- 2 Novembre 1999
Enrico Mentana, direttore del Tg5, ex craxiano, definito da tanti, chissà perché, giovane rampante del giornalismo italiano. Sapevo delle sue ottime frequentazioni con i membri dell’Old Boys Net teorizzato da Alberto Ronchey. E se avesse negato l’esistenza dell’Old Boys Net, gli avrei chiesto del Club di Berlino. Quando gli ho telefonato per chiedergli l’intervista ha risposto: no. Dovevo aspettarmelo. Un lungo, tenace e meticoloso lavoro ai fianchi durato settimane. Poi ha ceduto.
Enrico, perché non volevi accettare questa intervista?
Questa è una serie fortunata e interessante…
Inizio prudente. Grazie, comunque anche a nome del direttore.
Leggendo le interviste mi sono detto: “Non vorrei essere al posto degli intervistati”.
E perché mai?
Mi è sembrato un grande atto di pavoneggiamento collettivo. Eccoci qua. Ecco quelli che hanno occupato la cabina di regia.
Tutto questo era nato…
Era nato da Ronchey. Ma sarebbe nato se da bambino Giuliano Ferrara non fosse stato sulle ginocchia di Alberto Ronchey, corrispondente da Mosca, amico di suo padre? Se le vite di Ronchey e di Paolo Mieli non si fossero intrecciate nella fortuna editoriale di entrambi, prima alla Stampa e poi al Gruppo Rizzoli?
Ronchey parla di una piccola lobby che si autoprotegge: Galli Della Loggia, Rinaldi, Briglia, Sabbatucci, Liguori, Ferrara, Mieli.
Se non fosse sullo stesso cortile su cui affaccia la visuale di Ronchey il problema non si porrebbe nemmeno. E’ nell’ordine delle probabilità che a scuola le persone che emergono si conoscano e poi facciano carriere parallele. Erano amici e avevano in comune una passione.
La passione del potere.
Certo. Ma vogliamo dire una cosa? Le élite studentesche che si sono riversate in politica venivano tutte dal ’68. Chi aveva studiato il sistema per abbatterlo oggi si limita a raccontarlo, come fanno i giornalisti.
Agli ingenui come me fa ancora impressione ricordare gente come Cusani, col megafono in mano, predicare Marx e poi rivederlo alla Montedison, a fianco di Gardini, distribuire mazzette ai politici. E’ proprio fastidiosa questa libidine di leadership comunque e dovunque.
Potremmo fare lo stesso discorso, non ti scandalizzare, dicendo che quelli nel ‘34 erano tutti fascisti, poi finito il fascismo sono diventati altra cosa. Il ‘68 è stato bagno comune nel bacino della sinistra. Mio compagno di scuola al Manzoni era il giudice Guido Salvini. Era anarchico e poi è passato alla Quarta Internazionale. Adesso fa il giudice.
Pier Luigi Battista mi ha detto: se passo da destra a sinistra ti va bene e se passo da sinistra a destra sono un traditore.
Quello che non funziona è la pretesa di essere sempre e comunque protagonisti. Si può silenziosamente cambiare opinione. Il problema è di volere spiegare sempre agli altri come va il mondo, da sinistra prima, da destra poi. Io già non tollero i giornalisti con l’elmetto. Figurati quelli che cambiano continuamente elmetto.
Silvia Ronchey sosteneva che i sessantottini hanno occupato tutto quello c’era da occupare.
Nel nostro mestiere si. Gli imprenditori, magari illuminatissimi, che però nel ‘75 avevano già le valige pronte per paura dei comunisti, hanno detto: “Ci conviene, anche per ragioni diffusionali, avere nuovi direttori e nuovi giornalisti brillanti, giovani, usciti dalle esperienze un po’ paracule della sinistra, che diano fastidio anche al Pci, che abbiano il fascino della faziosità e del potere. Perché insistere con i Ronchey? Prendiamo i Mieli, i Mauro, i Lerner”.
Come le aziende che assumevano come capi del personale i sindacalisti?
E’ affascinante dirlo perché è un’offesa a tutte e quattro le categorie interessate. Come sberleffo verrebbe bene. Ma io non penso al giornalista che vende l’anima. Non credo che Mieli sia stato un agnelliano. Credo più al gusto di padroneggiare lo strumento, il gioco giornalistico. Non all’attaccar l’asino dove vuole il padrone.
Tu ti sei trovato la strada chiusa dalla generazione precedente?
E’ una palla. In questa professione ci sono più posti che persone in grado di occuparli. Oggi i più difficili da trovarsi sono i Merlo, i Gramellini, i Buttafuoco: quelli fuori dal nuovo coro.
Emilio Fede racconta che tu sei stato raccomandato da Martelli. A proposito che fine ha fatto la querela?
Non si può querelare il direttore di un giornale del tuo stesso gruppo editoriale. Fede va preso così. Se pensi a quale generazione appartiene.
Neghi la raccomandazione di Martelli o l’assunzione di Fede?
Mi secca che si dica che sono stato assunto da Fede. Non poteva assumere nessuno. Faceva il conduttore del Tg1. Io lo capisco. E’ molto screditato perché fa un giornalismo di parte. E gode che tutti vengano un po’ sfregiati.
A lui piace anche autosfregiarsi. E della raccomandazione di Martelli che mi dici?
So benissimo che ero raccomandato dai socialisti. Ma nei primi sette anni ho fatto gli esteri, poi ho fatto il conduttore. Non sono uno di quei giornalisti che stazionano a Montecitorio.
Tipo Pionati…
Non ho fatto nomi. Soffro molto del fatto che la scelta di campo socialista sia considerata oggi una specie di iscrizione a una loggia di malfattori. Io ho smesso da molto tempo di votare. Non voto da cinque anni.
L’ultimo voto?
Nel ‘92 ai socialisti.
C’è chi dice che sei stato assunto da Martelli e rimosso da Craxi. C’è chi dice che sei stato assunto da Craxi e rimosso da Martelli.
Sono stato rimosso da vicedirettore del Tg2 per colpa mia.
Quale colpa?
Non sapevo e non volevo fare quella roba lì.
Quale roba lì?
Un giornale in cui bisognava sempre parlare dei socialisti come al Tg1 si parlava sempre dei democristiani e al Tg3 dei comunisti.
Insomma ti ha rimosso Craxi. Ma chi ti ha assunto?
Chi faceva queste cose era Martelli.
Nei salotti romani si vantava di fare gli organigranni dei giornali.
Vero. Me li ricordo benissimo, lui e Paolo Flores d’Arcais, che si vantavano pubblicamente di essere i grandi manovratori della direzione Mario Pirani dell’”Europeo”.
Così sei arrivato al Tg1.
E non ho mai intervistato Craxi. Mai.
E pubblicità per Craxi?
Mai. La cosa più pacchiana. Ha sbagliato moltissimo chi ha fatto la pubblicità per Craxi…
Parli della Foschini?
C’è gente che ha fatto peggio, andando la mattina a fare la rassegna stampa a Botteghe Oscure. Errori.
Come quello del tuo amico Sposini quando è andato alla Convention dell’Ulivo?
Sbagliano anche gli amici. Lamberto sa che quella fu una sua debolezza, anche se non lo ammetterà mai.
Quello scherzo che faceste a Sposini, a “Scherzi a parte”, era vero?
Gli avevo fatto credere che doveva andare ad intervistare Garofano, il manager della Montedison, latitante. Doveva andare con un barchino su una nave che stava al largo. E il barchino affondò.
Che razza di scherzo.
Va detto che Lamberto ha il brevetto di bagnino.
Poi hai fatto anche uno scherzo a Carlo Rossella.
Lui, nuovo direttore di “Verissimo”, faceva ogni giorno delle richieste, com’è nel suo stile, su come doveva essere la segretaria, il suo ufficio, il suo autista. Io gli ho creato una situazione tutta finta. L’autista finto che si fermava a far la pipì e poi voleva dargli la mano. La segretaria volutamente bruttissima, lui l’aveva chiesta plurilingue, che sapeva dire soltanto “Gud morning”. Le telefonate, sul suo diretto, di gente che voleva partecipare a “Ok il prezzo è giusto”.
E lui?
Si è comportato da vero signore.
Raccontami del Club di Berlino.
Io, Paolo Mieli, Carlo Rossella, Luca Di Montezemolo, Diego Della Valle, Ezio Mauro. Andammo tutti a Berlino per una mostra sponsorizzata dalla Ferrari. Ci divertimmo moltissimo, si era creato un ambiente un po’ magico da straniazione, da libera uscita.
E lo scherzo dell’ambasciatore?
E’ un episodio che non dimenticherò mai. Era una cena importante con l’ambasciatore Vattani. Atmosfera particolare, invitati eleganti, belle donne, brindisi. Toccava a Montezemolo ringraziare. A braccio disse cose serissime, la ruggente storia di Maranello, l’esposizione bellissima in quella che sarà la capitale europea del Duemila, l’opportunità di confrontarsi. Infine “l’occasione di incontri ravvicinati” e guardò con insistenza il tavolo dietro dove Carlo Rossella stava corteggiando una signora. Però non resse il ruolo e cominciò a ridere. Dopo aver riso per quaranta secondi davanti a tutti, fu costretto a interrompere il discorso. Nessuno capiva che cosa stesse succedendo. Paolo Mieli ed Enzo Mauro ridevano come pazzi, piegati in due e completamente congestionati. Una situazione incredibile. Fu l’occasione del battesimo di una nostra amicizia basata sul divertimento. La mattina dopo facemmo trovare una finta lettera dell’ambasciatore per Mieli: “Mi rammarico e mi stupisce che una persona del suo ruolo si sia unita a una indegna gazzarra”. Paolo un po’ sospettò. Ma telefonò all’ambasciatore e con il suo fare diplomatico cercò di limitare il potenziale danno, dicendo e non dicendo, alludendo, ammiccando. Diceva frasi che avrebbero dovuto lenire il disappunto dell’ambasciatore ma che potevano essere gradite anche se fosse stato uno scherzo.
Tu nasci in una famiglia di sinistra. Tuo padre lavorava all’”Unità” ed era comunista.
Nel ’56, quando io avevo un anno, lasciò l’Unità. In seguito è tornato a votare Pci.
Tu invece?
Mi sono sempre considerato un libertario.
E nel ’68?
Facevo la quarta ginnasio. Tutti eravamo nel vento della contestazione. Io andai col Movimento Socialista Libertario, un piccolo gruppo anarchico, con sede in via Scaldasole. C’era con noi anche il giudice Guido Salvini. C’erano anche persone che poi hanno fatto la scelta del terrorismo. Tanto è vero che Ferrandi, un compagno di lotte, lotte molto larvate, divenne uno di quelli che spararono quando fu ucciso un agente a via De Amicis. E fu proprio il giudice Salvini a raccogliere la sua confessione.
Giancarlo Perna ha scritto di te…
Non l’ho letto.
Non ci credo nemmeno se lo giuri su Berlusconi.
Non l’ho letto perché penso che Perna sia un mascalzone.
Dice che sei un “prepotente sesquipedale”.
Dirigere un telegiornale vuol dire avere capacità decisionali.
Come ti spieghi l’articolo di Perna?
Glielo hanno commissionato.
Ma chi lo ha commissionato? Un editore che si presume essere amico tuo?
Non ho nulla in comune col “Giornale”. Conosco Paolo Berlusconi che è una persona molto simpatica e adorabile. Ma il direttore del “Giornale” era Maurizio Belpietro. Avrà avuto le sue buone ragioni ma non me le ha spiegate e con me ha chiuso.
Parliamo un po’ di Craxi?
Conosciamo i difetti di Craxi. Non era certo Walter Chiari come simpatia.
No.
Fosse stato più simpatico gli avrebbe giovato.
Ma non l’hanno condannato perché è antipatico.
Il finale di partita di Craxi si riverbera su tutto il resto della partita. Ma le idee del cambiamento socialista degli anni Ottanta sono le idee che scimmiottano oggi i postcomunisti, magari un po’ più a destra.
Craxi quando l’hai conosciuto?
Fammi dire che io non sono mai entrato al Raphael nella mia vita. Non ho fatto quella roba da famiglio.
Che impressione ti fa pensarlo lì, ad Hammamet, malato?
Craxi è uno problema irrisolto. Con la sua statura di leader non avrebbe dovuto pagare come se avesse messo i soldi in tasca. Secondo me è un’errore di questa repubblica avere creato le condizioni per un Craxi latitante-esule.
Anche tu usi questo strano aggettivo, esule?
Tutti sanno dove sta, sta in un Paese completamente prono rispetto all’Italia. Nessuno ha mai voluto andarlo a prendere. Con ciò riconoscendo la situazione abnorme.
Perché nessuno lo va a prendere?
Perché politicamente è il morto che rischia di trascinarsi dietro tutti i vivi. Craxi è forse quello che ha sbagliato di più e che ha peccato di più. Ammettiamolo pure. Però è evidente che il libro manca di troppe pagine.
Forse per questo D’Alema dice che Craxi può tornare?
E mentre lo dice incrocia le dita. Fa comodo a molti che lui resti li. Anche a D’Alema.
D’Ambrosio ha detto che Craxi aveva ragione.
D’Ambrosio è il giudice che stabili che Pinelli non fu buttato giù per ordine di Calabresi ma che contemporaneamente non si è suicidato. Con ciò dimostrando che la storia ha bisogno di voltare pagina anche a dispetto della logica. Anche per Craxi bisogna cercare un impossibile, improbo, difficile punto di equilibrio.
Si debbono giustificare quelli che facendo finta di prendere i soldi per il partito si arricchivano?
Quelli sono solo ladri. E’ chiaro che per come era fatto il Psi, senza controlli e senza organizzazione, ce ne erano più che altrove.
Con Giulio Borrelli, direttore del Tg1, hai avuto epici scambi di opinioni.
Ogni direttore ha diritto di rapportarsi alla concorrenza come gli pare. C’è chi lo fa con stile e chi no.
Lasciami indovinare: Borrelli no.
Borrelli, quando è arrivato alla direzione, ha voluto fortificarsi in questo modo.
Non è facile dirigere il Tg1.
Il direttore del Tg 1 sa che c’era un altro prima di lui e che dopo di lui ce ne saranno altri. Deve fare bene la sua stagione, ha dei problemi che sono ben diversi dai miei: Celli, Zaccaria, Storace, D’Alema.
Tu hai Berlusconi.
Che non ha certo la possibilità di chiamarmi e dirmi che cosa devo fare.
Perché altrimenti?
Ti assicuro, ci metterei poco a diventare molto più ricco.
C’è stata questa offerta del Tg1?
Si, è successo in passato.
Tanti soldi?
I soldi non sono importanti.
Dai, non fare così. I soldi sono importanti.
Non si fa una scelta del genere per i soldi.
Tu sostieni che con Berlusconi si è liberi.
Non sono nato sulla Luna. So benissimo che la il Tg5 è libero anche perché c’è qualcun altro che fa telegiornali di tipo diverso.
Traduco: il Tg5 è libero perché ci sono Fede e Liguori.
So anche che quando attaccano Mediaset, i miei dicono: “Noi non siamo di parte. Noi facciamo il Tg5”.
La foglia di fico.
Io faccio un giornale libero, indipendente, curioso, interessante. Se qualcuno poi se ne vanta che debbo dire? Che non è vero?
La tua libertà ti viene riconosciuta. Ma nelle questioni fondamentali sei allineato e coperto.
L’indipendenza è una cosa seria, ed è soprattutto equidistanza politica. Ma non concepisco che si possa essere neutrali rispetto agli interessi della propria azienda.
Che differenza c’è fra te e Liguori e Fede?
Liguori è passionale, è uno che crede alla funzione politica del giornalista. Fede è un vecchio routinier, gli piace recitare questo ruolo, è autoironico, con un pizzico di macchiettismo. Entrambi preferiscono un giornalismo televisivo schierato. Ma anche il Tg3 era schierato. Perché il Tg3 può e Fede no?
Hai mai litigato con Berlusconi?
Si. La difesa di questa mia autonomia non è stata sempre indolore. Quando lui è sceso in campo, tenere la barra diritta del Tg5, né con lui né contro di lui, non è stato facilissimo.
E Berlusconi ha mai pensato: questo rompipalle di Mentana io lo caccio?
Sicuramente. C’è un editore che non ha mai pensato una cosa del genere di un suo direttore?
Non me ne parlare. Di me lo hanno pensato tutti.
E’ legittimo.
Che cosa ti ha salvato?
Il successo mio e l’intelligenza sua. Berlusconi valuta bene le conseguenze delle sue mosse.
Quando ti è capitato di superare il Tg1 che cosa hai provato?
Una sensazione di onnipotenza. Le prime volte.
Poi?
Poi è diventato una cosa rituale. Non c’è nessun direttore del Tg1 che possa dire di non aver subito almeno una volta questo sorpasso. Alla sera, lo so è una debolezza, quando vedo l’ultima edizione dell’una, mi capita di pensare: questa cosa l’ho creata tutta io.
Il politico che ti rompe di più?
Non è più la stagione. Oggi i politici hanno cambiato metodo: scelgono l’intervistatore più accomodante, il Tg di riferimento, vogliono giocare in casa.
Continuano a non capire nulla di televisione.
Berlusconi preferisce andare da Fede. D’Alema al Tg1.
Berlusconi manda ai Tg cassette autoprodotte. E Fede gliele manda in onda così, paro paro. Nemmeno lui capisce che cosa sia la televisione?
In questo caso sembra proprio di no. I politici preferiscono bypassare la mediazione giornalistica.
Non capiscono la differenza fra un telegiornale e una televendita.
La capiscono. E preferiscono la televendita.
Per Borrelli i migliori conduttori sono Sposini, Gruber e Busi.
I conduttori non sono così importanti. Quando Borrelli era conduttore del Tg1 non lo conosceva nessuno.
Però mi sembri eccessivo quando dici che un conduttore non conta.
Hai mai sentito dire che un conduttore fa più ascolti di un altro?
Di Lilli Gruber si dice.
Vuoi che ti dica la verità? Allora ti dico una cosa e tu giura che non la scriverai mai.
Lo giuro.
La Gruber fa meno ascolti degli altri.
Mi smonti una leggenda.
Qualcuno sa che fine ha fatto oggi Carmen La Sorella?
Tu ti senti giovane, vecchio, maturo?
Mi sento un ragazzo, nonostante stia per compiere 45 anni. Io gioco con la Playstation.
Coi figli.
No, no, gioco da solo con la Playstation.
E quando vedi un vecchio che impressione ti fa?
Io i vecchi li rispetto. Sono due ore che parlo con un vecchio che mi sta intervistando.
Non capisco la battuta ma sento che ti costerà cara. Quando maturerai?
Quando diventerò vecchio sarai uno dei primi a saperlo.
Te ne accorgerai?
Sarò vecchio quando diventerò rincoglionito perché fazioso.
Sgalambro ha detto in un’intervista che la vecchiaia è la vera età dell’erotismo.
Sarà interessante quando lo dirà un giovane. Finché lo dice un vecchio è un discorso di protagonismo.
Hai amici?
L’amicizia fondata sulla aggiunta progressiva di telefonate e di incontri non mi piace. Pappa e ciccia. Pappacciccismo.
Tu neghi di fare parte dell’Old Boys Net.
Più di così. Lo nego sul tuo settimanale che viene venduto con un quotidiano che fa parte di un gruppo editoriale che ha per direttore generale uno dei supposti capi dell’Old Boys Net. Negazione a prova di bomba.
Intervista splendida, caro Claudio. Matteo.
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