- 19 Luglio 2001
Facevano parte dell’iconografia della sinistra italiana. Lei, Ombretta Colli, cantante e attrice, molto impegnata sul fronte del femminismo. Lui Giorgio Gaber, cantautore, fustigatore dei vizi della borghesia, adorato dai giovani progressisti che correvano a vedere i suoi spettacoli. Oggi lui fustiga i vizi della sinistra italiana. E lei, folgorata sulla via di Arcore, è diventata una delle politiche più impegnate di Forza Italia. Deputata, europarlamentare, assessore comunale, è attualmente presidente della provincia milanese.
Ombretta, la sinistra vi ha deluso, ma anche voi avete deluso la sinistra. Eravate una bandiera.
Io non sono mai stata di sinistra. Per me era un’etichetta appiccicata.
Non votava a sinistra?
Io ho avuto dei voti molto alternativi e ho sempre sostenuto che un cittadino premia e punisce.
Ha votato di tutto?
Di tutto. Sono pochi i partiti che non ho mai votato.
Diciamoli.
Non ho mai votato l’estrema destra, ad esempio.
Giorgio comunque era di sinistra.
Giorgio non vota dal ‘74.
Ma era di sinistra. Poi non è vero che non vota dal ‘74: ha votato per lei.
Sì. E’ stato un gesto di grande affetto.
Quante volte Giorgio ha votato per lei?
Una, due, tre volte…
Berlusconi è un dritto: prende uno e ottiene due. Un giorno lei tornò a casa e disse: “Caro Giorgio, ho deciso di candidarmi per Berlusconi”. Lui che disse?
Mi disse: “Fai bene”. Probabilmente lui mi conosce di più di quanto non mi conoscano gli altri. Cioè lui sa che sono una persona concreta, fattiva, che ho anche un istinto che funziona. Istintivamente ho sempre sentito l’aria prima di mio marito. Io, dico la verità, non ci ho pensato tantissimo. Avevo avuto proposte di tanti partiti. Avevo sempre detto no. Ma Berlusconi mi ha convinto.
Chi altri le aveva fatto un’offerta?
Pci, Psi. Chiedono sempre agli uomini di spettacolo di candidarsi. E’ per portar voti. Ma con Berlusconi è stato diverso. Sono stata eletta il 12 giugno e il 13 giugno ho disdetto tutti i miei contratti. Avendo uno stipendio che mi passano i cittadini italiani, non vorrei mai
trovarmi nella situazione di essere in un teatro e sentirmi dire: “Ma, scusi, noi le diamo uno stipendio e lei è qui che recita? Ma vada a fare quello per cui è stata votata e la stiamo pagando!”. Questo proprio non lo sopporterei perché avrebbero ragione…
Ce ne sono però che lo fanno, anche nel suo partito. Gabriella Carlucci per esempio.
Quelli che lo fanno non mi vanno bene. A un certo punto bisogna fare delle scelte.
Come è nata la sua passione per Forza Italia?
Da una intervista. Mi avevano chiesto di commentare l’ennesimo episodio di malasanità. Era l’autunno del ‘93 e Berlusconi non si occupava ancora ufficialmente di politica. Però diceva: “Scendo in campo, non scendo in campo…” Io risposi: “Se Berlusconi facesse il ministro della sanità, in questo Paese ci si potrebbe ammalare con maggior dignità”. Berlusconi mi telefonò e mi ringraziò per la citazione. Poi ci incontrammo. A dicembre nacque Forza Italia. E Berlusconi mi offrì una candidatura.
Lei parla di politica con Giorgio?
Sì, sì.
Discutete? Avete idee contrarie?
Mio marito non è per niente ideologico. E’ molto avvilito per come questo Paese è allo sbando. Ogni tanto dice: “Beh, cercate di vincere e poi fate qualcosa però, perché qui è uno sfascio totale”.
Lei era anche una femminista accesa. Fu una fase turbolenta e trascinante…
Non l’ho vissuta come turbolenta. La sensazione che avevo io era quasi di innamoramento. Le donne si vedevano, parlavano di se stesse. Si era creato tra noi un momento magico, di complicità.
Oggi non sembra più esserci complicità fra donne.
Per nulla. E’ il nostro punto debole. La complicità maschile esiste sempre. Per la donna si è tornati alla situazione antica con un rischio che già ognuna di noi intravedeva: la sua mascolinizzazione. Quanto abbiamo parlato del rischio di far nascere le donne coi baffi!
Oggi qual è il suo atteggiamento nei confronti del femminismo, di quello che resta…
Ho ancora grande voglia di aggregazioni femminili. Siamo il 54% egli elettori, dobbiamo essere molto più determinate. Dico una frase che è un po’ maschile: il potere non si chiede, si prende. Perché se si chiede, ci si sente rispondere: “Sei matta!”
Quanto a determinazione lei dà lezioni a tutte. Ci racconti la sua vita.
Mio padre era cantante, batterista e bassista. Andavamo da una città all’altra, in Italia e all’estero. Mi sentivo una bambina sfortunata, diversa dalle altre. Arrivavo in una scuola dove tutti si conoscevano e io non conoscevo nessuno. Poi, a un certo punto, ho avuto uno scatto di orgoglio: “Ma fantastico! Io sono una bambina fortunata. Conosco Firenze, Genova, Milano, ho amici in tutta Italia. Imparo le lingue”. Prima media a Torino, seconda media a Venezia. Poi Svizzera, Austria, Germania. E l’estate quasi sempre ad Alassio.
Che tipo di musica faceva suo padre?
Quella che adesso viene chiamata musica pop. Tu che m’hai preso il cuor, Papaveri e papere. Faceva anche un po’ di cabaret.
Amicizie?
Poche e complicate da coltivare. Ci si scriveva. Mi piaceva da pazzi quando tornavo a casa da scuola e guardavo la cassetta delle lettere.
Quella sua vita caotica le impedì di finire gli studi…
Era impossibile. Però poi, da grande e già famosa, a 27 anni, mi sono iscritta al liceo. Andavo in classe coi i ragazzini, e il sabato andavo a fare Canzonissima. Un’esperienza fantastica! Sempre in treno, in aereo. I signori seduti accanto a me sbirciavano il libro che stavo leggendo pensando che fosse un romanzo di moda e scoprivano che leggevo logaritmi. Mi guardavano: “Ma questa è scema?”
Ma veramente si divertiva a scuola?
Mi sentivo anche un po’ a disagio. Pensavo: “Ma una cosa normale non mi capita mai?” Andavo a scuola la mattina coi libri sotto il braccio e avevo un lavoro, un marito e una figlia, Dalia.
È stata mai bocciata?
No, io studiavo. Facevo i compiti.
Faceva anche greco…
Una tortura! Ma perché i greci avevano i verbi irregolari?
La maturità?
Tanto batticuore.
L’università?
Lingue orientali. Cinese e russo. Poi medicina. Ma medicina non sono riuscita a finirla.
Perché medicina?
Ho sempre pensato che fosse giusto per una donna invadere il campo maschile. Basta con filosofia e con lettere che portano o nelle scuole o nelle biblioteche. Le donne si devono dedicare alle materie scientifiche. Da lì nasce il potere.
Perché non ce l’ha fatta?
Perché ho cominciato col cinema. Andai dal mio insegnante di anatomia e gli dissi: “Professore, ho un po’ di problemi con il lavoro”. E lui mi disse: “Vada a fare questi film. I film con le rughe non si possono fare, medicina si può fare anche con le rughe”. Non è stato un grande consiglio. Non ce l’ho più fatta a riprendere.
Che cosa ricorda del cinema?
Le alzate all’alba. “A Ombré, te mannamo ‘a machina a le cinque e mezza”. Io rispondevo: “Non sarà un po’ tardi?”
Che musica le piaceva da ragazzina?
Elvis Presley. Il rock and roll. A mio padre non andava giù. Lui era per Sinatra, Louis Armstrong, Ella Fitzgerald.
Qual è la più grossa stupidaggine che ricorda di aver detto?
Se ne dicevano parecchie. “Bisogna lasciare i nostri nemici in una pozza di sangue”. Ma si rende conto? Possibile che nel periodo più bello della vita fossimo tutti così incazzati e furibondi?
A che età è diventata milanese in pianta stabile?
A 17 anni, quando mio padre disse: “Basta andare in giro”. E io cominciai a lavorare. Ero affascinata dal mondo dello spettacolo. Sapevo centinaia di canzoni a memoria. Cominciai con uno spettacolo sul fascismo che credo sia stato uno dei più clamorosi insuccessi della storia teatrale italiana. Ero veramente giovanissima. E un po’ ignorante. A un certo punto chiesi al regista: “Perché vengo fuori con una camicetta bianca e la gonna nera a pieghe?” E lui: “Ma non posso lavorare con gente così!”. Qualcuno mi disse: “Era la divisa delle “piccole italiane””. E io: ”Ma chi sono le piccole italiane?” Un disastro insomma. Il regista bestemmiava. Io mi facevo il segno della croce. E lui si incazzava di più.
Che cosa ricorda della sua vita artistica?
Il teatro, Garinei e Giovannini, i monologhi come “Una donna tutta sbagliata”. Il cinema, Corbucci, Magni, Scola, Petri, “La terrazza”, “Arrivano i bersaglieri”.
E le canzoni?
“La mia mamma”, una vecchia canzone popolare alla quale Giorgio aveva rifatto il testo. La cantai a Canzonissima e fu un grande insuccesso. Poi ne scrisse Mario Soldati e decollò. Vendette quasi un milione di copie. Stette in classifica un anno.
Gli amori?
Ho conosciuto mio marito molto presto.
Ma ci fu un aristocratico prima, dicono le cronache.
Achille, un giovane conte, una persona carina. Avevo 16 anni. Durò un paio di anni. C’erano problemi.
La contessa madre, immagino…
Non ero la moglie che sognava per suo figlio. Poi c’era anche la contessa nonna. Un giorno Achille mi chiese di rimanere a pranzo da loro. La nonna comunicò che non sarebbe scesa a mangiare, “visto che c’era Ombretta”.
E lei si arrabbiava.
Come una jena. Poi cominciai a capire che avevano ragione le contesse. Io ero presa dal mio lavoro…
…che le piaceva più del conte…
…e non sarei mai stata una donna capace di rimanere a casa a fare le cene…
…e non soffrì molto a lasciare il conte…
Era una famiglia importante, ricca, che si credeva essenziale per i destini del Paese. A dispetto della contessa madre e della contessa nonna i fratelli di Achille, che si erano tutti sposati bene con rampolle dell’aristocrazia, divorziarono dopo un paio di anni.
Mentre lei incontrò il Principe Azzurro e visse felice e contenta.
La prima volta che mi invitò a cena, al momento di pagare il conto, Giorgio Gaber disse: “Paga tu che non ho soldi”. E ho continuato a pagare tutta la vita.
Giorgio è un taccagnone?
No. Gli secca andare in giro col portafoglio.
Un vero signore.
Un pigro.
Quando ha capito che stava cominciando a guadagnare tanto?
Quando sono andata a girare un film della Metro Goldwin Meyer in Egitto. Rimasi impressionata dalla diaria. Tipo 400 mila lire al giorno. Io tornavo in camera la sera e mi dicevo: “Adesso sono una ragazza ricca”.
Giorgio portò ad un ribaltamento di amicizie?
Inizialmente sì. Milano era diversa da Roma. Era più scalpitante. C’erano i cabaret, dove si faceva satira, il Derby, il Cab 64.
Chi erano i suoi amici?
A Roma i Corbucci. Laura Basile e suo fratello. Teo Teocoli. A Milano i cabarettari, Cochi e Renato, Jannacci, Dario Fo, Franca Rame, Lino Toffolo.
Lei è gelosa?
Da ragazzina lo ero. Adesso sempre meno. Una volta sospettavo che una mia amica ci provasse con Giorgio. Andai a casa sua con una pistola e le sfasciai casa.
E’ vero che lei ha avuto una storia con Gianni Morandi e Giorgio ha avuto una storia con Mariangela Melato? Quando qualche giornalista le rivolge questa domanda, lei non nega mai in maniera decisa.
Io ritengo che ci sia un limite alle domande. Non è che siccome sono una persona pubblica, debbo rispondere anche alle domande sui miei disturbi ginecologici.
Una cosa che ha sorpreso è stato il suo appoggio al Gay pride di Milano.
Perché ha sorpreso?
Perché è stata l’unica.
Io ho molto rispetto nei confronti dei gay. Molti di loro sono stati miei maestri di vita.
Non mi dica che è stata una decisione indolore.
Assolutamente no. Abbiamo ricevuto delle telefonate da far paura.
Perché il presidente della Provincia ha dato il patrocinio e il sindaco Albertini no? Avete gli stessi elettori, siete nello stesso partito…
Forse gli uomini hanno qualche problemino in più rispetto a una donna su questi argomenti. Poi io provengo da un mestiere dove molti sono omosessuali. A parte il fatto che abbiamo anche un senatore omosessuale tra i nostri, che è Zeffirelli.
Se lei fosse stata il sindaco di Milano…
…avrei dato il patrocinio, di sicuro.
Lei diceva che non si sente voltagabbana…
No di certo.
Chi potrebbe definire voltagabbana?
Francesco Rutelli. Radicale, capellone, socialista, verde. Adesso Margherita. Che cos’è? Un movimento cattolico? Rutelli mi sembra sempre uno che sta recitando una parte. E allora dico: “Recitava anche prima?”
Come definirebbe un voltagabbana?
Uno che indossa un abito non suo. Che sta sempre dalla parte più interessante. I socialisti stanno decollando? Sempre stato socialista! I verdi sono la cosa più eccitante del momento? Sempre stato ambientalista!
Voltare gabbana è una caratteristica della sinistra o della destra?
Della sinistra. Forse perché ha deluso le aspettative.
Che cosa dovrebbe fare uno che cambia idea?
Concedersi un momento di riflessione, di silenzio, di ritiro. E poi spiegare. Anche con dolore. Se non è un opportunista da due lire.
Altri voltagabbana? Bossi, Dini, Mastella…
Sono inciucetti politici. Io non credo che Mastella sia un voltagabbana. E’ un uomo di potere. Si diverte a sedersi sulle poltrone giuste.
Non ce la fa a stare all’opposizione. Prima o poi torna da voi.
Se ritorna non lo so. Però sicuramente passerà un periodo molto duro.
E nell’ambiente dello spettacolo?
Tutti questi cantanti di sinistra che prendono 130 milioni a concerto, spesso con le Feste dell’Unità, dove magari le tasse non si pagano, sempre belli stracciati, sempre dalla parte dei deboli… Ogni tanto vorrei dire, anche alla moglie del premio Nobel: “Togliti un orecchino e venti clandestini staranno meglio”. Un orecchino sto dicendo, mica tanto. Sempre lì a colpevolizzare gli altri: “Voi non date… voi non fate”. Ma comincia un po’ tu.
Non mi sembra proprio il caso di Franca Rame e di Dario Fo…
Una volta eravamo tanto amici. Baci e abbracci. Adesso quando mi incontrano provano quasi un po’ di schifo. Come se avessi una malattia infettiva. Come se avvicinandosi potessero correre qualche rischio. E’ una sensazione proprio sgradevole. Mentre per esempio Jannacci, che è assolutamente un uomo di sinistra, ha sempre detto: “Ombretta fa benissimo, a me non me ne frega niente di dove sta, è un’amica e a me sta bene così”.
Altri amici le hanno tolto il saluto?
Sabina Guzzanti. Non eravamo tanto amiche, veramente. Ma l’ultima volta che ci siamo incontrate mi ha guardato con un po’ di ribrezzo anche lei.
Teo Teocoli?
Teo se ne fotte.
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