- 1 Novembre 2000
La Grande Ladra del giornalismo italiano. Gaudente e spendacciona.
Spudorata falsificatrice di note spese. Ispettori e direttori
amministrativi facevano la spola tra Italia e Usa al solo scopo di fare le
pulci ai conti faraonici di Maria Giovanna Maglie, corrispondente da New
York del Tg2. I giornali scrivevano articoli dai titoli sobri («A New York
va in onda la truffa»), sparavano cifre sui costi della gestione
dell’ufficio americano della Maglie (70 miliardi). Finché articolo dopo
articolo, Pierluigi Celli, allora direttore del personale, la convocò e le
sventolò sotto il naso una lettera di licenziamento. Rapido consulto con
l’avvocato e per la Maglie si apriva la via delle dimissioni. Nessuno
pianse sulla sua cacciata. Non l’aiutava la fama di craxiana spinta
(«ambasciatrice di Craxi a New York») in un momento in cui Craxi contava
meno del due di danari quando briscola è coppe. Approdata al Garofano dopo
un passato di Falce e Martello nella redazione dell’Unità: quindi anche
traditrice.
La Grande Ladra Voltagabbana, alla quale gli ex compagni
socialisti, riconvertiti al nuovo corso postcomunista, avevano voltato le
spalle, se ne tornò a New York piena di rancori. Un giudice disse che non
c’era nulla di irregolare nei suoi conti. Ma la cosa non faceva più
notizia. Lei chiese di tornare alla Rai. Ma la Rai disse di no. Lei querelò
i giornalisti che l’avevano trattata da truffatrice. E i giornalisti furono
assolti. Ora arriva la svolta inaspettata. Pierluigi Celli, oggi direttore
generale della Rai, fa capire nel suo ultimo libro Passioni fuori corso che
se fosse stato per lui la Maglie sarebbe ancora in Rai. «Astraendo dai casi
singoli si compie più di un torto pur restando quasi sempre dalla parte
della ragione», scrive. E parla anche di decisioni prese a «seconda del
momento, dei referenti, del clima politico e sociale, della forza
dell’interessato». Come dire che alla Maglie fu riservato un trattamento
speciale. E poi, intervistato per la Stampa da Pierluigi Battista, ammette
di essere pentito di quella decisione perché «non tutto può essere
sacrificato sull’altare delle ricevute fiscali». Il boia si pente e
restituisce l’onore alla vittima. Indispensabile a questo punto andare a
parlare con lei, indagare sul suo passato e sulla sua gavetta, sulla
traversata da Marx a Berlusconi. L’intervista inizia nella lussuosa Tower
Suite del Barbizon Hotel di New York, due milioni di lire a notte (ma siamo
ospiti per il servizio fotografico), continua nel locale trendissimo 212,
cena da 170 mila lire a testa (regolare, con la fattura) e finisce con un
rilassante giro sulla limousine in affitto, da Wall Street alle villette
del New Jersey.
Allora Maria Giovanna, che gli è venuto in mente a Celli?
«E chi lo sa? Mi ha fatto impressione, poteva non farlo. Io non sono amica
di nessuno».
Veltroni ti sistemò all’Unità, Craxi al Tg2. Non sei una sprovveduta.
«Detta così è fuorviante».
Diciamola in qualche altro modo.
«Bisogna vedere il contesto».
Abbiamo tutto il tempo. Cominciamo dall’infanzia?
«Sono nata a Venezia, 48 anni fa, madre veneziana, padre pugliese. A dieci
anni ero a Roma. Ho studiato al Visconti. Poca passione e molta
osservazione durante il ’68. Iscritta al Pci a 20 anni. Nella sezione del
mio quartiere, via del Gazometro, una delle zone operaie di Roma.»
Ricordi i tuoi amici di allora?
«Non sono mai riuscita ad attaccarmi emotivamente a qualcuno. I soliti
amorazzi di ragazzina, poi un ragazzo, Fausto. Io sono una zingara. Non ho
capacità di mediazione con gli uomini, i parenti, la famiglia. Giuliano
Ferrara dice che sono una rompicoglioni».
Non solo Ferrara.
«Perché non sto mai zitta quando dovrei, sono sprezzante, orgogliosa,
presuntuosa».
Come sei arrivata all’Unità?
«Veltroni sostituiva i militanti puri con i giornalisti».
Hai conosciuto da ragazzina i dirigenti di oggiŠ
«Ero molto amica di Pietro Folena e della moglie Giovanna. In quegli anni
era figiciotto, capelli lunghiŠ Adesso è una delusione. Fa il caporale.
Come Mussi. Solo che Mussi lo fa perché quella è la parte in commedia.
Folena ci crede».
Come era Mussi?
«Scansafatiche. Farfallone, parlava di barche a vela, donne, moto».
D’Alema?
«Saccente, duro, cinico».
E Veltroni?
«Culo di pietra, influente, simpatico e sfuggente».
Kennediano?
«Macché. Kennedy se l’è inventato dopo, per creare il Nuovo Veltroni. Il
new post communist».
Ha indossato una nuova pelle.
«Perché fare finta di essere quello che non eri? Solo gli imbecilli non
cambiano ideaŠ».
Anche le persone coerentiŠ
«Non è questione di voltagabbana, ma di crescere, di evolvere».
Comunque Veltroni ti sistema.
«All’Unità c’erano bravissimi giornalisti, come Vladimiro Settimelli, altri
che mi piacevano di meno, i giustizialisti dell’epoca, quelli che
arrivavano in redazione e mettevano la pistola sulla scrivania, come Sergio
Criscuoli. Dopo un po’ cominciai a fare gli esteri, a viaggiare in America
Latina. Sono stata là anche 9 mesi di seguito senza tornare. In Argentina
finiva la dittatura, in Cile le prime rivolte contro Pinochet. Conobbi
Giangiacomo Foà, il corrispondente del Corriere della Sera dall’America del
Sud, il mio grande maestro. Fu lui che mi insegnò come si fa l’inviato».
Come si fa?
«Giangiaconmo lavorava alla grande, con gli stringer, i portatori di
notizie. Spendeva. In ogni posto dove arrivava aveva i suoi giornalisti
locali che pagava tanto al mese, una macchina in affitto, un paio di
biglietti già prenotati e pagati. Un giorno, all’aeroporto di Santiago,
dopo un periodo piuttosto duro di Cile, mi disse: “Sei ospite del
Corriere”. E tirò fuori due biglietti di prima classe, Santiago-Rio. Quando
fummo a bordo, disse: “Voglio tutto lo champagne che c’è. Ce lo siamo
meritato”. E ci ubriacammo. Foà era un mito. Gli inviati facevano la fila
per farsi spiegare le cose».
Che cosa pensava Foà degli inviati che facevano la fila?
«Diceva cose orribili. Di uno che oggi è un importante direttore diceva:
“Traduce bene da Newsweek”».
Chi erano gli inviati in America Latina di quei tempi?
«Guzzanti, Benettazzo, Invernizzi, Sarchielli, Rossella, Moretti, Igor
Man… A me Foà insegnò che un buon pezzo di esteri deve avere 85% di
verità e 15% di fantasia. Ma quanta ne ho vista di fantasia!».
Come facevi ad applicare il metodo Foà con le casse dell’Unità?
«Scroccavo cene. Molti dei servizi dell’Unità erano praticamente finanziati
dal Corriere. Una volta, a Montevideo, avevo finito i soldi. Giangiacomo,
che era con la moglie, prese una suite che si chiamava “Mamma, papà e
figlia”. Io ero la figlia e dormii nella stanzetta».
Già allora cominciavano a sparlare di te. Troppo intraprendente.
«Chiacchiere. Ma effettivamente a Macaluso non sono mai stata simpatica,
gli davano fastidio le mie intemperanze. E non piacevo a Sergio Criscuoli,
a Guido Dell’Aquila, a quelli della vecchia scuola, gli Ibba, i Roggi».
Poi la stagione dell’Unità è finita.
«Pajetta venne fatto fuori e Giorgio Napolitano divenne responsabile degli
Esteri. Decise che l’Unità riapriva l’ufficio di corrispondenza a Cuba. E
che a Cuba non ci sarei andata io perché non piacevo ai comunisti cubani.
Li mandai a quel paese e me ne andai».
Come hai fatto a trovare un altro posto?
«Non l’ho trovato. Disoccupazione. Portavo in giro il mio curriculum. Tg1,
Tg2, Tg3, Panorama, Espresso, Repubblica. Niente. Alberto La Volpe,
direttore del Tg2, mi ricevette e chiese: “In che quota è?”. Io risposi:
“Sono senza quota”. Anche Veltroni mi aveva mollato. “In Rai non siamo in
grado di piazzare nessuno”, mi aveva detto».
Grande mentitore.
«Era continuo il passaggio dall’Unità alla Rai. Carlo Ricchini, redattore
capo dell’Unità, diceva: “Quello è scemo, lo mandiamo al Tg3”. Alla fine ho
capito che ci voleva la raccomandazione. Margherita Boniver mi disse: “Ti
diamo una mano noi, sei dei nostri”. Mi fece incontrare Bettino Craxi. Poco
dopo ero al Tg2».
Raccomandata e lottizzata.
«In Rai assumevano i partiti».
Come era il clima nei tuoi confronti?
«Ero circondata da persone che pensavano che ero una stronza, che aveva
tradito il Pci. E che chissà quali ruberie facevo».
Ce l’hanno tutti con te?
«Mica lo nego: sono una che fa di tutto per non passare inosservata. E poi
ero considerata “la grande amica di Craxi”».
Era vero.
«No, ero la raccomandata di Craxi, non “la grande amica”. Non ho mai saputo
più nulla di lui né dei socialisti fin quando ho pagato l’obolo».
Quale obolo?
«La Volpe mi dice: “Devi seguire Craxi nei suoi viaggi come ambasciatore
dell’Onu per il debito pubblico”. Chiedo: “Chi lo ha deciso?”. “L’ha deciso
Bettino”».
La raccomandata al seguito del raccomandante.
«In quei sei mesi ho intervistato Craxi una sola volta. Però subito dopo
uscirono i primi articoli di Panorama che dicevano che ero la padrona del
Tg2 e che Craxi mi voleva accanto a sé durante i suoi viaggi».
Era vero. Scoppia la crisi del Golfo e parti tu, la novellina. Eri potente.
«Ero disponibile. I grandi inviati erano tutti in vacanza, in barca, col
cellulare staccato».
Cominciarono le spese faraoniche.
«Ragionando alla Foà, chiamai La Volpe e dissi: stiamo spendendo un sacco
di soldi di alberghi. Risparmiamo. Mettiamo su un piccolo ufficio. Uno
stringer arabo, un traduttore, una segretaria. La Volpe disse di sì. La
ministruttura ci consentì grandi risultati. Il giorno che Saddam Hussein
dichiarò la resa, l’unico tg che aveva un traduttore arabo era il nostro.
In diretta, lessi il discorso di Saddam».
Dopo, l’ufficio di New York.
«La riunione per decidere il nuovo corrispondente si tenne nella sede del
Psi, in via del Corso».
Sembrerebbe una sede impropria.
«Era la prassi. C’erano Manca, Intini, La Volpe, Giuliana Del Bufalo e
Craxi. Giuliana Del Bufalo presentò la mia candidatura. Manca disse: “È
troppo giovane. Ha poca esperienza televisiva. Craxi disse: “Chi sono i
candidati con maggior esperienza e più anzianità?” Manca: “Pino
Buongiorno”. Craxi: “Buongiorno ha esperienza televisiva?”. La Volpe fece
il nome di Empedocle Mafia. E Craxi: “Quello che ha fatto sempre e solo
radio?”. A quel punto Craxi si alzò: “Fate voi, non dovrei nemmeno essere
qui”».
E tu partisti per New York. Beniamino Placido, uomo saggio e posato, ti
attaccò per primo su Repubblica.
«Scrisse cose terribili. Arcigna come una suocera, arrogante. E che tutti
sapevano che io rubavo».
Anche altri giornali cominciarono a sparlare di te e delle tue folli spese
a New York.
«Dentro la Rai cominciavano gli assestamenti, i regolamenti di conti. I
socialisti erano quelli che si comportavano peggio di tutti. Voltagabbana
disgustosi preoccupati di procacciarsi nuovi posti di transizione. La
Volpe, Minoli, quelli che avevano girato gli spot per Craxi, come la
Foschini, quello che aveva fatto il ghost writer per Intini, Raffaele Genà,
Piero Marrazzo, Michele Gianmarioli, Antonio Bagnardi. Poi ci si mise anche
Claudio Demattè, uno che doveva far dimenticare che era stato
nell’assemblea nazionale socialista. Avevano deciso di riciclarsi così. Per
farlo serviva qualche capro espiatorio. Io ero una capra perfetta».
Le accuse contro erano concrete. I compensi folli per Tg2-PegasoŠ
«Un milione e mezzo per ciascuno dei tre giornalisti, Caretto, Pesenti e
Platero? Decisi dal direttoreŠ».
La limousineŠ
«L’automobile. Era un fringe benefit, ce l’avevano tutti da Lugato a Di Bella».
Quanto guadagnavi?
«Lo stipendio da inviato, 3 milioni e 800 mila. Più 7400 dollari di
indennità (ne pagavo 5 mila di casa)».
Manca e Pasquarelli vanno via. Arrivano Demattè e Locatelli. E i
professori. I moralizzatori. Tu sei un ghiotto boccone.
«Io vado a parlare con Demattè il quale, tutto gagà, mi tranquillizza.
L’Espresso comincia a pubblicare brani di un dossier che era stato
misteriosamente “rubato” dalla scrivania di La Volpe. Va via anche La Volpe
e arriva Paolo Garimberti. Il quale mi dice: “Tu sei la perla del Tg2.
Devono prima passare sul mio cadavere”. Dieci giorni dopo il cadavere si
sposta e li lascia passare. E la perla del Tg2, convocata da Celli, decide
di dimettersi».
Questo è il punto debole della storia. Gli innocenti non si dimettono.
«Mollata dai socialisti voltagabbana, attaccata dai veltronianiŠ».
Dimettersi è ammettere la colpa.
«Il mio avvocato mi dice: è meglio, perché ci danno una lettera di totale
scagionamento e con quella partiamo alla riscossa. Tre giorni dopo
l’avvocato mi molla».
Sospetti?
«Certezze».
Comunque la lettera di dimissioni l’hai firmata tu.
«Ancora me ne vergogno. La parte più guerriera di me me lo rimprovera
ancora. È stato un errore».
Poi vinci la causa e chiedi di essere riassunta in Rai dove è arrivata la
Moratti. Ma si alza la voce di Fabrizio Del Noce che parla di «arroganza
spendacciona». Come mai?
«Lui è uno dei veri spendaccioni Rai. Quando arrivò a New York, Panorama
rivelò che aveva preso casa all’International Trump Tower. Lui rispose che
era vero, che l’affitto era di 11 mila dollari al meseŠ».
Ammazza! 25 milioni al mese?
«Disse che se li pagava da solo».
È vero che gli inviati rubano sulla nota spese?
«Tutti. Io non ho visto altro. Ma lo possiamo dire?».
Purché sia vero.
«Si dice che gli inviati arrotondano. È una sorta di compenso aggiuntivo in
nero che le aziende conoscono, tollerano e favoriscono».
Tu arrotondavi?
«Ho arrotondato molte volte le spese anche qui a New York. Con la
differenza pagavo la business agli operatori perché non sopportavo che
volassero in economy».
Come Robin Hood. Rubavi ai ricchi per dare agli operatori.
«Io sono passata per la Grande Ladra del giornalismo italiano. Ma sono solo
un’apprendista che non è mai riuscita a mettere in pratica gli
insegnamenti. Io per esempio non permettevo che si spaccassero le
telecamere per imbrogliare sulle spese di riparazione. Come facevano tanti
moralisti di oggi».
Il voltagabbana principe in Rai?
«Un bel campioncino è Gabriele La Porta. Socialista, leghista, rifondarolo.
Ma mi fa simpatia. Occupa la notte in tv. Audience zero virgola zero. Non
conta più niente».
Il tuo nemico?
«Sicuramente Del Noce, sicuramente Veltroni. È difficile scegliere. Ma i
socialisti alla fine sono quelli che mi hanno odiato di più. Più delle
ragazze coccodé veltroniane, Gruber, La Sorella».
Politicamente che cosa sei oggi?
«Io non voto più a sinistra. Mi hanno provocato cocenti delusioni».
Anche tu a loro.
«Ma ho problemi a votare destra. Non voglio morire democristiana».
L’ultimo voto che hai dato?
«Berlusconi».
Non ti senti una voltagabbana?
«Come dicono i russi: “Se non sei comunista a 20 anni non hai cuore, se lo
sei a 40 non hai cervello”. Ho cambiato veramente idea».
Sei andata al funerale di Craxi?
«Ero andata a trovarlo anche un paio di volte durante l’esilio di Hammamet».
Latitanza si dice, non esilio.
«Esilio. Ci sono volte che tu te ne vai perché non c’è niente da fare,
perché sei condannato».
Condannato, certo, con sentenze definitive.
«Diciamo: non credo che Craxi si sia arricchito personalmente».
Adesso lavori per Radio Radicale e per il Foglio di Ferrara. Quanto guadagni?
«Cinquemila dollari con la Radio e altrettanti col Foglio. Pochissimi per
vivere qui. New York è un’isola per ricchi».
…..si capisce bene perchè giornali e tv sono sempre in perdita!