- 25 Ottobre 2001
Lamberto Dini è una presenza costante nelle interviste di questa inchiesta sui voltagabbana. Ministro berlusconiano prima. Poi presidente del Consiglio votato dalla sinistra. Infine candidato dell’Ulivo. «Il voltagabbana», dice, «è colui che è stato eletto in Parlamento con un partito e poi durante il mandato aderisce ad altri partiti». Appunto. Data questa definizione, lei come si collocherebbe?
«Io non ero un parlamentare quando sono entrato a far parte del governo berlusconiano».
Sembrerebbe un cavillo.
«Io non sono mai stato di Forza Italia. Venivo dalla cosiddetta Società Civile».
È comunque indiscutibile che lei è passato dallo schieramento di destra a quello di sinistra.
«Non sono io che ho voltato le spalle al governo di destra. Sono loro che hanno voltato le spalle a me. Ricorda? Era caduto il governo Berlusconi e lui stesso aveva fatto il mio nome al presidente della Repubblica per formare il governo. Gli accordi erano: governo di programma, composto esclusivamente da non parlamentari. Io formai un governo molto equilibrato in cui c’erano cinque ministri «berlusconiani», Frattini, Mozzo, Gambino, Mancuso e Corcione. Tutti gli altri erano persone di centro. Un governo di tecnici. Nonostante questo mi telefonavano continuamente per fare pressioni».
Ho letto: Previti, Berlusconi, Letta…
«Da qualcuno di Forza Italia ricevetti anche minacce. Mi invitava a rinunciare al mandato. Se non lo avessi fatto…».
Ma lei non rinunciò.
«E infatti, puntualmente, quelle minacce hanno avuto un seguito».
Può essere più chiaro?
«Per adesso no».
Quali erano i ministri che loro volevano?
«Alcuni che lo erano stati nel governo Berlusconi. Urbani… Fisichella… Tremonti…, ma questo era contrario agli accordi presi con il Quirinale.».
Conclusione?
«Il governo non fu votato da Forza Italia e dalle altre forze del centro destra che lo avevano promosso. Chi è il voltagabbana?».
Berlusconi?
«Veda lei. Il centro destra mi voltò le spalle».
Perché le ha voltato le spalle?
«Opinioni divergenti all’interno del centro-destra che venivano dalle altre forze».
Senatore Dini, se fossimo più trasparenti?
«An voleva le elezioni. Berlusconi la pensava diversamente ma all’interno del Polo era nato questo atteggiamento di ostilità al governo del quale non poteva non tener conto».
Fini?
«Non solo Fini. Anche altri, se ricordo bene, i Buttiglione… i D’Onofrio…».
Resta il fatto che da quel momento il suo governo diventa di centro-sinistra.
«In Parlamento nacque una maggioranza spontanea».
E Berlusconi le dà del traditore.
«Durante quell’anno e 15 mesi di governo ricevetti svariate bastonate dal centro-destra , mozioni di sfiducia ed altro!».
E alla fine del suo governo? È vero che Berlusconi le offrì la leadership del Polo?
«No. L’offerta era quella di astenermi dalla politica attiva in cambio di altri incarichi».
Tipo?
«Essere una riserva della Repubblica, come dicevano loro. Ma io decisi di fondare Rinnovamento Italiano. Alle elezioni presi il 4,3 per cento dei voti. Contribuii fortemente alla sconfitta del centro-destra».
Quanti eletti?
«27 deputati e 12 senatori. Ma era un’alleanza elettorale. Infatti i socialisti se ne andarono per conto loro, quelli del Patto Segni anche. Quando si crearono i Democratici, Rivera, Fantozzi, la Mazzucca, Lucio Testa e altri vollero saltare sul carro di quello che sembrava il partito emergente. Poi alcuni di questi non sono stati più nemmeno rieletti. Vede, non paga essere voltagabbana».
Ma nessuno andò dall’altra parte…
«Tranne il giovane Ricciotti e l’ex onorevole Staiano che è stato trombato».
Trombato? Senatore!
«Trombato. Questa è la parola che voglio adoperare per l’onorevole Staiano. Staiano è un vero voltagabbana. È stato eletto in Parlamento da Rinnovamento Italiano, poi è andato coi quattro gatti di Cossiga, poi con Forza Italia che lo ha presentato in Piemonte. Dove è stato trombato».
A proposito di voltagabbana. Lei offrì la candidatura in Rinnovamento Italiano a Dotti, l’ex avvocato di Berlusconi.
«Ci fu un avvicinamento. Ma alla fine Dotti decise di non entrare in rotta di collisione con Forza Italia».
Lei è di Firenze. Origini umili…
«Beh, dignitose e oneste».
Dal negozio di frutta e verdura a Palazzo Chigi!
«Io sono molto orgoglioso dei miei genitori, dell’intelligenza con la quale mi hanno incoraggiato e sostenuto e anche di quanto ho fatto professionalmente».
Che tipo era da ragazzino?
«Avevo poca voglia di studiare. Ma dai 16 anni in poi ho cominciato a prendere passione. Alla fine la laurea l’ho presa con 110 e lode e pubblicazione di parte della tesi. Sono stato immediatamente assistente all’università a Roma e a Firenze. Poi andai negli Stati Uniti».
Se non studiava, che cosa faceva?
«Giocavo al calcio in una squadra di dilettanti di Firenze, la Caligaris. Ero mediano sinistro. Partecipavo alle attività del gruppo dei boy-scout di Ognissanti. Giocavo a biliardo con gli amici. Partecipavo a qualche spettacolo di teatro dialettale; Ma ero piuttosto timido e impacciato».
È vero che aveva la barba?
«Dopo l’università, negli Stati Uniti. Ero veramente anticonvenzionale a quei tempi. La barba l’avevano i pittori e gli artisti. Nel mondo della finanza e dell’economia era a malapena tollerata in Italia. Le istituzioni erano ancora estremamente conservatrici».
Anche Berlusconi non voleva barbe alla Fininvest.
«Questo dimostra quanto fosse conservatore. E lo è ancora».
Che tipo di barba aveva?
«Non lunga, abbastanza rasata».
Come la mia?
«Sì, però nera».
Facile: era giovane.
«Al Fondo Monetario, dove lavoravo, mi dissero amichevolmente che non era il caso. Io decisi che le ragioni amorose che mi avevano indotto alla barba erano venute meno. E mi tolsi la barba».
I suoi amori?
«Tanti».
Lei non è un uomo stupendo. Lo hanno perfino soprannominato «il rospo».
«Fu il presidente Scalfaro riferendosi al fatto che con il mio governo l’opposizione avrebbe dovuto ingoiare il rospo».
Quindi era un rospo politico, non estetico…
«Un rospo da ingoiare».
Dicono che lei da giovane fosse un bel ragazzo.
«Beh, mi difendevo».
E anche con le donne si difendeva.
«Ne ho avute la mia parte».
Il primo amore se lo ricorda?
«E come si fa a dimenticare il primo amore?».
Una vicina di casa? Una compagna di università?
«Il grande amore era una bellissima donna di Firenze che aveva 25 anni. Io ne avevo 19».
Fu il primo amore?
«Fu un grande amore. Una bellissima donna».
Come mai andò in America?
«Avevo ottenuto borse di studio di grande prestigio: la Fullbright, la Stringher. Ma mentre ero negli Stati Uniti all’università di Michigan, qualcuno da Roma, non seppi mai chi, fece il mio nome al Fondo Monetario. Io non ne volevo sapere. Ma l’offerta era allettante professionalmente e economicamente…».
Allettante quanto?
«Quasi mezzo milione al mese, nel 1959, quando in Italia si entrava in banca con la laurea con stipendi di 65 mila lire al mese».
La sua carriera si è costruita nel Fondo Monetario.
«Sono stato fortunato. Divenni direttore esecutivo nel 1976».
Lei è praticamente americano.
«Ho vissutonegli Usa 20 anni. Mi sono anche sposato negli Stati Uniti. Con Solange. Il matrimonio è durato una quindicina di anni. Ho avuto una figlia, Paola».
È vero che Bokassa se lo voleva mangiare?
«Per il Fondo Monetario andai nella Repubblica Centroafricana. Non posso rendermi conto se ho corso veramente dei rischi ma certamente negai a Bokassa un finanziamento. Lui era un grande uomo di teatro. Indicandomi il suo ministro delle Finanze disse: “Questo cretino non mi ha detto nulla. Lei ha reso un grande servizio alla Repubblica Centroafricana”. E mi decorò sul posto Cavaliere del Centroafrica. Il ministro fu licenziato».
Furio Colombo mi ha detto che in America un voltagabbana sarebbe impensabile.
«Ma che impensabile! Ce ne è stato uno clamoroso proprio in questa legislatura: un senatore eletto con i repubblicani è passato con i democratici, facendo cambiare maggioranza e tutte le presidenze delle commissioni».
Esiste il termine voltagabbana in inglese?
«Certo: turncoat».
Quando tornò in Italia?
«Nell’autunno del 1979 fui nominato direttore generale della Banca d’Italia».
E governatore fu nominato Azeglio Ciampi. I giornali cominciarono a parlare di dualismo, di non perfetto accordo. E infatti quando Ciampi lasciò il posto di governatore, per diventare presidente del Consiglio, indicò Fazio come suo successore, non lei.
«Furono i politici a scegliere».
Cioè?
«Cioè la Dc. Che scelse Fazio. Che era più democristiano di me».
Ma le forze politiche erano anche Ciampi, presidente del Consiglio.
«Che non indicò Fazio».
Si disse che volesse Tommaso Padoa Schioppa.
«Risulta anche a me».
Quand’è che conobbe Berlusconi?
«Intorno al ’79».
Le piaceva?
«Era brillante, un imprenditore di grande successo che sapeva vendere bene i suoi prodotti».
Le piace come politico?
«A volte sì a volte no. La sua vittoria del ’94 sembrava aprire una nuova prospettiva per l’Italia. Ricordo che perfino Eugenio Scalfari scrisse: “Governerà l’Italia per almeno dieci anni”».
Il Berlusconi di allora è il Berlusconi di oggi?
«Il Berlusconi di oggi è diventato molto più politico, più prudente. Nel 1994 Berlusconi pensava che un governo si gestisse come un’impresa dove il padrone decide tutto. Per lui fu uno choc scoprire di non poter fare tutto quello che aveva in mente. Infatti lui non ricorda con piacere quel periodo a Palazzo Chigi».
E adesso?
«Adesso è più attento a non urtare certe sensibilità sociali. Infatti la finanziaria presentata da Tremonti è una finanziaria timida che non affronta le grandi questioni, né soddisfa le grandi promesse fatte in campagna elettorale».
E il contratto che aveva firmato con gli italiani?
«Dovremo aspettare. L’Irpef non deve ridursi a due aliquote del 25 e 33 per cento?».
Lei ha ancora rapporti con la gente del centro-destra?
«Ho mantenuto rapporti di cordialità con Forza Italia in generale, con il presidente Berlusconi, con Gianni Letta, con Antonio Martino, Con Franco Frattini, con Giulio Tremonti e anche altri.. È nel mio stile. Non faccio una politica partigiana e gridata».
Non mi sembra.
«Se ci sono delle cose da dire le dico. Ma nell’ambito della corretta dialettica politica e non di quella sguaiata».
Lei passa per un collerico…
«È raro che perda la pazienza».
Una volta, in Parlamento, lei era primo ministro e si stava votando una mozione di sfiducia, le scappò perfino un «cazzo!».
«Nella registrazione della seduta non si sente».
Per non parlare di quando litigò con Filippo Mancuso, ministro della Giustizia.
«Bisogna che sia molto irritato per perdere la pazienza. Se c’è un contrasto molto duro divento gelido piuttosto che scaldarmi».
Mancuso chiamava lei e Scalfaro «compagni di merende»…
«Con Mancuso ho fatto pace. Gli ho detto: “Filippo, chiudiamo questa cosa”».
E lui?
«Mi ha detto: “Sono commosso”».
Parliamo dei guai giudiziari di sua moglie Donatella?
«Strumentalizzazione politica legata anche alla vicenda della formazione del mio governo e di Rinnovamente Italiano. Illustri principi del foro che hanno letto le carte mi hanno detto: “Non c’è niente contro sua moglie, questo è un attacco politico contro di lei”».
Tutto per non aver fatto il governo che voleva Berlusconi?
«Non ho detto questo. Ho detto che tutto deriva anche dalle inimicizie nate dal ’96 in poi. Non posso dire di più, ma so benissimo quali sono state le fonti e di chi si sono serviti per fare tutto questo».
Adesso è tutto finito?
«È venuto meno il movente politico: ci sono state le elezioni e il centro-destra ha vinto. Io poi ho assunto una posizione di non aggressione politica tant’è che non ho accettato nemmeno di fare il capogruppo che mi avrebbe messo in grande contrasto con la maggioranza in parlamento».
Come ha conosciuto sua moglie? È stato un colpo di fulmine?
«Siamo stati veloci. Ci siamo sposati sette mesi dopo esserci conosciuti».
La leggenda dice che lei la conquistò con le canzoni della Vanoni e con un’anatra al pepe verde.
«Sono un buon cuoco».
Sua moglie ha raccontato che il suo corteggiamento fu molto discreto.
«Non c’è cosa peggiore per un uomo che essere rifiutato».
Poi, a una certa età…
«L’aspettativa di vita è molto cresciuta».
Chi sono i suoi amici? Un’ipotetica cena per festeggiare il suo compleanno chi vede attorno al tavolo?
«Massimo Ponzellini, Diego Della Valle, Luigi Bisignani, Paolo Panerai, Alberto Clò, Rainer Masera, Mario D’Urso».
Giancarlo Perna ha scritto che quando lei va allo stadio la Fiorentina perde.
«Perna sappiamo chi è. Ogni tanto tira fuori i suoi peggiori istinti di giornalista».
Perna cita Fiorentina-Lazio 1 a 6.
«Non cita tutte le volte che la Fiorentina ha battuto la Juventus, l’Inter o il Milan e io ero presente».
Ogni tanto qualcuno cerca di coinvolgerla in qualche scandalo. Come quello della piscina sui tetti di Roma.
«Una grande vasca in una stanza. Tutto regolare. Scandaloso fu l’assessore De Luca che tirò fuori questa storia. Cercarono anche di speculare sul fatto che abitavo in una casa della Banca d’Italia. Affitti di favore, dissero. Quando videro che pagavo 10 milioni al mese si ritirarono in buonordine».
E paga ancora 10 milioni al mese?
«Pago di più, ora».
Guadagna sempre 800 milioni all’anno?
«Era lo stipendio alla Banca d’Italia. Quando ho fatto il presidente del Consiglio, il mio stipendio era di 4 milioni e mezzo netti. Se non fosse stato per la pensione della Banca d’Italia, non avarei nemmeno potuto pagare l’affitto».
Avrà mica sposato sua moglie per interesse?
«No, quando ci siamo sposati ero già benestante».
È vero che lei è massone?
«Qualche volta è stato detto, ma è un’assurdità. I miei genitori, molto cattolici, mi parlavano della massoneria come di una sorta di setta segreta dalla quale stare lontani».
Il suo amico Luigi Bisignani era della P2.
«Posso aver frequentato persone della massoneria. Ma certo non sono massone io. Ho frequentato per motivi professionali anche il ministro Stammati. Il settore della finanza e dell’economia è sempre stato un po’ in odore di massoneria… Molti della Banca d’Italia… perfino Ciampi si è dovuto difendere dal sospetto di essere massone…».
Un altro che lei frequenta è Berlusconi. Tessera P2 numero 1816…
«È vero. Ma io non ho mai avuto alcun rapporto e tantomeno un legame con la massoneria».
Lei tornerebbe col Polo?
«Ho un patto con gli elettori fatto nel ’96 e rinnovato nel 2001 e del quale sono orgoglioso. Non tradisco il mio mandato. Se in futuro nascessero le condizioni per una grande coalizione in Italia… chissà».
Però lei è un liberale…
«Un liberaldemocratico».
Il suo posto è a destra.
«Rinnovamento Italiano è stato un partito di cerniera fra il centrosinistra e il centrodestra fin dall’inizio. Per questo dobbiamo essere molto corretti, per non apparire un partito « tentenna» che può passare di qua o di là».
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