- 20 Marzo 2003
Una volta il suo lavoro era cercare di convincere i liberali a diventare comunisti. «Ero un creatore di voltagabbana», dice Lodovico Festa, condirettore di Finanza e Mercati, che dopo una carriera da funzionario del Pci, oggi vota Forza Italia. «Nel Pci lo chiamavamo "lavoro culturale". Far cambiare idea alla gente».
Spiega meglio.
«Contattavo giornalisti e professori universitari che avevano fama di moderati e cercavo di farli diventare amici del Pci».
Nomi?
«Ci mancherebbe altro».
A che cosa serviva il tuo lavoro se non veniva reso pubblico?
«A creare nuove maggioranze nei comitati di redazione dei giornali e nei consigli di facoltà».
Che tecniche usavi?
«Isolare i reazionari. Impedire che si creasse un blocco anticomunista tra moderati, conservatori e reazionari. I moderati erano i primi da conquistare per farli diventare più aperti al Pci. Poi si passava ai conservatori».
Raccontami il tuo lavoro.
«L’importante era evitare troppi scioperi. Se tu eri capace di far smettere uno sciopero, non solo di farlo fare, il tuo potere contrattuale era enorme».
Hai mai lavorato sulla Rai?
«Nella Rai era appena nata la Rete 3, la rete per la sinistra. Bisognava evitare che ci fosse troppo casino. Io lavoravo moltissimo con un fantastico democristiano, Mariolino Mauri, direttore della redazione milanese del Tg, uomo di Marcora. Lo avvertivo quando Giuffrida, capo del comitato di redazione, cominciava ad agitarsi troppo».
Hai lasciato il Pci e adesso voti Forza Italia. Sei un voltagabbana?
«Lodovico Festa degli anni Settanta definirebbe voltagabbana uno come il Festa di oggi».
Dopo la politica hai scoperto il giornalismo. Sei stato condirettore del Foglio di Giuliano Ferrara.
«Ero molto amico di Giuliano. All’inizio Giuliano era molto di sinistra e noi milanesi lo guardavamo male. Poi diventò molto di destra. Da lui mi divideva solo il giudizio su Craxi. Io contrario, lui favorevole».
Entrambi miglioristi…
«Migliorista fu un termine inventato da Salvatore Veca…».
Riformisti…
«Nemmeno, era un’eresia».
Come vi chiamavate?
«Amendoliani, ma un vero amendoliano avrebbe detto che non esistevano gli amendoliani».
Chi eravate?
«Qui a Milano, Cervetti, il capo, Bonacini, Cofferati, Ghezzi. C’era anche Barbara Pollastrini, una che ruppe con noi perché scelse di fare carriera. E così si ruppe anche la nostra amicizia. Quando Natta propose Achille Occhetto vicesegretario del partito, quasi tutti i milanesi del comitato centrale, Quercioli, Cervetti, Corbani, votarono contro questa nomina, tranne lei».
E come premio?
«Divenne segretario della federazione milanese imposta da Natta».
I miglioristi milanesi finirono nel mirino di Di Pietro. Tu avevi la sensazione di vivere al centro di un sistema di corruzione?
«Credo di aver imparato da bambino che il Pci aveva un sistema di finanziamento parallelo».
Una cosa è il finanziamento parallelo, una cosa sono le tangenti.
«Mi sfugge la differenza. Ho qualche imbarazzo a rispondere a questa domanda».
Sforziamoci.
«Non sono sicurissimo, diciamo così, che in collegamento con alcune attività pubbliche sin dagli anni Cinquanta non vi fosse un contributo di imprenditori che ricevevano un’attenzione speciale da parte di amministratori comunisti».
C’era dibattito? Qualcuno che dicesse: è illegale?
«Tutti ne discutevano, ma anche subito prima di Mani Pulite nel Pci si discuteva molto se la fetta di Roma non dovesse essere maggiore di quella di Milano».
Tu hai fatto anche un giornale, il Moderno.
«Una vera follia. All’inizio fu pensato contro i socialisti, perché i craxiani, e Martelli in particolare, dicevano "gli unici moderni siamo noi"».
Chi c’era al Moderno?
«Due miei cari amici, Salvatore Conoscente e Giovanni Panozzo. Ma ci scrivevano un po’ tutti. Raffaele Fiengo, e va bene. Ma anche Nando Dalla Chiesa, roba da vergognarsi, e Giancarlo Caselli».
Il Moderno era finanziato da Berlusconi?
«Fininvest ci dava pubblicità, come anche a molte Feste dell’Unità. In quel momento avere degli amici del Pci attenti alle ragioni di una televisione privata faceva comodo a Berlusconi».
Il vostro era anche un gruppo di amici?
«Certamente. Gianni Cervetti, Luigi Corbani, Piero Borghini, Sergio Soave, Sergio Scalpelli, Ferlini. Ci vedevamo spesso, si giocava a scopa. Io, con Aurelio Campi, ex segretario di Avanguardia Operaia, contro Barbarisi, professore alla Statale e Stefano Zecchi. Zecchi scrisse un articolo molto carino sul Moderno, sul tema "Finalmente si può dire che Brecht ci ha rotto i coglioni e che a noi piace molto di più Celine". Montanelli lo lesse, lo reclutò per il Giornale e da quel momento cominciò la sua rottura col Pci. Ma non con il mio tavolo di scopa. Tanti ex comunisti vengono ancora da me a giocare a scopa».
Alla fine i voltagabbana esistono o no?
«Quelli che hanno un cambiamento improvviso di idea per motivi spregevoli sono pochi».
Nelle mie interviste ne vengono fuori molti.
«Ma non si può considerare voltagabbana Renzo Foa. Montanelli scriveva sull’Unità, Foa non può scrivere sul Giornale?».
Di nomi ce ne sono molti altri.
«Ho letto. Ferdinando Adornato?».
All’unanimità.
«Ma Adornato è uno che ha vissuto un processo complicatissimo di automacerazione…».
E quei contestatori che oggi sono finiti a destra?
«Questi sono il sale dell’umanità. Se l’Europa non avesse Fischer che è passato da pacifista a ministro degli Esteri, ci sarebbe ancora Milosevic. Nella mia scuola, il Beccaria, eravamo sei della Fgci e 25 della Giovane Italia. Di quei 25 fascisti me ne sono trovati 16 maoisti nel ’68. Mi sputavano, mi insultavano. C’erano anche una cinquantina del Raggio, il gruppo studentesco che poi divenne Comunione e Liberazione. Di quei 50 almeno 25 sono finiti in Lotta continua e mi sputavano anche loro. E di quei 25 di Cl diventati di Lotta continua, almeno 15 me li sono trovati nel Pci».
Ancora sputi?
«Mi hanno trattato bene per tre anni e poi hanno ricominciato a insultarmi».
La caratteristica dei voltagabbana è sputare sugli ex compagni.
«Capita anche a me talvolta».
Parli male dei miglioristi?
«L’unico di cui mi permetto di parlar male è Giorgio Napolitano. Ho suggerito ad Andrea Marcenaro una fantastica battuta che lui ha usato. Lo stemma araldico di Giorgio Napolitano? Coniglio bianco in campo bianco».
Voltagabbana giornalisti?
«Guarda, neanche Serventi Longhi che pure era un anticomunista, un sindacalista che cercava di rompere l’egemonia che pazientemente avevamo costruito e che adesso è il capo di quelli che più a sinistra non si può».
Il voltagabbana con la «V» maiuscola è Mastella?
«Mastella è il più geniale dei politici italiani. È un generale della guerra scorsa. Un campione del proporzionale. Quelli del maggioritario sono dei megafoni».
Raccontami la tua vita.
«Da bambino ero grassottello. Tra i 17 e i 27 anni sono stato magro. Voltagabbana da taglia».
Famiglia?
«Padre di Fiume, madre di Venezia, nonno pugliese, nonna triestina. Mio padre faceva il broker marittimo».
Com’è che diventi comunista?
«Mia mamma era anticomunista, e quando mi iscrissi alla Fgci ne fece un dramma. Poi divenne comunista e quando io uscii dal Pci ne fece di nuovo un dramma».
Che tipo eri?
«Serio, leggevo molto. Non giocavo a calcio. Non andavo alle feste. Non ho mai ballato in vita mia».
Un piccolo intellettuale.
«Nel ’64 sono entrato nella Fgci. Tra gli studenti comunisti di allora, per lo più c’erano figli di dirigenti del Partito. Dai figli di Cossutta ai figli di Maris.».
Hai letto il Capitale?
«Quasi tutto».
Uno dei pochi.
«Si diceva: con la scusa di portarla a letto le ho fatto leggere tutto il Capitale».
Nel ’68?
«Ero segretario della Fgci. Organizzavo cortei di mille persone. Il Movimento studentesco di 30 mila. Sono sempre stato minoritario».
Era dura la vita di un comunista in quegli anni…
«C’erano degli amici che mi dicevano: io mio figlio l’ho mandato alla Fgci. Come mandarlo in un collegio svizzero».
Dopo la Fgci?
«Il militare, il matrimonio, una bambina, tre anni a Sesto San Giovanni a fare il segretario del partito, il lavoro culturale, la Lega delle Cooperative, il Moderno».
Quando cominci a fare il giornalista?
«Nel ’92 con Paolo Liguori, note politiche sul Giorno. Poi articoli di costume sull’Indipendente di Pia Luisa Bianco. Copiavo le idee dal New York Times».
Eri già uscito dal Pci…
«Non potevo condividere l’ipocrita appoggio del partito a Mani Pulite. I giudici più o meno facevano il loro mestiere. Ma il Pci ne approfittava per far fuori i socialisti. Da allora voto Forza Italia. Però senza nessun tipo di militanza. La militanza è come una grappa. La ami, una volta ne bevi troppa e poi non riesci più a berne.».
Poi il Foglio.
«La fortuna del Foglio è che vinse le elezioni Prodi. E noi facemmo un giornale di opposizione intelligente».
Però poi Berlusconi vinse.
«Ma il giornale aveva ormai la sua spina dorsale che si era costruita facendo a testate con nemici molto potenti».
E aiutato da amici molto potenti.
«In Italia conta di più Francesco Saverio Borrelli che Berlusconi».
Ma dai!
«Borrelli può mandare in galera Berlusconi, Berlusconi non può mandare in galera Borrelli».
Per fortuna. In ogni caso Borrelli non ha mandato in galera Berlusconi.
«Ha tentato. C’è andato vicino. E aveva delle belle carte».
Al Foglio eravate di destra o di sinistra?
«Quattro su dieci votavano per il centro-destra. Gli altri sei da Rifondazione ai Ds».
Chi era di Rifondazione?
«Luca Telese, la Rizzini. Tra i Ds credo Stefano De Michele, Luca Sofri».
Tu dicevi qualche volta di no a Giuliano?
«Certo».
E lui?
«Mi stava ad ascoltare e alla fine diceva: si fa come dico io».
Grandi litigi?
«Mi sono offeso qualche volta quando lui mi trattava con sufficienza. Sono un permaloso timido, non litigo, pianto dei musi».
Ti creava problemi lavorare nel giornale che di fatto era del più invasivo politico italiano?
«Mi avrebbe creato del fastidio se mi avessero chiesto atteggiamenti servili».
Niente adulazione quindi. Eppure quando se ne parla vengono fuori gli Schifani, i Bondi, i Vito…
«Adulatori iperrealisti. Un effetto regime attorno a una persona come Berlusconi è ridicolo e impossibile. Berlusconi è autoironico. Non si considera uno statista, si considera un imprenditore prestato alla politica».
È Schifani che dice che Berlusconi è un grande statista.
«E gli fanno l’imitazione sulle reti di Berlusconi».
Quindi non esiste nemmeno l’adulazione?
«Alcuni la praticano. Ma se vai alla Mondadori in corso Europa vedi uno scaffale con un metro e mezzo di opere contro Berlusconi».
Sospetti adulatori: Vespa, La Rosa, Schifani, Bondi…
«Bondi è un adulatore mite. È intelligente, simpatico, tormentato, ironico. Alcune cose le dice per divertirsi. Schifani mi sembra una persona che non ha avuto tutte le esperienze necessarie. Sostenere un leader senza fare l’adulatore è difficile. Ci vuole esperienza».
Bruno Vespa, Anna La Rosa.
«Programmi che non frequento. Ma se mi capita di vedere Vespa noto un’enorme professionalità. Anna La Rosa non la guarderei neanche se avessi una pistola puntata alla tempia. Mi sembra una giornalista di Al Jazeera prestata alla tivù italiana. Ha lo stesso henné e le stesse sopracciglia».
E adesso parliamo di giornali.
«La Repubblica mi piace. È scritta molto bene. Il Riformista mi piace, ha sempre due o tre articoli notevoli…».
Ti piace tutto. L’Unità?
«Mi piace. Colombo e Padellaro hanno fatto un’operazione straordinaria. Però è un giornale molto drogato. Quando finisce la droga, che fanno?».
Per molti Colombo è un voltagabbana: passato da un giornale della Fiat…
«…a un giornale pagato dalla Publikompass (la concessionaria di pubblicità del gruppo Fiat. Ndr.) Una carriera lineare».
Il Manifesto?
«Un po’ noioso, quando non ci sono i pezzi surreali di Pintor o quelle cose meravigliose della Rossanda. Mi piace anche la Jena quando perseguita il povero Fassino».
Liberazione?
«Mi piacciono la rubrica della Spettatrice e gli articoli di Ritanna Armeni e di Rina Gagliardi. Il resto del giornale è primitivo».
I giornalisti? Quelli che non sopporti?
«Nomi scontati. Non sopporto Curzio Maltese».
È bravo. È uno duro.
«Si può essere duri ma non lagnetta».
Tipo?
«Pintor. Tac, ti dà un colpo e ti sistema. La lagnetta invece… gnè gnè gnè. Peccato, perché Maltese ha talento. Lo ricordo quando si occupava di spettacolo e di sport».
Un altro che non ti piace?
«Guzzanti è uno che mi fa tenerezza. Vorrebbe fare delle battaglie ma si attorciglia, colonne e colonne che non si capiscono. È terribile, succede anche a me quando ho troppe cose da dire. Quando leggo Guzzanti dico: cazzo poverino, cosa gli è successo?».
Massimo Gramellini?
«Intelligente. Bello stile. Ma non mi colpisce particolarmente. Preferisco Maria Laura Rodotà. Le sue fotostorie sull’Espresso erano fantastiche».
Perché hai lasciato il Foglio e sei venuto a fare Finanza e Mercati con Osvaldo De Paolini?
«Da quando Giuliano si era stabilito a Roma a fare il Foglio, da solo, per telefono, non mi piaceva più».
Potevi allargarti, trovare i tuoi spazi.
«Io sono un ottimo secondo».
Sempre giornali di nicchia.
«C’è una battuta fantastica di Andrea Marcenaro, che ti consento di riferire, solo se dici che io sono indignato».
Promesso.
«Marcenaro è andato in una edicola e ha trovato uno che voleva il Foglio, il Riformista e Finanza e Mercati. Si è avvicinato e gli ha detto: "Prenda anche un giornale vero altrimenti scoppia la guerra e lei non ne sa niente"».
Gioco della torre. Domenicale o Riformista?
«Salvo il Riformista. Il Domenicale è un giornale disordinato».
Dell’Utri… la cultura di destra…
«Cultura di destra? Celine mi piace».
Flores o Pardi?
«Salvo Flores. Da quando Craxi gli preferì Martelli non è più rinsavito».
Cofferati o D’Alema?
«Salvo D’Alema. Cofferati ha avuto una vita bella, interessante, intelligente. Ma adesso è impazzito».
Stefania o Bobo?
«Salvo Stefania».
Bobo è troppo a sinistra?
«Ma no, poveretto. Stefania è una che ha una personalità. Per Bobo è difficile trovargliene una».
Serra o Benni?
«Salvo Benni. Michele Serra non mi è mai piaciuto».
Non ti fa ridere?
«Vecchie cose».
Tipo?
«Mi era antipatico da giovane».
Dimmi una cosa contro Giuliano. Fai vedere che non sei un adulatore.
«Non valgono i ricatti morali».
Un difetto. Uno.
«Non sono specializzato in difetti».
Pura adulazione. Scusa il ricatto.
«Giuliano è una persona a cui sono molto affezionato e che ho lasciato. Mi è difficilissimo dirne i difetti, sarei un adulatore se mi concentrassi sui pregi. La conversazione è incasinata. Finiamola qui».
DISGUSTOSO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!