- 1 Gennaio 1999
Si sposano. Aspettano un figlio. Claudio Martelli e Camilla Apolloni Ghetti. Lui 56 anni. Lei molti di meno. Lui ex delfino di Craxi, travolto da Tangentopoli. Lei contessina. Lui al terzo matrimonio, al terzo figlio, al settimo ménage famigliare. Lei al debutto. E’ la prima volta che lo incontro. Devo parlare con lui di memoria, di voltagabbana, di gavetta, di opportunisti, di gente che cancella il proprio passato, di amici di infanzia. Ma mi viene da chiedergli di Malindi, di Craxi, di Gelli, di Calvi, di Sama, di Cusani, di Sofri. Alla fine vince la vita. E cominciamo a parlare di mogli, di figli, di matrimonio. E’ da questo matrimonio, più che dalla politica, che Martelli cerca di ripartire, dimenticando gli ultimi sette anni, “i sette terribili anni del terrore”.
Martelli, mi dice un suo difetto?
Sono disorganizzato e disordinato.
Anche nella vita sentimentale? Si rende conto che è al settimo ménage?
Camilla è una persona meravigliosa, non mi sono mai sentito tanto in sintonia con una donna in vita mia, mai. Aspettiamo un bambino. Nascerà a dicembre.
Andiamo con ordine. Mi faccia un bilancio dei suoi rapporti con le donne.
Il primo matrimonio fu frutto di una cotta da ragazzi. Daniela Maffezzoli era studentessa di liceo, io matricola all’università, ci siamo conosciuti, innamorati e sposati. Io mi misi a fare il supplente. Lavoravo anche nello studio di un avvocato, battevo a macchina, raccoglievo patate e fragole, lavavo vetri. Poi la cotta è finita ed è finito anche il matrimonio. Dopo un anno e mezzo eravamo già divisi. A 28 anni mi sono sposato con Annarosa Pedol.
La figlia del Tonno Nostromo?
Esatto. E’ stata una storia grande, vera, bella, durata 14 anni. E abbiamo avuto Giacomo, mio figlio maggiore.
Cosa le piaceva di Annarosa?
La chiamavo Annaroccia. Per la forza del carattere e quell’aria un po’ irlandese, capelli rossi, lentiggini.
E finì dopo 14 anni.
Ero stato eletto deputato, venni risucchiato dalla politica. Io vivevo a Roma e lei a Milano. Lei si dedicò al teatro. Ad un certo punto abbiamo preso atto della situazione e ci siamo separati. Un paio di anni dopo ho rincontrato un mito dei miei anni giovanili milanesi, Ludovica Barassi, ci siamo innamorati, abbiamo messo su casa, abbiamo fatto un figlio, Adriano, e siamo stati insieme cinque anni.
Che cosa le piaceva di lei?
In Ludovica forse inseguivo un po’ la mia giovinezza.
Durò solo cinque anni.
Lei era molto sessantottina, per tanti aspetti una creatura eccezionale però poi sono emerse delle incompatibilità.
Le dico alcuni altri nomi. Yvonne Sciò?
Ma no, flirtino.
Benedetta Corbi?
Flirtino.
Rosy Greco?
Storia vera, durata qualche anno. Rappresentò veramente una vampata d’allegria. E di mondanità.
E quattro. Dopo lei?
Raffaella Bozzini.
Sempre bambine se le prende.
Io sono attratto dalla giovinezza. Forse per consolarmi della mia che se ne va.
Tanto si fa fare la plastica facciale!
Ma quale plastica facciale, per amor del cielo!
Diciamo la parola definitiva su questo scottante problema.
Siamo andati, Camilla ed io, a farci ritoccare alcuni inestetismi, nessuna plastica facciale.
Vabbè. Ma che cosa sono gli “inestetismi”” Quelli suoi, intendo dire. Di Camilla non lo voglio neanche sapere. Mi pare bella abbastanza.
Avevo dei pallini di sebo, delle cisti attorno agli occhi.
Ma non erano le borse sotto gli occhi? Mi faccia vedere.
Ma no! Siccome avevo questa palpebra qua che stava precipitando, già che c’erano, me l’hanno tirata su.
Eravamo rimasti a Raffaella Bozzini, la quinta moglie.
Mamma di bellissimi bambini, editrice d’arte. E’ stato un amore molto tenero che io ho lacerato quando ho conosciuto Elisabetta Finocchi.
Ha fatto la carogna.
Beh si.
Elisabetta. La sesta. Scusi il conteggio.
Con Elisabetta è stato l’attrazione dell’opposto. Formazione scientifica, veterinaria, molto votata agli sport, estroversa. Abbiamo fatto appassionanti discussioni scientifiche
Come ha conosciuto Camilla?
Su uno scoglio dell’Argentario. Ma lei, quando era studentessa dell’università americana a Trastevere, mi vedeva sempre uscire di casa. Ero un po’ un mito della sua adolescenza.
Lei è sempre stato così tombeur de femmes?
Ero un libertino romantico: mi piaceva sfarfalleggiare, ma poi mi innamoravo. Ero un tombeur de femmes, ma anche un tombé de femmes. Era difficile stabilire il confine fra crisi ormonale ed esaltazione letteraria.
Qualche follia fatta per amore?
Scalare il terzo piano della casa della mia fidanzatina tedesca Silvia Jubellius a Düsseldorf quando avevo 19 anni, è da considerare una follia?
Sulle grondaie?
Sulle grondaie.
Senza corda né trecce?
A mani nude.
E’ una follia. Perché non è passato dalla porta principale?
Perché al piano di sotto dormivano i suoi genitori.
In quel periodo generalmente si ha anche il grande amore infelice, l’amore che ti segna.
Il grande amore infelice lo ebbi a 13 anni, in vacanza. Sara Hardemberg era una splendida ragazzina inglese. Mi innamorai perdutamente. Ma lei mi considerava un bambinello.
Come finì?
Con un fugace bacio l’ultimo giorno come premio di consolazione.
Basta con le donne. Mi parli dei suoi amici,
Ero molto amico di Massimo Fini. Fu il mio primo compagno di banco al Carducci. Era arrivato come un passerotto sperduto dal Berchet. Amavamo entrambi la letteratura francese: Sartre io, Camus lui.
Massimo ha scritto un articolo molto duro contro di lei su “Pagina”.
Ero un periodo in cui mi detestava: avevo potere, responsabilità e grande immagine. Per lui era insopportabile. Ma negli anni bui è stato fraterno ed amichevole.
Chi erano, oltre a Massimo, i suoi amici di allora?
Sezione C del liceo Carducci: Giuliano Seglieri e Marina Rocca, oggi primari ospedalieri, Silvia Bonetti, la ragazzina con le trecce rosse, oggi professoressa di fisica. Ero amico anche di Bruno Bechini. Adesso è preside in un liceo milanese. Avevamo in comune una grande passione per la poesia.
Ha qualche ricordo sgradevole di quel periodo?
C’è una vicenda che in qualche modo mi ha segnato. Avevo 17 anni. Dei medici mi diagnosticarono una forma di epilessia. Sbagliavano, ma per dieci anni sono andato avanti a psicofarmaci. Ancora oggi ne sopporto le conseguenze. Ho il ritmo sonno-veglia del tutto alterato.
Poi arrivarono gli anni dell’università, nella “calda” Statale di Milano.
Provai una sensazione sgradevole di conformismo. Erano tutti marxisti, non c’era spazio per altro, marxisti storicisti, marxisti scientisti, maoisti, sovietici ortodossi, castristi. Molti li avevo conosciuti come tranquilli liberal-democratici. Catapultati nel clima della Statale erano diventati tutti iper-marxisti nell’arco di una giornata. Come Giorello. Bisognerebbe leggere le cose che scriveva a 20 anni. Era impressionante il suo leninismo-maoismo-totalitarismo. Poi sono ricambiati un’altra volta. Adesso sono ultraliberali. Quella generazione l’ho vista sbandare paurosamente.
Molti hanno continuato a sbandare anche dopo. O a dimenticare. La smemoratezza è una malattia nazionale.
La smemoratezza… Nell’ultimo libro di Corrado Staiano c’è una lettera del giudice Gherardo Colombo che mi chiama in causa e mi dà dello smemorato, anzi dice che ammira la mia smemoratezza perché mi dimentico dei miei processi e delle mie colpe e mi faccio eleggere al parlamento europeo, siedo accanto a Di Pietro e ad Elena Paciotti. E’ sorprendente che un pubblico ministero che ti ha inquisito e processato continui a tormentarti perché tu sei sopravvissuto alla sua persecuzione.
Come è andata lo storia del Conto Protezione?
Sono stato il postino, ho trasmesso il numero del Conto Protezione da Craxi ad Antonio Natali. La sentenza riconosce che io non ho preso una lira.
Però ne è uscito col condono.
Come dirigente del Psi ho riconosciuto che quel finanziamento del Banco Ambrosiano al Psi andava restituito. Craxi non l’ha fatto, non ha voluto prendersi le sue responsabilità, io me le sono prese e ho consegnato l’intera liquidazione parlamentare, più qualche soldo che avevo da parte e un prestito di mio fratello. In tutto 500 milioni.
Perché il Banco Ambrosiano finanziava il Psi?
Calvi dette il contributo in cambio del fatto che l’Eni aveva depositato sul Banco Ambrosiano i conti correnti che fino a quel momento aveva su altre banche, i conti esteri.
Dal punto di vista giudiziario lei a che punto è adesso?
Per la faccenda Enimont ho una condanna definitiva a 8 mesi con la condizionale come tutti i leader politici di questo Parlamento o quasi. Sono ricorso alla Corte di Strasburgo e sono sicuro che mi darà ragione.
Ma non per questo sparirà la mazzetta.
Non è stata una mazzetta, Carlo Sama era un mio carissimo amico e mi dette un contributo personale. Non era reato.
Sono i soldi serviti per fare “Reporter”, il quotidiano degli ex di Lotta Continua?
No, assolutamente no. “Reporter” è nato nell’86, nel momento del mio incontro con Adriano Sofri. “Lotta Continua” stava chiudendo, chiese una mano. Balsamo, amministratore del Psi, dette un contributo. Sergio Cusani ne dette un altro.
Dove aveva preso i soldi Cusani?
Da amici facoltosi. Cusani a quell’epoca non conosceva né Gardini né Sama. Non c’entra la Montedison con quella vicenda.
Ferrara racconta di essere andato con De Aglio da Berlusconi a chiedere soldi.
Berlusconi intervenne solo per dare una mano al momento della liquidazione. Craxi non amava tanto quell’esperienza lì. I riferimenti politici di “Reporter” erano Martelli, Pannella e Carniti.
Chi sono i voltagabbana in Italia?
Quelli che hanno preso voti da una parte e si sono spostati dall’altra. Come Mastella. Ma anche il percorso di Giuliano Amato presenta un certo interesse: Craxi, Berlusconi, D’Alema. E’ un anticraxiano che diventa craxiano. Un berlusconiano che diventa dalemiano.
E adesso ci dica qual è la sua posizione.
Craxi muore ad Hammamet, latitante, esiliato, perseguitato, dileggiato, odiato, vilipeso. Il suo più importante collaboratore, Giuliano Amato, è a capo del governo. Il suo più stretto amico e sodale, Silvio Berlusconi, è a capo dell’opposizione
E allora?
Allora questa contraddizione tragica attraversa anche me. Non posso non vedere le ragioni dei socialisti con Amato, ma non posso non vedere che il popolo socialista vota Berlusconi.
Sono scomparsi molti amici in questi anni?
Se non ho avuto solidarietà è perché non le ho cercate. Però ho visto in questi anni difendere anche gli indifendibili. Io non ho avuto mai nella mia vita quattro ore di televisione per difendermi.
E chi le ha avute?
Previti le ha avute: due su Mediaset e due sulla Rai, due con Vespa e due con Santoro.
Lei è arrogante come dicono?
Io mi sono misurato con Berlinguer, con De Mita, con Craxi. Ero un ragazzino e dovevo darmi un tono. Ne usciva una certa strafottenza, una certa arroganza intellettuale. Ma era autodifesa.
Se ci aggiunge lo stile di vita…
Qualche concessione al lusso l’ho fatta anch’io: ho affittato una bellissima villa sull’Appia, con degli amici, che fu ribattezzata l’Appia dei popoli…
…sette milioni al mese…
…divisa per sette non era una grande spesa.
Però abitava in via Garibaldi in un appartamento da cinque milioni al mese.
L’affitto lo pagava il partito.
Chiunque lo pagasse, erano cinque milioni al mese.
Certo fa effetto, lo capisco. Però in quell’epoca la politica era entrata in orbita, era assolutamente pacifico che i e dirigenti dei partiti disponessero di fondi spese consistenti, che viaggiassero con aerei privati. Penso che sia molto più grave togliere un appartamento a un pensionato, come hanno fatto D’Alema e Veltroni, che non affittare una villa a spese tue con sei amici. La vita è piena di tartufi che fanno carriera col moralismo, sulla pelle degli altri.
Per esempio?
Berlinguer.
Berlinguer tartufo?
Pose la questione morale in Italia nel momento in cui riceveva finanziamenti dall’Urss. E nel libro di Gianni Cervetti si parla di nove miliardi nella disponibilità personale del segretario del partito Enrico Berlinguer, che li trasformò in “beni e preziosi”.
Si ricorda il caso Malindi?
Potrei dimenticarlo? In giro tanti giovani me lo ricordano e con molta simpatia.
Si parlava di canne.
Di una canna in verità. Che peraltro era una invenzione.
Detto questo, lei si fa le canne?
Di tanto in tanto.
Tutto normale?
Se mio figlio, quattordici anni, torna da scuola e si fa le canne è chiaro che non studia più perché si intontisce. Ma se un signore di 50 anni finita la sua giornata anziché un bicchiere di whisky si fa una canna non vedo che male c’è.
Lei ha conosciuto Gelli?
Fu Angelo Rizzoli a suggerirmi di incontrarlo. Io mi lamentavo con lui perché il “Corriere della Sera” trattava male i socialisti. E lui mi diceva: “Io non conto più nulla, il “Corriere della Sera” lo guida Tassan Din che prende gli ordini da Gelli. Quindi devi parlare con Gelli”.
E lei?
Andai a parlare con Gelli. Mi invitò a pranzo due volte all’Excelsior.
E che impressione le ha fatto?
Difficile a dirsi, un po’ un Cagliostro questo sì. Si raccomandò di far fare la pace tra Craxi e Andreotti, di ricucire l’unità interna con Signorile e poi mi fece profezie sul fatto che in America avrebbe vinto il repubblicano Reagan.
E del “Corriere della Sera”?
Mi disse: “Vedrà che le cose migliorano. Lei mi mandi dei pezzi che glieli faccio pubblicare. Oppure la faccio intervistare”.
Rimane singolare il fatto che una linea della Giole di Licio Gelli si chiamasse “Claude Martel”.
Anch’io mi sono stupito molto.
E come se lo spiega?
Ero trentenne, carino, sbarcato tra politici le cui facce erano quelle che sappiamo. La “Repubblica” aveva scritto che ero troppo elegante per essere un socialista. “Capital” mi aveva dedicato la prima copertina. Stridevo nell’ambiente, venivo osservato di più, andavo spesso in televisione a dibattere, ero un po’ arrogantello. Può darsi che sia nata così la linea “Claude Martel”.
Bravo Claudio , preparato, pungente, irriverente, concreto. Doti di un buon giornalista, purtroppo oggi quasi scomparse.
Mi ha fatto piacere conoscerti, le nostre chiacchierate in trattoria a Testaccio,con l’amico Massimo Bellenchi, la nostra piccola iniziativa editoriale con Europcar…. Ora godiamoci l’ozio attivo, in attesa di rivederci davanti un buon bicchiere di vino. Andrea De Petris 3471660602