- 21 Aprile 2005
Fu chiamato il «notaio della crisi» perché, capogruppo di Rifondazione, spiegò in Parlamento, pur essendo lui contrario, i motivi per cui il suo partito ritirava la fiducia al governo Prodi. Era il ‘97. Oliviero Diliberto, oggi segretario dei Comunisti Italiani, ricorda. «Sono passati tanti anni, posso rivelare come andò. La notte prima si riunì la segreteria di Rifondazione e io fui l’unico a schierarsi contro la crisi. Bertinotti, Giordano, Ferrero erano favorevoli. Rizzo, Cossutta, Marino la pensavano come me. Ma per ragioni di opportunità non si dichiararono».
L’unico contro la crisi spiegò perché si apriva la crisi.
«Càpita, quando ricopri un ruolo di portavoce. Appena pronunciato l’intervento iniziai a lavorare per ricucire. Nel giro di due giorni la crisi rientrò. Io mi beccai una malattia psicosomatica della pelle, la pitiriasi, e mi ricoprii di orribili bolle rosse».
L’anno dopo nuova crisi e scissione dei Comunisti Italiani. Oggi che Bertinotti è alleato dell’Ulivo non si potrebbe ricomporre la scissione?
«Ho proposto a Bertinotti di fare liste comuni e rimettere assieme i cocci. Ha detto di no. Ma io sono paziente».
Caduto il governo Prodi non sarebbe stato giusto votare?
«Con il senno di poi due cose farei in modo diverso: la crisi nel partito un anno prima, nel ‘97, e elezioni anticipate nel ‘98».
Il governo D’Alema ti ha fatto diventare ministro.
«Per un po’ ho pensato che arrivasse qualcuno a dirmi: “Lei è su Scherzi a parte”».
Vauro ha detto: «Ogni volta che vedevo Diliberto e pensavo che era diventato ministro mi veniva da ridere».
«Vauro è come se fosse mio fratello. La sera che sono diventato ministro abbiamo festeggiato a casa mia, con le nostre mogli: una scatola di tonno e pastasciutta avanzata del giorno prima».
Soffri di non essere più ministro?
«No, e aggiungo che non intendo tornare al governo».
Se Prodi vince e te lo offre?
«Abbiamo molti bravissimi compagni».
Ma se lo offre a te?
«Spero decida il partito, non Prodi».
Andò così anche con D’Alema? Fu il partito a scegliere?
«Ad onor del vero no. Noi avevamo indicato Ersilia Salvato e Nerio Nesi. D’Alema insistette per avere me».
La sinistra ha dato buona prova di sé al governo?
«Non del tutto. Abbiamo fatto alcune scemenze totali. Non abbiamo fatto la legge sul conflitto di interesse. Abbiamo aperto il varco alla precarizzazione. Ma soprattutto non abbiamo fatto percepire quello che facevamo: il tanto vituperato Visco aveva avviato una possente politica del recupero dell’evasione fiscale. Si recuperavano 10-15 mila miliardi di vecchie lire l’anno che sono servite anche a risanare i conti pubblici. Ma non ne parlava nessuno».
Hai fatto errori come ministro?
«Avrei dovuto usare più coraggio per risolvere le lungaggini dei processi civili. Le resistenze erano forti. L’ambiente giudiziario, destra o sinistra, è molto conservatore».
Andare a ricevere la Baraldini all’aeroporto è stato un errore?
«Ho solo consentito alla madre della Baraldini, che non vedeva la figlia da anni, di abbracciarla fuori dal carcere. L’ho portata a Ciampino e me ne sono andato. Silvia l’ho incontrata per la prima volta dopo che ho finito di fare il ministro».
Non risolvere il caso Sofri fu un errore?
«A quei tempi la condanna non era definitiva, quindi non potevo dare la grazia».
Altrimenti l’avresti data?
«Sì, indipendentemente dal giudizio. Solo in considerazione del comportamento che ha tenuto Sofri in tutti questi anni».
Tu hai fatto avere la grazia a qualcuno?
«Sì. Ad Adriano Carlesi, anche lui di Lotta Continua. Era stato condannato a 30 anni per una storia di assegni falsi per la quale, al massimo danno un paio di anni».
Complimenti all’avvocato.
«Non gli avevano riconosciuto la continuazione del reato. Dopo undici anni di galera cominciò lo sciopero della fame. Non era famoso e nessuno se lo filava».
La grazia per Sofri è arrivata a un vicolo cieco. Ciampi chiede a Castelli che istruisca la pratica e Castelli non lo fa.
«Castelli ha tirato fuori tutta la sua tigna feroce e asimmetrica. Non si può fare una legge per salvare Previti e poi ritenere che persone come Sofri, e ce n’è tante nelle sue condizioni, debbano rimanere in galera sempre e comunque».
Tu sei veramente comunista?
«Nella versione italiana».
Da ragazzo pensavi alla rivoluzione?
«Il mio punto di riferimento era Giorgio Amendola. Sono rimasto lì. Tutti gli altri mi hanno scavalcato a destra».
Un esempio?
«Gianni Pilo, movimento studentesco. Per lui io ero uno sporco revisionista».
Tu sei uno dei pochi politici di Cagliari.
«È vero. Tutti i principali dirigenti politici che arrivano dalla Sardegna sono di Sassari: Cossiga, Berlinguer, Segni, Manconi, Parisi, Pisanu, Angius».
Nasci borghese.
«Padre funzionario della Regione, mamma insegnante al liceo. Nessuno dei due comunista. Il primo impatto con la sinistra lo ebbi nel 1969 in quarta ginnasio. Mi dettero un volantino e fu una folgorazione. Diventai segretario provinciale della Fgci».
E la contestazione?
«Non avevo nessuna passione per le esperienze cinesi. Assistevo allibito alle eterne discussioni sul Libretto Rosso di Mao. Non avevo nemmeno il mito del Che. Semmai pensavo al Vietnam. Nel 1996 ho incontrato il generale Giap. Grande emozione. Forse perché ignoravo che fosse ancora vivo».
Ti rimproverano di essere amico di Dell’Utri.
«L’avrò visto tre volte. Ci siamo incontrati perché è un collezionista di libri antichi».
Come te.
«Io non ho i soldi di Dell’Utri. Sono solo uno studioso».
Sei amico di Nicola Grauso.
«Questo sì. Era l’editore di Rinascita».
Un po’ chiacchierato…
«Per cose che non hanno a che fare con me».
E quando regalò le rotative a Liberazione?
«Panzana. Io ero direttore di Liberazione. Con fior fior di fattura dimostrammo in tribunale che le avevamo comprate da una ditta che non c’entrava nulla con Grauso».
Non era reato farsi regalare le rotative da Grauso?
«Ma non era vero».
Perché finì in tribunale?
«Grauso allora era schierato con Berlusconi. Qualcuno scrisse che Rifondazione era legata indirettamente a Berlusconi accusandoci di collusione col nemico. E Liberazione querelò».
Chi è stato il miglior ministro della Giustizia degli ultimi tempi?
«Diliberto».
E dopo Diliberto?
«Flick. Ma aveva difficoltà a tradurre in atti parlamentari il suo splendido progetto. Io, da buon artigiano, lo feci approvare. Ma era farina del suo sacco».
Chi sono i tuoi nemici?
«Castelli non mi ama».
E tu lo ami?
«Siamo in causa».
Da Anna La Rosa ha detto che tu mandi la gente a sprangare.
«E infatti l’ho querelato».
Tra i nemici c’è anche Marcello Pera.
«Quando sembrava che dovesse diventare ministro della Giustizia disse: “La prima cosa che farò: toglierò la scrivania di Togliatti portata da Diliberto”».
Gli è andata male.
«Non l’avrebbe trovata. E non l’ha trovata nemmeno Castelli».
L’hai fatta sparire?
«Ho chiesto a un amico di metterla in un altro ufficio, in modo che si confondesse con le altre».
Giovanardi ti considera un forcaiolo.
«Giovanardi è ossessionato dai comunisti. Poveretto, deve essere drammatico per un dc nascere e crescere a Modena».
Dalla destra sei considerato più nemico tu o Bertinotti?
«Credo io. Sono percepito come un comunista più ortodosso. Anche come tratto personale».
Come look siete simili. Elegantoni tutti e due.
«Mi vesto al buio per non svegliare mia moglie. Se risulto elegante è un caso».
I redattori di Liberazione ti chiamavano Diliberja.
«Non facevo epurazioni. Facevo il direttore, decidevo».
Quando Sirchia ha fatto approvare il divieto di fumo nei locali pubblici tu hai detto che avresti trasgredito.
«Poi ha vinto il comunista rispettoso della legge. E così adesso fumo nel cesso come quando ero a scuola».
Chi ti piace a destra?
«Beppe Pisanu. Era nella segreteria politica di Benigno Zaccagnini. È bizzarro che stia con Berlusconi».
È un voltagabbana?
«No. Non l’ha fatto per interesse. Voltagabbana sono Cicchitto, Adornato, Guzzanti. Cicchitto ha scelto il Polo per ritornare in auge. A sinistra non ce l’avrebbe fatta».
Che ne dici della sua idea di chiudere gli stadi frequentati dai violenti?
Sarebbe come abolire il calcio. Mi convince di più una soluzione all’inglese contro il tifo violento.
A Lazio-Livorno sembrava di vedere un incontro tra partiti piuttosto che una partita di calcio.
«Allora la prossima volta la partita la facciamo a Porta a Porta. La famiglia di mia madre è di origine livornese. Io sono comunista: secondo te da che parte starei?
Ci sono giocatori che alzano il pugno chiuso, come Lucarelli, e altri che fanno il saluto fascista, come Di Cagno,dopo ogni gol.
«Il saluto fascista è vietato dalla legge. C’è una bella differenza».
Torniamo ai voltagabbana. Adornato?
«Lo ricordo direttore di Città Futura. Molto più a sinistra di me».
E Guzzanti?
«Io sono nella commissione Mitrokhin che lui presiede in modo iperfazioso, col livore tipico di coloro che debbono dimostrare di essersi convertiti».
Ricordo una rissa epocale da Vespa.
«Io sono un tipo equilibrato. Quasi mai ho alzato la voce in vita mia. Ma quel giorno a Porta a porta si sarebbe arrabbiato anche San Francesco. Guzzanti è strafottente, maleducato, induce alla reazione violenta».
Chi ti piacerebbe che da destra venisse a sinistra?
«Follini».
Molti rispondono Fisichella e Tremaglia.
«Puoi dimenticare che Tremaglia è uno di Salò? Che Fisichella è un monarchico?».
Ha aperto la strada Pomicino.
«Erodoto narra che i navigatori fenici quando pensavano di essere vicini alla meta, buttavano in mare un maialino che per istinto nuotava verso terra. Lo chiamavano «maialino pilota». Pomicino è un maialino pilota. Va dove si vince. Visto che è venuto da noi, non ho dubbi: vinceremo».
Serena Dandini ha detto che sei un bell’uomo.
«È una donna di gusto».
Chi è la più bella donna in politica?
«Sicuramente una del mio gruppo».
Risposta non valida.
«È una bellissima donna Gabriella Pistone. È bella anche Katia Bellillo».
Ma pericolosa.
«Per la storia con la Mussolini a Porta a porta? L’ho rimproverata».
Perché una parlamentare non deve picchiare?
«Perché doveva farlo meglio».
Che dici della barca di D’Alema?
«La polemica era strumentale. Però io non avrei fatto quel servizio fotografico».
D’Alema è molto disinvolto. Pubblica libri con la casa editrice di Berlusconi prendendo sostanziosi anticipi.
«Io non avrei pubblicato con Mondadori. Ma sono peccati veniali».
Quali leggi aboliresti se vincesse il centro sinistra?
«La legge Biagi, la riforma della Moratti, la riforma dell’ordinamento giudiziario, se l’approveranno. L’ideale sarebbe un decreto legge di un solo articolo: «Aboliamo tutto quello che ha fatto Berlusconi». Purtroppo non si può. Berlusconi lo farebbe. Lui disprezza solennemente le regole».
Siamo in un regime?
«Ci sono tutte le avvisaglie. Un regime inedito, senza manganelli e olio di ricino. Restringimento graduale degli spazi di libertà utilizzando gli strumenti di comunicazione di massa e il progressivo abbattimento del sistema costituzionale».
Gioco della torre. Taormina o Mancuso?
«Taormina butta in caciara qualunque processo. Pensa a Cogne. Una cronaca nera familiare terribile è diventata fiction».
Santanchè o Mussolini?
«La Mussolini si è alleata coi nazisti. Ha perso la bussola».
Socci o Masotti?
«Socci è un invasato. A Excalibur. È riuscito a dire che la seconda guerra mondiale l’ha scatenata l’Unione Sovietica. Gli ho detto di rileggere il sussidiario».
D’Alema o Veltroni?
«Non posso buttare nessuno dei due. Io sono uno dei pochi amici di entrambi».
Dimmi i loro difetti.
«Di Veltroni non mi piace il buonismo. Di D’Alema il cattivismo. Ma sono vezzi».
Anche il buonismo è un vezzo?
«Chi fa politica per tanti anni non può essere tanto buono. Un po’ di disincanto è necessario».
Perché Cofferati ha fatto retromarcia?
«Non riesco a spiegarmelo. Non ha voluto rischiare la rottura a sinistra. Ma il conflitto sociale, i girotondi, i no global, i pacifisti avevano trovato in lui una figura che li poteva unificare nella loro diversità. Cofferati avrebbe potuto diventare il capo di quella vasta area. Io avrei fatto un passo indietro come segretario del mio partito».
Lo avrebbe fatto anche Bertinotti?
«Credo di no».
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