uno se li portava a vita, anche quando perdeva il potere reale. Come in tutto il settore pubblico. Io mi ricordo quando con Tatò all’Enel si decise di abolire tutti i titoli. Direttori centrali, vicedirettori, direttori di compartimento. Un venerdì sera, a uffici chiusi, cancellammo tutti i titoli.
Forse era meglio se fossi andato come al solito a Capalbio a oziare.
Il lunedi mattino ci furono scene strazianti. Gente che non si riconosceva più, che aveva perso la dignità. E chi lo dice alla moglie, e chi lo dice all’amante?
“Amava il silenzio più delle parole, faceva di mestiere il tagliagole”. E’ il verso autobiografico di un tuo epigramma. Non hai fatto altro che licenziare nella tua vita?
Mitologia. All’Olivetti ho mandato via 9 mila persone in nove mesi. Ma ne ho anche assunte duemila all’Omnitel. Ho licenziato tanto e assunto tanto.
Mai avuto problemi di coscienza?
Ci sono vari modi per licenziare le persone. Le puoi mandare via che si suicidano e io ne conosco di casi, oppure che diventano matti e finiscono in manicomio. Ma puoi anche dare delle condizioni di uscita che sono buone prospettive. Io non ho mai avuto incidenti.
Che cosa prova un tagliagole quando è all’opera?
Quando entri in un’azienda devi sposarla. Il bene dell’azienda è anche il bene di quelli cui paga lo stipendio. Molto spesso devi potare. E’ una cosa difficilissima, per uomini di coraggio. La maggior parte delle persone che hanno fama di tagliatori di teste, non hanno mai licenziato nessuno direttamente. Perché in fondo sono dei pavidi. Io ho sempre preferito farlo di persona. E’ più corretto. Poi magari non ci dormo la note, sto male. Alcune volte ho vomitato.
E quando la Moratti licenziò te?
Lo seppi dall’Ansa. Quando la Moratti arrivò, io mi presentai e dissi: capisco che si cambia tutto. E’ inevitabile. No, no, per carità lei resta al suo posto, disse lei.
E poi?
Credo che la Moratti abbia giudicato eccessiva la mia autonomia. Ci fu un consiglio di amministrazione il 3 agosto mattina in cui fu insediato il nuovo direttore generale, Billia, e che mi licenziò. Io stavo mangiando al bar Vanni, qua sotto, insieme a Conchita di Gregorio una giornalista della “Repubblica”. Mi chiamò la mia segretaria in lacrime dicendomi che io non ero più il direttore del personale. Tornai in ufficio. Fu una scena bellissima, tutti mi evitavano. L’Ansa aveva diffuso la notizia che ero stato licenziato. Billia era molto imbarazzato: io non c’entro niente, mi disse, sono appena arrivato. Ogni tanto veniva qualcuno a farmi le condoglianze. Alle tre e mezza arrivò un fax di Carlo De Benedetti che diceva: “Ho saputo. Questo fax è un contratto. Firmi e venga a fare il direttore del personale all’Omnitel”.
E adesso racconta quando sei stato assunto.
Ogni tanto si spargeva la voce: Celli torna. Quando nominarono presidente Siciliano, uno dei candidati a fare il direttore generale ero effettivamente io. Poi fecero direttore generale Iseppi. Ero all’Olivetti, luglio 1996. In seguito andai all’Enel di Tatò. Un anno e mezzo bellissimo. Poi ricominciarono le voci che andavo alla Rai. Mi telefonarono chiedendomi la disponibilità.
Chi chiama per chiedere la disponibilità?
La richiesta l’ho avuta da Claudio Velardi e da Franco Marini. Marini non lo conoscevo. Velardi lo avevo conosciuto ad un cena a casa di Sasà Toriello, della Finmeccanica, durante la quale avevo litigato ferocemente proprio con Velardi, proprio sulla Rai, sostenendo che stavano facendone carne di porco.
Hai dato la disponibilità?
Risposi che stavo bene dove stavo. Tornai in Enel e andai a parlare con Tatò. Che si infuriò. “Non puoi andare in Rai: è una cazzata!” Chiamai Veleardi e dissi: “Ho parlato con Tatò. Lasciate perdere. Io sto bene qui, e Tatò è incazzato. Poi guadagno bene. Vengo in Rai a guadagnar di meno?
Guadagnar di meno?
Guarda. Questo è l’”Espresso”: c’è lo stipendio di quando ero all’Enel.
E’ vero che quando sei andato via dall’Enel Chicco Testa ha brindato?
Non ho mai avuto grandi rapporti con Chicco Testa.
Forse per questo ha brindato.
Non lo so, non credo, mi sembrerebbe strano, poi sai come è fatta la gente. Io non ero certamente uno mondano.
Che c’entra?
Tutto è più facile quando frequenti i salotti.
Già, è vero. Lo chiamano Chicco Festa. Torniamo al tuo stipendio.
Guadagnavo 574 milioni all’anno.
Ma adesso guadagni di più.
No, praticamente la stessa cifra. Se fossi rimasto all’Enel a quest’ora avrei raddoppiato lo stipendio. L’hanno raddoppiato a Tatò e a Chicco Testa. Forse meritavo di averlo raddoppiato anche io se l’hanno raddoppiato a Chicco Testa.
Torniamo alla tua nomina. Dici di no.
Dico di no e succede un putiferio. Tutti a dirmi: guarda che è D’Alema che ti vuole. Io D’Alema non l’avevo mai visto, mai. Ho detto a Tatò, intervieni tu. Chiamalo. Digli che io sto bene qua. Così mi dai una mano.
E Tatò?
Disse: sono cose che devi fare da solo. Arrivò la telefonata di D’Alema che mi chiamava dall’aula di Montecitorio: “Siamo tutti d’accordo, io e Marini. Lei è essenziale. Altrimenti dobbiamo cambiare tutto il consiglio di amministrazione”.
E tu?
Io gli dissi che Tatò era incazzato nero.
E D’Alema?
Disse: a Tatò ci penso io. Lei accetti altrimenti salta tutto.
E tu?
Dissi di si.
E lui parlò con Tatò?
Non lo so. So solo che Tatò mi voleva trattenere il mancato preavviso.
Che cosa guardavi in Tv a quei tempi?
Il tg, qualche film e Pinocchio di Gad Lerner.
Tu vedi il Tg4?
Non volontariamente. Ogni tanto compare in uno dei televisori della parete dietro a te. Fede mi affascina perché è difficile essere cosi al di là del bene e del male.
Come Wanna Marchi?
Si. Mi chiedo: come è possibile? Eppure è possibile. Ci sono delle felicità inspiegabili. Non riesco a spiegarmi come faccia ad essere felice.
Mentana sostiene che il Tg5 è più bello del Tg1.
Mentana è molto bravo. Fa anche un buon Tg. Ma ha la preoccupante tendenza a sovradimensionarsi. Io sarei disposto a dire che lui è bravo con maggiore facilità se la smettese di far di tutto per far vedere che lui è bravo.
Gli avete offerto più di una volta la direzione del Tg1.
Non lo so.
O non mi vuoi rispondere?
Mi hai chiesto se gli è stata offerta più di una volta la direzione del Tg1?
Si.
E io ti rispondo: non lo so.
E io ti chiedo: come mai non lo sai?
Io credo che lui prima o poi dovrà fare altre cose.
Lui dice: uno che ha creato il Tg5 perché mai dovrebbe andare al Tg1?
Lo capisco. Sono d’accordo con lui.
Lasciamolo lì.
Lasciamolo lì.
Quando scoccano le otto e partono il Tg1 e il Tg5, che cosa fai?
Guardo il Tg1.
Perché ti piace di più?
Perché sono un sentimentale.
Se ti chiamasse Berlusconi?
Non escludo mai niente.
Perché hai fatto solo promozioni e assunzioni di sinistra?
Ho sistemato tutti quelli che ho trovato sospesi, cioè con stipendio pagato ma senza ruolo. La maggior parte di questi non erano ovviamente di sinistra perché erano stati lasciati lì appesi dal precedente consiglio di amministrazione che non era certo di destra.
E le assunzioni?
Per le prime linee ho deciso io cercando persone capaci. Per le seconde linee ho portato al Cda le proposte dei direttori delle prime linee. Per la prima volta in questa azienda il capo ha potuto proporre le sue assunzioni.
Eccezioni?
Pochissime. Due o tre in tutto, di cui non posso gloriarmi. Ma insomma: sono due o tre su centinaia.
Due o tre perché?
Ragioni politiche. Detto chiaramente.
Detto chiaramente: chi?
Se li dico non vivo più.
Quante volte hai visto D’Alema?
Una volta a cena a casa di una amica di mia moglie. Ci davamo del lei. La seconda volta sono andato da lui un mese fa. Aveva ricevuto tre volte la Moratti, due volte Murdoch, non so quante volte Confalonieri. Mi sono detto: forse è il caso che incontri anche noi.
Hai detto una volta: “Letizia Moratti è diventata simpatica invecchiando”. Che razza di complimenti fai a una signora? Oppure la consideri un manager?
Letizia Moratti è più proprietaria che manager.
Quindi è una signora.
Si, è una signora.
Quindi non le si può dire che invecchia.
No, non è carino.
Avresti potuto dire semplicemente che diventa sempre più simpatica.
Non si può dire nemmeno questo. Si può dire che col passare degli anni acquisisce una sua flessibilità.
Dovresti fare il diplomatico non il direttore della Rai.
Ho imparato eh?
Dov’è finita la tua grinta?
Ce l’ho ancora. Avresti dovuto vedermi oggi come picchiavo duro.
Chi sono i tuoi nemici? Storace?
Ho avuto scontri ma anche momenti normali.
Ti difese quando ti cacciarono.
Avevo sdoganato la Cisnal.
Giulietti che cosa disse quando sdoganasti la Cisnal?
Giulietti è uomo che sa vivere.
Quali nemici allora?
Maurizio Carlotti, Mediaset. Mi fa imbufalire. Ti guarda come se ti avesse già destinato in una qualche Siberia.
Che cosa ti ha fatto?
Continue scorrettezze nelle dichiarazioni ai giornali. Continua a sindacare il nostro operato trattandoci da parassiti.
Per chi voti?
Voglio evitare di crearmi dei problemi. Questa è un’azienda che tende a giudicarti non per quello che fai ma per chi voti.
Se fossi veramente libero, ma veramente libero, che cosa faresti in Rai?
La riorganizzazione dell’informazione. Oggi i Tg sono le sette città di Troia, una concrezione di strati sedimentati nel tempo. Un insieme di rigidità, di stati maggiori, di palizzate, di rancori.
Quanto durerai?
Spero molto. Temo poco.
Perché temi poco?
Perché non dipende né da me né dal consiglio di amministrazione.
Dipende dai risultati?
Hai voglia di scherzare?
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