- 15 Luglio 2004
Perché un grande sindacalista non diventa mai un grande politico? Qualche settimana fa Ottaviano Del Turco ha dato la sua spiegazione: perché è vissuto come uomo di parte. Questa settimana vado a sentire Sergio D’Antoni, un altro caso da manuale. Da leader della Cisl è stato uno dei più potenti sindacalisti del dopoguerra. Poi ha tentato l’impresa di ricostruire il grande centro democristiano. Ha vagato per un centro disabitato, è approdato in una poco accogliente destra berlusconiana e adesso ha parcheggiato nel partito di Mastella. La spiegazione di D’Antoni è più realista di quella di Del Turco. Dice che i politici non vedono di buon occhio l’arrivo del sindacalista affermato, non accettano che si inserisca automaticamente negli alti livelli.
Il grande sindacalista arriva in politica e dice: «Eccomi qua, sono un leader». E gli altri dicono: «Sei un pivello e fai la gavetta».
«Magari le parole sono altre, ma la sostanza non cambia».
Quali sono le parole?
«Dicono: non si può rompere l’equilibrio dall’esterno».
Come spiega il caso Cofferati? Al di là della vittoria bolognese, è stato respinto dalla grande politica.
«In verità si è subito ritirato dalla competizione nazionale. Ha scelto di non farsi sconfiggere e di ricominciare».
Esercizio di umiltà?
«Esercizio di realismo. Rischiare di meno non è umiltà. Io ho preso un’altra strada e ho rischiato molto di più».
Il suo impegno è cominciato all’università nel 1965. Come fu il ’68 a Palermo?
«Fu un movimento molto forte, riformista, meno ideologico che altrove».
Chi erano i leader?
«Cocilovo, Orlando, io, Riggio».
La famiglia, gli amici, la scuola?
«Padre impiegato di banca, madre casalinga. Per mia madre i figli dovevano entrambi laurearsi e fare una professione che li promuovesse socialmente. Studiavo, facevo sport, vendevo enciclopedie».
Quanto guadagnava?
«Otto mila lire per ogni enciclopedia venduta, che costava 120 mila lire».
Sua madre lo mandava in giro vestito da piccolo frate.
«A quattro anni presi l’acetone. Stetti molto male e i miei mi “dedicarono” a Sant’Antonio. Quando guarii, per due anni, indossai il saio».
Miti?
«Kennedy, Martin Luther King, don Milani».
Canzoni?
«Gino Paoli. Il cielo in una stanza e Sapore di sale».
Animo romantico.
«Mi innamorai subito di una ragazza al liceo. Avevo quindici anni e lei quattordici. La ragazza è poi diventata mia moglie».
Al sindacato come ci arrivò?
«Attraverso l’esperienza del Movimento Studentesco, il ’68, Lettera a una professoressa di don Milani».
Ci sono alcune parole chiavi del sindacalismo. Sciopero, assemblea, padrone.
«Per me la parola magica è concertazione. La parola con la quale sono cresciuto».
Mi definisca la concertazione.
«Individuazione di obiettivi comuni e comportamenti coerenti».
Chi sono i grandi amici e i grandi nemici della concertazione?
«Il grande amico è sicuramente Ciampi. Ma anche Amato e Prodi hanno dato un contributo. I grandi nemici sono Berlusconi e Bertinotti. La destra reaganiana considera la concertazione un intralcio. La sinistra antagonista la considera un tradimento».
Lei prova gioia nello sciopero?
«Lo sciopero è l’estrema ratio. E la concertazione lo evita. Quando Berlusconi disse che in Italia si lavora poco non si rendeva conto che da quando c’è il suo governo sono aumentate in maniera impressionante le ore di sciopero».
Berlusconi dice che gli scioperi sono aumentati perché i comunisti ce l’hanno con lui.
«Ha fatto diventare comunisti anche i postini. I postini sono cislini e democristiani da sempre».
Lei ha annunciato la nascita di Democrazia Europea da Bruno Vespa.
«Utilizzai Porta a porta perché determinava un maggiore interesse rispetto alla notizia».
Ci sono anche le conferenze stampa.
«Usare Porta a porta fu un errore. La politica è una cosa complessa. Non puoi comprimerla in una serata. Nelle ultime vicende ho usato la conferenza stampa».
Democrazia Europea inizialmente era D’Antoni, Andreotti e Zecchino.
«E alcuni simpatizzanti, Emilio Colombo, Mazzotta, Pippo Baudo, Scognamiglio».
Non siete riusciti a coinvolgere De Mita.
«Riteneva che non ci fosse spazio».
Il vecchio Ciriaco ha sempre ragione.
«Sempre è parola grossa. Ci sono battaglie che vanno fatte anche se si perdono».
Però, ultimamente, sembrano più le sconfitte che i successi.
«No. Un milione di voti in quel clima, contro due schieramenti che ti schiacciavano, sono un successo. Senza lo sbarramento del 4 per cento avremmo avuto una ventina di deputati».
Ma lo sbarramento c’era.
«L’Udc ha preso il 3,2 per cento e i 70 deputati li ha incamerati con l’accordo con il Polo. La loro è una vittoria e la mia una sconfitta? Secondo me è il contrario: io ho vinto e loro hanno perso».
Lei si sente un voltagabbana?
«Voltagabbana è chi cambia idea per ricavarne un vantaggio. Se avessi voluto avrei fatto il ministro con D’Alema».
Quante volte le è stato offerto un posto da ministro?
«Tre volte. Con Prodi, con D’Alema e con Amato».
Perché ha rifiutato?
«Credevo in una impostazione politica e volevo sperimentarla».
Però disse: «Sono contro la teoria dei due forni. Non andrò né a destra né a sinistra». Poi è andato a destra.
«E poi a sinistra. Io faccio i conti con la democrazia. Se il popolo mi dice che non c’è spazio per il mio forno io ne prendo atto. E cerco di portare avanti le mie idee e far fare alla Casa delle Libertà quella politica di concertazione che oggi chiede anche Montezemolo».
E fallisce.
«Perché Berlusconi non ha voluto fare la concertazione e perché l’Udc ha fatto finta di criticarlo ma ha obbedito. Ho chiesto a Follini di uscire dal governo per dimostrare che la critica corrispondeva a un comportamento. Ma lui non si è mosso. Anzi, anche in questi giorni, fa solo finta di farlo. E accusa me di trasformismo. Trasformista è lui».
E Casini?
«Da parte sua silenzio assoluto. Ha solo detto: “D’Antoni se ne va, è una perdita, però così Follini è più tranquillo”».
Anche perché ha vinto le elezioni.
«Ha vinto? Andrei cauto sul dire che ha vinto».
Se la vendono come vittoria.
«Se la vendono. Nel ’99 avevano il 4,8 per cento. Hanno guadagnato un punto. Che è magari il punto che gli ho portato io».
Ma lei se ne è andato prima delle elezioni.
«Sono andato via 50 giorni prima delle elezioni. Molti dei miei sono rimasti là. Basta guardare i candidati e i voti che hanno riportato».
Lei sta dicendo che un po’ della vittoria di Follini è merito suo?
«Assolutamente sì. E comunque mi fa ridere un’alleanza che perde sei punti e si crogiola dietro il fatto che alcuni di loro hanno preso un punto in più».
Pomicino è voltagabbana? Appena si è sentita aria di sconfitta, è passato col centro-sinistra.
«L’aria in politica non esiste, si determina».
Monica Setta ha scritto che quando lei è sceso in politica ha cambiato look. Cravatte di Marinella, scarpe di artigianato, vestiti di Brioni.
«Nessun cambio. Non ho mai smesso di criticare i sindacalisti che vestivano male. Quando faceva moda andare con eskimo e jeans per scimmiottare gli operai, io dicevo: “Guardate che l’operaio, la domenica quando esce con la sua famiglia, si veste col meglio che ha”».
Chi è voltagabbana secondo lei?
«Oltre Follini? Adornato. Da militante comunista a berlusconismo, anzi al massimo del berlusconismo».
Quand’è che ha deciso di lasciare l’Udc?
«I miei dubbi hanno toccato il massimo il
giorno del congresso di Forza Italia. Non era un congresso, era un processo di beatificazione».
Lei si sente ogni tanto adulato?
«Nel periodo migliore della vicenda sindacale in qualche circostanza lo ero».
Si è beccato un bullone sui denti, una volta, durante un comizio.
«Quel bullone fu tutta salute. Rappresentava lo spartiacque. Tiravano i bulloni quelli che non amavano la concertazione. In una piazza di 80 mila, erano solo due mila. Tiravano di tutto. Ortaggi, batterie, frutta. Ho parlato venti minuti sotto quella pioggia. Alla fine abbiamo raccolto dieci mila lire in monete da cento».
Con quel bullone ci ha un po’ marciato. Ha girato per mesi col bullone in tasca.
«Un po’ di aspetto eroico c’è stato. Avevo la camicia macchiata di sangue. Dissi: “La polizia stia al suo posto. I provocatori saranno battuti dai lavoratori”. Nel giro di tre minuti i 78 mila fecero smettere i due mila. Conclusi il comizio tra gli applausi della piazza. È chiaro che mi sono portato appresso il bullone da quel momento».
Che bullone era?
«Nemmeno tanto grosso».
Un quattordici?
«Grosso modo».
Parliamo di adulazione: le donne del suo partito hanno invitato a votarla perché «è un bell’uomo e viene dal mare».
«Uno incassa il complimento e se lo tiene».
L’idea di adulazione chi gliela dà?
«Bondi, Schifani, Baget Bozzo non riescono a dire tre parole di seguito senza nominare Berlusconi».
Giustizialista o garantista?
«Non c’è dubbio che ci sono state delle esagerazioni. Ma il crollo della Dc e del Psi è stata una vicenda politica, non giudiziaria. Dei partiti sani non sarebbero stati travolti».
Lei era invitato alle cene di Arcore?
«No. Io non sono andato a nessun vertice perché Follini si guardava bene dal portarmi».
Ha notato una tendenza a tenerla fuori?
«Una tendenza? Una decisione! Loro andavano una sera si e una sera no. Ed io lo leggevo il giorno dopo sui giornali».
E lei non diceva niente?
«Non me ne fregava niente».
Però…
«Il modello di partito personale che Berlusconi ha inventato alla fine è imitato da tutti. Che cosa stanno facendo se non tanti partitini personali? Il partito di Bossi, il partito di Fini, il partito di Follini».
Che cosa pensa di Berlusconi?
«È bravissimo a vincere le elezioni, ma a governare non ce la fa. Sa come proporsi ma non sa come amministrare».
È vero che da giovane il suo sogno era di fare il leader?
«Sognavo un ruolo riconosciuto. Fin dalla scuola mi è sempre stata riconosciuta capacità di guida».
Parliamo dei suoi colleghi. Del Turco?
«Ci univa la passione per il calcio. Trentin invece lo considerava l’oppio dei popoli. A Trentin piaceva l’alpinismo. Quando c’era una partita con l’Italia tifava contro. Trentin dava una immagine di freddezza intellettuale. Ma era molto simpatico. Se discutevamo si finiva sempre con una barzelletta. Cosa impossibile con Cofferati. Con lui era impossibile socializzare, scherzare. Cofferati è il sindacalista con il quale ho avuto le maggiori difficoltà umane».
Marini?
«Con lui c’è stato un rapporto di militanza, di colleganza e anche di amicizia».
Bertinotti?
«Con lui ho avuto discussioni di grande dialettica, ma sempre di una civiltà assoluta».
Come giudica le leggi che ha fatto approvare Berlusconi? Quelle cosiddette «ad personam».
«Errori clamorosi causati dai suoi avvocati. L’unica legge vera, di sistema, che era giusto fare, è stata la Gasparri. Ma andava fatta diversamente e così come era non andava votata».
Gioco della torre. Mimun o Mentana? Chi butta?
«Sono inesistente per entrambi».
Guzzanti o Adornato?
«Adornato esagera nell’adulazione. E siccome lo stimo, lo butto».
Marco Travaglio o Massimo Fini?
«Travaglio ha fatto una battaglia sbagliata, assurda, giustizialista, priva di senso contro il mio amico Cocilovo».
Pera o Casini?
«Butto Pera. Quando si va a commemorare l’anniversario della morte di Falcone non si possono attaccare i magistrati».
Prestigiacomo o Melandri?
«La Prestigiacomo ha fatto cose importanti per le donne. Ma non dovrebbe andare a fare la valletta a tutte le manifestazioni di Forza Italia».
Di Pietro o Occhetto?
«Butto tutti e due. Non ho capito né il motivo per cui si sono messi insieme né quello per cui si sono separati».
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