- 24 Luglio 2001
In questa inchiesta sugli anni della gavetta, sui voltagabbana, sui conti col passato ogni tanto compare lui, Ferdinando Adornato, comunista quando era giovane, berlusconiano ora che ha una certa età. Guido Quaranta, dell’Espresso, gli ha dato la medaglia d’oro nel triplo salto mortale per come era partito dall’Unità per approdare al Giornale. Massimo Gramellini, della Stampa, ha ricordato di aver perso il suo saluto dopo aver raccontato i suoi molteplici passaggi politici (Adornato come Picasso: il periodo blu, il periodo rosso, il periodo verde). Adornato, uomo di mondo e con grande senso dell’umorismo, aveva abbozzato. Poi Barbara Palombelli ha rincarato la dose, nominandolo “re dei voltagabbana” e spiegando che “aveva lucrato sia con la sinistra che con la destra”. A questo punto Adornato, che nel frattempo è stato eletto con Forza Italia ed è stato nominato presidente della Commissione Cultura, mi ha telefonato e ha chiesto di intervenire per motivi personali. “Confesso: l’intervista l’ho chiesta io”, comunica ai lettori di Sette. “Voglio dare una notizia. Io che non ho mai querelato nessuno perché le querele mi fanno ridere, ho deciso questa volta di cambiare comportamento”.
Vedi? Sei un voltagabbana.
“No. Seguo la via che indicano i maestri. Barbara Palombelli non ha detto che querelerà Guido Quaranta che l’ha accusata di scrivere cose banali sulla Repubblica? Bene, Barbara è una opinion leader. Allora faccio come dice lei, la querelo”.
Dì la verità. L’hai presa male.
“Faccio la prima querela della mia vita assolutamente spensierato. In fondo queste sono liti da cortile”.
Un giornalista non dovrebbe mai querelare. Ti invito a ripiegare sull’arma della dialettica.
“Se eliminiamo la parola “lucrare” e la sostituiamo con “trarre profitto dalle idee”, uso volentieri la dialettica. E ricordo alla Palombelli che molte persone vicine a lei, da Rutelli a Bianco a Bordon hanno governato il Paese anche traendo profitto dalle mie idee. Io di questo sono felice e non ce l’ho minimamente con nessuno, neanche con Barbara”.
E la sinistra ce l’ha con te?
“La sinistra salottiera e radical-chic. E quello che Cossiga chiamava “il Noto Gruppo Editoriale””.
Espresso-Repubblica?
“Cinque righe di veleno ogni settimana sull’Espresso”.
Era soprattutto Claudio Rinaldi?
“No. Claudio ragiona in grande. Lui mi dedicava anche 2 o 3 pagine”.
Ma tu sei un voltagabbana?
“Voglio fare un altro tipo di ragionamento?”.
No, prima rispondi alla domanda: sei un voltagabbana?
“Prima ci vuole una dichiarazione di principio”.
Dichiara.
“Voltagabbana è la parola tradizionale con la quale le culture totalitarie segnalavano al disprezzo del partito, dei militanti, del Paese, persone che non stavano al gioco. In questo senso sono fiero di essere voltagabbana. Fatta questa dichiarazione di principio io, nella speranza che ci siano ancora alcune tenere e oneste volontà d’ascolto nella sinistra, vorrei dimostrare che non è vero”.
Esiste questa volontà di ascolto?
“Esiste la speranza”.
Ma Scalfari, Pirani, Anselmi?
“Non penso alle attuali articolazioni del potere, penso a quei 15 appena assunti che hanno nelle mani un grande strumento che spero un giorno non sia più usato in modo così militare”.
Parole grosse.
“Lasciami tentare di spiegare perché non è vero che sono un voltagabbana”.
Eri comunista. Oggi stai a destra.
“Intanto ci si riferisce al paleolitico anteriore. Stiamo parlando di 23 anni fa”.
Comunque eri nel Pci.
“Ero in un partito che andava da Cacciari a Cossutta e che era composto di tre aree: una comunista ortodossa, una social-democratica e una democratico-radicale. Io facevo parte della terza”.
E poi che cosa è successo?
“Piano piano ho cominciato a scoprire che mi avevano raccontato un sacco di menzogne”.
Menzogne che hanno scoperto tutti.
“Ma io me ne sono andato, a differenza di altri”.
Nomi?
“Tutti quelli che sono rimasti e che oggi dirigono anche il partito”.
Dire tutti è come dire nessuno.
“Li nomino tutti: D’Alema, Veltroni? E vorrei ricordare che già da piccolo venivo trattato come un dissidente, un eretico perché dirigevo il giornale La città futura che infatti fu chiuso”.
Chiuso per eresia?
“È imbarazzante dirlo, ma c’erano perfino delle federazioni, come quella di Genova, dove appena arrivavano le copie, le bruciavano. Me ne sono andato nel 1979. Quel partito non era il mio partito. Attenzione: non sono pentito di esserci stato. Mi ha insegnato la passione per la politica e per la battaglia delle idee”.
Non sei andato lontano, sei andato all’Unità.
“Era l’unico sbocco che avevo, ma appena ebbi un’offerta me ne andai a Panorama. Per me è cominciata una cosa che Berlusconi chiamerebbe “una piccola traversata nel deserto”: dove avevo sbagliato? Perché mi ero fatto imbrogliare? Ci ho messo dieci anni a voltar gabbana, e nel 1989, prima della caduta del muro di Berlino, ho scritto Oltre la sinistra. Dice: “Ma quanto sei intelligente?”. “Sì, sono intelligente”. Un libro che si chiama Oltre la sinistra! Massimo D’Alema mi mandò un biglietto: “Caro Adornato, oltre la sinistra c’è solo la destra”. Aveva ragione D’Alema”.
Ti era ripresa la voglia di fare politica.
“Segni aveva rotto con la Dc. Se anche i comunisti avessero sciolto il loro vecchio partito si poteva creare un nuovo partito liberal-democratico. Fondai Alleanza democratica”.
Chi c’era?
“Enzo Bianco, la Melandri, Bordon, Ayala. Tutti sentivano che stava per scoppiare qualcosa. Leggi questo documento: “Meno Stato, più solidarietà”. È il programma di Alleanza Democratica. Ma sono le parole d’ordine dell’attuale governo della Casa delle Libertà. Guarda, c’è anche Tremonti tra i firmatari”.
Stai dicendo che già allora eri sulle tue posizioni di oggi? E allora perché alle elezioni ti sei presentato con il Pds contro Forza Italia?
“Il progetto di Ad non andò in porto. Occhetto e Segni non ebbero il coraggio. Ma io ormai ero andato troppo avanti e mi trovai candidato in Parlamento in un’area che non era quella che avevo immaginato”.
“Berlusconi non può promettere miracoli impossibili”. Sai chi l’ha detto?
“No”.
L’hai detto tu.
“Dovendo chiedere voti, qualche frase di polemica mi sarà uscita. Ma ti ricordo che fui l’unico nella sinistra a votare contro il governo Dini, ribaltonista. E mi fecero nero”.
Poi hai fondato Liberal.
“Volevo fare qualcosa perché i due fronti dialogassero”.
Elezioni 1996.
“Berlusconi mi propose di candidarmi. Ma io risposi no”.
Perché no? Il programma tuo era come il suo.
“Gli dissi: “Di cuore, di anima e di mente sono con Forza Italia. Però non si può cambiare casacca, non dico durante la legislatura – quella proprio è una cosa immonda – ma neanche nella legislatura successiva”. Così non mi sono ricandidato e ho rinunciato a fare il parlamentare”.
E come sbarcavi il lunario?
“Chiedendo soldi per fare Liberal. Insomma, una nobile questua”.
Found-raising.
“Molto più chic. Mi stipendiavo un po’? 4 milioni? da deputato ne pigliavo 15? da giornalista 8”.
Tentasti anche l’avventura di Liberal settimanale.
“Che fallì”.
Ricordo la scommessa di Claudio Rinaldi. Scrisse che Liberal non avrebbe superato un anno di vita.
“E perse la scommessa”.
Esiste ancora Liberal bimestrale.
“Liberal come progetto e come gruppo non è mai morto. Con buona pace di chi ci sperava”.
Chi è stato il più duro contro di te ?
“Scalfari e Bobbio. L’idea che hanno della cultura e della politica è barricadiera. Loro sono per definizione il bene e tutti gli altri il male”.
La demonizzazione dell’avversario è un’esagerazione. Ma anche la beatificazione di se stessi. Qui ci sono reati gravi. Corruzione dei giudici, falso in bilancio. Ci sono prescrizioni e decorrenza dei termini contrabbandate per assoluzioni. Ci sono imputati che si oppongono alle rogatorie, che fanno di tutto per rallentare i processi?
“Ti rispondo. Ma prima vorrei concludere la questione del voltagabbana con una bella frase di Churchill: “Ci sono uomini che cambiano idea per amore del loro partito e uomini che cambiano partito per amore delle loro idee”. Qual è il voltagabbana? Io penso il primo”.
Usciamo dall’equivoco: molti dicono che non c’è niente di male a cambiare idea.
“Anch’io, ma non si può cambiare idea ogni due secondi. Si può cambiare idea a fasi storiche. E in ogni caso bisogna rifletterci sopra, spiegare. Comunque se volti la gabbana da destra a sinistra sei un redento, al contrario sei un traditore”.
Nel corso di questa inchiesta Dini, Scognamiglio, Dotti, Mastella, Bossi hanno avuto la loro parte di critiche.
“Io sto parlando del Noto Gruppo Editoriale. Chi va con loro è benedetto, da dovunque provenga”.
Mi devi sempre la risposta sugli imputati autobeatificati.
“Posso anche ammettere che la risposta alla demonizzazione poteva essere migliore. Però io non rinuncio a credere nella legittima difesa”.
Se sei un cittadino qualunque.
“Da questo punto di vista Berlusconi è un cittadino qualunque”.
Eh no.
“Se un tale va in televisione a dire che sei mafioso e che probabilmente hai ucciso Falcone e Borsellino?”.
Andreotti ha risposto in ben altra maniera, con più senso dello Stato?
“È difficile che chi è demonizzato calcoli al millesimo la risposta. Per questo ti dico che la reazione di Berlusconi è quella del cittadino, non del politico”.
Il primo ministro, almeno lui, deve credere nella lealtà della magistratura.
“Berlusconi ha ottenuto un consenso in forma molto esplicita. E adesso ti do una notizia: Berlusconi ha voltato gabbana. Sta diventando uno statista”.
Statista mi pare una parola grossa.
“Per ora sta dando al Paese un clima di fiducia, di serenità, di apertura al dialogo. Con la scelta dei ministri ha dimostrato che esiste una classe dirigente di centro, liberale, cattolica, competente, affidabile internazionalmente. Che Dio ce lo conservi così”.
Racconta di quando eri di sinistra.
“Avevo 14 anni. Ero in quarta ginnasio al Visconti, quando scoppiò il ’68. All’inizio non ero molto convinto. Ma cominciai ad andare alle assemblee. E un giorno per far vedere ai miei compagni che ero un uomo presi il coraggio e mi iscrissi al Pci. Quando glielo dissi si arrabbiarono. “Che hai fatto! Noi stiamo passando tutti al Manifesto!” E io: “Manifesto? Che è il Manifesto?” Ero un pivellino. Contemporaneamente giocavo a pallone. La squadra si chiamava Boreale. Mi fecero il provino quelli del Milan”.
C’era proprio Berlusconi nel tuo destino.
“Il provino fu positivo ma io quasi subito smisi di giocare. Anni dopo, in televisione, vidi un politico che parlava. Un ciccione con gli occhi a palla. Ebbi un sussulto, era il presidente della Boreale, quello che veniva nello spogliatoio e ci istigava a delinquere contro gli avversari?”.
Chi era?
“Era Mauro Bubbico”.
Che tipo eri?
“Timido. Era un trauma, quasi da nausea, parlare in assemblea. “.
La carriera politica?
“Arrivai in segreteria nazionale della Fgci. Segretario era D’Alema. C’era Fassino. E a Roma Veltroni”.
Come li ricordi?
“Li sentivo più capaci di me. Invidiavo la loro capacità di ingoiare rospi. Oggi mi sento di gran lunga superiore a loro. Quei rospi non andavano ingoiati”.
Ma quali rospi erano?
“Non poter esprimere il proprio pensiero, vedere le ipocrisie e non poter fare niente. Io pensavo fossero rospi, loro che fosse pastasciutta”.
Neanche Mastella è voltagabbana?
“Non userò questa parola contro nessuno”.
Ha preso voti di destra e li ha portati a sinistra.
“Non mi piacciono i giudizi morali assoluti. Qui siamo in presenza di politicanti?”.
Allora a che serve il bipolarismo?
“Per me gabbana sono le idee. Mastella non dice, come fa la sinistra: “Io sono il bene”. Dice: “Io vi posso garantire dei posti di lavoro”. È più trasparente.
Sei passato dal raffinato mondo della gauche a Boso, uno che vuole misurare i piedi alla gente di colore, a Previti, uno che non vuole fare prigionieri. Imbarazzo?
“Il mondo della sinistra è statico. Di qua c’è un mondo in movimento”.
Parliamo delle stesse persone? Di Borghezio? Di Buontempo?
“Ma di là c’è stagnazione intellettuale, crisi della creatività, impossibilità di modernizzare il Paese”.
Chi ti piace a sinistra?
“Io mi batto per il rispetto fra i Poli. Liberal bimestrale è uno strumento aperto: ci scrivono Bertinotti, Andreotti, Biagio De Giovanni, Franco Debenedetti, Michele Salvati”.
Occhetto ti ha chiamato intellettuale da salotto.
“Petruccioli disse anche: “Adornato è come Craxi””.
D’Alema disse una volta: “La proposta di Adornato sulle riforme istituzionali può essere paragonata ai disegni di mia figlia di 8 anni”.
“Due anni dopo è diventato presidente della Bicamerale per fare gli stessi “disegni”. La sinistra italiana degli ultimi anni è all’inseguimento di idee altrui, che il giorno prima sono ignominiose e il giorno dopo sono sue. È sorprendente sentir dire da D’Alema che i Ds devono portare a termine la rivoluzione liberale”.
Ti piace la stampa italiana?
“Sono tutti giornali Domenica in: un’intervista a Prodi e un paginone su Valeria Marini. Cultura alta e cultura bassa, cucinata insieme. Però io penso di dover tacere sul giornalismo per almeno 10 anni, perché ho provato a fare un giornale diverso e ho fallito. Invece farei una considerazione”.
L’intervista è tua. Sei padrone.
“La sinistra non fa più notizia. È un museo delle cere. È un bene culturale che non produce più idee. Voglio uscire al più presto da questa intervista. Mi hai fatto rientrare in un incubo del passato del quale mi ero liberato”.
Magari ti fa bene. In una parola: sei di destra o di sinistra?
“Sono uno che lavora nel mondo cattolico liberale, ma…”.
In una parola!
“Ma se parli di schieramenti ti risspondo di destra, perché aveva ragione D’Alema: oltre la sinistra c’è la destra. E ti dirò di più. Io sono per la libertà e l’uguaglianza. Una volta stavano a sinistra…”.
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