- 8 Novembre 2001
Fiorella Kostoris Padoa Schioppa, nome un po’ complesso che racconta radici straniere ma anche un matrimonio con Tommaso Padoa Schioppa, grande personaggio dell’economia e della finanza italiana. Non racconta, almeno finora, la carriera straordinaria di una donna arrivata ai vertici in un settore, quello dell’economia, tradizionalmente riservato al genere maschile. Docente universitaria, presidente dell’Isae, l’Istituto pubblico di analisi e previsioni economiche, consulente del gabinetto del premier francese Jospin, che le ha appena conferito la Legion d’honneur, ma anche della Fondazione tedesca Konrad Adenauer. Fiorella Kostoris Padoa Schioppa non compare quasi mai sui giornali. Il mese scorso, improvvisamente, e anche impropriamente, è entrata nelle cronache mondane in occasione dell’inaugurazione della sua nuova casa, attico e superattico nel ghetto di Roma. Raccontavano le cronache che il ministro Tremonti, arrivato con l’imbucato Bossi e trovandosi di fronte l’odiato Visco, avesse protestato con la padrona di casa bipartisan. E che, di rimando, Fiorella gli avesse contestato l’arrivo inaspettato di Bossi. Una querelle per ministri. Signora Kostoris Padoa Schioppa, parliamone.
«Ma no, non c’è niente da dire».
C’è da dire, eccome. Tremonti si è lamentato perché c’era Visco. E lei si è lamentata perché Tremonti si è portato dietro Bossi.
«Io non ne vorrei parlare in termini mondani».
Deve. Ormai è un personaggio pubblico.
«Le cose non sono andate così».
E come sono andate?
«Tremonti ha detto: “Potevi dirmi che veniva Visco”».
E lei ha risposto: «E tu potevi dirmi che portavi Bossi».
«Non ho detto nulla».
Classica smentita diplomatica.
«Comunque Bossi si è trovato così bene che quando è andato via mi ha baciato e abbracciato».
Lei è proprio bipartisan.
«È il sistema che è cambiato. Ci sono repubblicani sia a destra che a sinistra, socialisti di qua e di là. E liberali e democristiani che, fino a ieri stavano insieme, mentre ora alcuni si odiano. Ma io frequento tutti».
Quindi c’erano altri che si guardavano in cagnesco da lei quella sera.
«Non farò nomi, ma effettivamente… Quando c’era imbarazzo, dicevo: “Perché non salite in terrazza?”».
I nomi, i nomi…
«Se si volasse un po’ più alto…».
Come ha rimediato con Tremonti e Bossi?
«Ho fatto salire anche loro nella terrazza».
Voliamo più alto. Mi racconti di quando era ragazzina.
«Sono nata nell’immediato dopoguerra a Roma. Avevo solo 40 giorni quando siamo andati a Trieste».
Famiglia triestina?
«Mio padre è nato a Trieste e mia madre è nata a Corfù».
Metà italiana e metà greca.
«Mio padre è nato nel 1908 quando Trieste ancora era austriaca. Parlava tedesco con i suoi genitori».
Quindi anche lei parlava tedesco in casa?
«No. La nostra era una famiglia ebrea, il tedesco era tabù. Non ho imparato il tedesco, ma nemmeno il greco che mia madre parlava con i nonni. E non parlavo nemmeno il triestino».
Ricapitolando.
«I genitori parlavano l’italiano con i figli, il triestino tra di loro, il greco con i nonni materni e il tedesco con quelli paterni».
Una babele.
«E poi c’era l’ebraico. Io ho fatto le scuole ebraiche, le famose scuole di via del Monte di cui Saba parla in alcune sue poesie».
In che cosa erano diverse?
«Eravamo cinque in classe e venivamo interrogati tutti i giorni in tutte le materie. Quello che ho imparato veramente è che puoi ottenere tutto attraverso la volontà e lo sforzo. Nella nostra classe ogni bambino aveva un poster».
Cinque poster.
«Il mio rappresentava il Cervino. Gli altri avevano altre montagne. E ognuno aveva una bandierina che sistemava sulla montagna. A seconda che andasse bene o male la bandierina saliva o scendeva. Alla cima non si arrivava mai».
Lei ricorda i suoi quattro compagni di classe?
«Ricordo una mia amica che vive ora a Torino. Molto spiritosa, Miriam Coen. Eravamo entrambe impegnate politicamente. Avevamo una specie di mentore, il pediatra Bruno Pincherle, socialista del Psiup. Fu lui che ci introdusse alla politica e ci fece conoscere Lelio Basso».
Politica e poi?
«Moltissimo sport. Feci anche dell’agonismo. Le gare mi piacevano. A tre anni ho cominciato col pattinaggio artistico a rotelle, a sei facevo i campionati. A dieci anni ho cominciato il tennis. E sono entrata fra le prime dieci in Italia. Alla Coppa Lambertenghi arrivai seconda. In finale persi da Monica Giorgi. Ricorda? Quella che finì nella lotta armata. Persi per troppa tracotanza. Monica Giorgi era un maschio: gambe arcuate, tratti duri, capelli da uomo. E poi era bassissima…».
Anche lei, se mi permette, non è altissima…
«È vero. Ma lei era proprio tappa. Quando veniva a rete non la vedevo più. Scompariva. E io mi sono permessa di non prenderla sul serio. Quindi fu una sconfitta anche morale. Mai sottovalutare l’antagonista».
Altri sport?
«Cavallo, sci, jogging. Trieste aiuta, mare, montagna, collina».
Ricorda gli amici di Trieste quando era ragazzina?
«Io vivevo poco con gli amici. Vivevo moltissimo con i miei insegnanti. Quando racconto queste cose ai miei figli mi prendono in giro. Io adoravo i miei insegnanti».
E non aveva amici?
«Avevo moltissimi amici, ma la mia vita era più basata sull’attività che su incontri che allora chiamavamo contubernali».
Roba di sesso?
«Ma no, contubernali sono quegli incontri nei quali ci si fa le confidenze. Per noi c’era la politica prima di tutto, poi la cultura. In casa mia c’era una fortissima cultura artistica. Mio padre suonava il pianoforte e dipingeva».
Era anche un grande collezionista…
«Istituì un premio che chiamò premio Arbiter invitando tutti i pittori dell’epoca, siamo all’inizio degli anni Cinquanta, a contribuire con un’opera di una certa dimensione, 13×18 cm. Quando è morto mi ha lasciato una collezione di 200 opere, dal 1951 al 1955. Rosai, Tosi, Carrà, Campigli…».
La sua famiglia ha avuto problemi razziali? Le leggi razziali in Italia erano dure…
«Da un lato c’erano le leggi e dall’altro i comportamenti. Ci sono stati episodi di grande generosità e di grande grettezza. I miei furono protetti e nascosti. Ma gli incendiarono il negozio. Perfino la Chiesa ebbe un atteggiamento duplice. I miei genitori avevano cercato di rifugiarsi in Vaticano. Ma chiedevano un milione per famiglia».
Quali erano i suoi miti in gioventù?
«James Dean, Gérard Philippe, i Platters, Sbarbaro, Harry Belafonte, Jacques Douai, un cantante francese fantastico che cantava canzoni medioevali: “Papillon tu es volage, tu ressemble a mon amant”».
Fidanzati?
«Ero un pochino precoce. Ma Trieste non è una città cattolica. Quasi tutte le mie amiche si sono sposate incinte. Si usava avere fidanzati a 11, 12 anni. Ho conosciuto quello che poi è stato mio marito, Tommaso Padoa Schioppa, quando avevo 13 anni e lui 18. Lui è andato a Milano e io ho avuto anche altri fidanzati dai 13 ai 21 anni quando l’ho rincontrato e l’ho sposato. Ho avuto anche amori platonici, stupendi».
Tipo?
«Col mio professore di filosofia».
Tutte le ragazze hanno avuto un amore platonico, bellissimo, stupendo col professore di filosofia.
«Ce l’aveva anche lui. Lo disse prima di morire a sua cugina».
La politica come la scoprì?
«Ritenevamo che la politica fosse il modo di interessarsi al mondo. All’università ho conosciuto e molto amato Renato Zangheri, che poi è diventato sindaco di Bologna, e con lui ho capito com’era fatto il comunismo progressista. A Trieste c’era il comunismo di Vidali, il comunismo stalinista. Zangheri mi costrinse a leggere i sacri testi. Credo di essere una delle poche persone che nel ’68, in Italia, ha letto Il capitale».
Lei era comunista?
«Non ero iscritta, ma frequentavo una sezione dove, peraltro, mi trattavano malissimo».
Troppo borghese?
«Mi insultavano perché arrivavo con una Giulia bianca, bellissima… E allora Zangheri fece tutto un lungo discorso per dire com’era importante che il partito accogliesse i benestanti, borghesi, eccetera, perché così poteva spillare il loro denaro. Zangheri è stato un grande maestro per me. Io ero la sua laureanda. Quando a 21 anni decisi di sposarmi e di lasciare Trieste non sapevo come dirglielo. Temevo mi dicesse: “Vergognati”. Invece mi disse: “Ah, ma che bella idea. Così tutti i suoi problemi sessuali li mette a posto e non ci pensa più e può dedicarsi veramente a tempo pieno alla cosa per cui lei è veramente portata, lo studio”».
Dopo Trieste dove è andata?
«A Milano dove mi sono laureata alla Bocconi. E poi al Mit di Boston, con una borsa di studio della fondazione Einaudi. È stato il periodo più bello della mia vita. In Italia sono importanti i libri. Negli Stati Uniti ti chiedono di pensare. Se pensi, e pensi bene, sei allo stesso livello del premio Nobel che hai davanti. Nell’università americana non c’è il principio di autorità. Il professore sa che alla fine dell’anno tu potresti essere più bravo di lui».
È una carriera insolita la sua per una donna?
«Se si guarda ai numeri, sì. In Italia le donne che insegnano economia all’università sono il 10 per cento».
Qual è esattamente il suo lavoro?
«Ho due lavori oggi. Sono da un lato professore di economia. Dall’altro lato, come presidente dell’Isae, faccio analisi della politica economica per il governo, il Parlamento, la comunità degli esperti, l’opinione pubblica».
Tra i suoi allievi figurano anche Dario Cossutta e Fabrizio Barca, di nobile tradizione familiare comunista.
«Era un’operazione di formazione verso valori più universali, più occidentali, più di mercato di una giovane generazione post-stalinista. Venivano anche un giovane Amendola, un giovane Reichlin e una giovane Ingrao».
Come è stata la sua parabola politica? Ha fatto il ’68?
«Poco. Mi sono laureata nel luglio del ’68 e sono subito partita per gli Usa. Quando dissi al mio professore che andavo al Mit mi disse: “Lei tradisce”».
Aveva ragione?
«Mi ferì molto e certamente se dopo tanti anni non ho dimenticato, è chiaro che ho continuato a pensarci. Certamente aveva capito prima di me che sarei cambiata. E in effetti io sono cambiata. Ho capito che l’imperialismo americano non esisteva: c’erano gli americani di un tipo e gli americani di un altro. All’edicola di Harvard Square vendevano anche i giornali del Vietnam, l’informazione del nemico. Là ho cominciato a capire che non c’era da credere a una serie di parole d’ordine tipo imperialismo, o cose del genere…».
Quali sono le parole d’ordine che le danno più fastidio oggi?
«Solidarietà, concertazione, global e no global, pacifismo».
L’esperienza americana le ha fatto cambiare idee politiche?
«Sono cambiati i valori politici. Sono tornata più liberal, più convinta che il benessere generale lo si ottiene cercando il massimo del proprio benessere. Pensi alla storia di Schindler. Salva migliaia di ebrei non perché è buono. Li salva perché è uno sporco capitalista che guarda al suo interesse e si rende conto che prendendo queste persone da Auschwitz le paga di meno. È lo sfruttatore che salva gli ebrei. Facendo l’altruista, in generale, contribuisci meno al benessere della società che se fai il tuo interesse».
Effettivamente l’America l’ha cambiata non poco.
«Il primo obiettivo dell’equità deve essere la crescita. Altrimenti è la solita lotta fra poveri».
L’America ha cambiato anche il suo voto?
«No, ho continuato a votare per gli stessi partiti».
E cioè?
«Mai più a sinistra del Pci. Anzi no, da ragazza, il Psiup. Mai per la Dc o a destra. Salvo per i radicali».
Che cos’è secondo lei un voltagabbana?
«È uno che tradisce innanzitutto se stesso più che il gruppo a cui appartiene. Voltagabbana secondo me è un opportunista che corre in soccorso del vincitore».
Ci sono voltagabbana che corrono nella direzione sbagliata. Signorile lo diceva di Lombardi.
«Lo si è detto qualche volta anche di me: che sono una che si mette sempre dalla parte della minoranza. Io ho un certo naturale interesse per chi si mette fuori dal coro. Subisco il fascino dei perdenti».
Un caso di voltagabbana?
«Un buon caso mi sembra Irene Pivetti. Mai stata notata da nessuno prima che diventasse presidente della Camera. Moltissime persone, anche fra i miei amici intellettuali di sinistra, che l’avevano sempre ignorata, trovavano improvvisamente che fosse interessante, colta, bella. Poi lasciò la Lega, in un certo senso l’ha lasciata per coerenza con se stessa, coerenza non politica ma di cattolica credente e quindi si è messa nel partito di Cossiga. Gli intellettuali smisero di trovarla colta, bella e attraente. Poi la Pivetti ha fatto un altro salto e quello è stato meno accettabile perché si trattava di salvare il governo Prodi e la signora scoprì che doveva allattare un figlio, quasi fosse la prima donna cui capitava. Poco credibile. Insomma, un altro cambiamento».
Lei cita un caso complesso. Voltagabbana la Pivetti ma voltagabbana anche gli intellettuali che cambiano il loro giudizio su di lei.
«Ricordo miei carissimi amici che ne parlavano benissimo. Era straordinario quello che dicevano della Pivetti. Poi, improvvisamente, la dimenticarono.».
Un voltagabbana apparente?
«Sicuramente Buttiglione. Appartiene alla categoria della gente che non cambia pur cambiando partito. Alcuni possono considerarlo un voltagabbana perché è passato dalla sinistra alla destra, però secondo me è rimasto se stesso. Viceversa ci sono persone che restano nello stesso partito e tradiscono…».
Può fare un esempio?
«Cofferati. Sembra uno coerente, un puro e duro. Invece tradisce se stesso. Molto spesso ha detto, anche a governi di sinistra e di centro-sinistra, anche a Giuliano Amato: “Voi dovete prendere le vostre responsabilità, noi prenderemo le nostre”. Un grande leader sindacale sa benissimo che esistono le parti, e che l’interesse generale viene fuori dal loro bilanciamento. Ma allora perché ora parla di concertazione che è l’esatto contrario? La concertazione non c’entra nulla con la sinistra. Non ne ho trovata traccia nel Capitale».
Ho sentito elogiare la riforma delle pensione dalla Kostolis in tv.
Credo che questa riforma abbia degli aspetti di pura imbecillità nel settore pubblico dove si sono aumentai gli anni in cui lo stato dovrà pagare a stipendio pieno i pubblici dipendenti che sono giudicati in sovrannumero.
Un’ altra stupidata è stata quella di abolire le finestre, oggi la pensione di matura 42 anni e poi si percepisce la pensione, non era meglio tenere 41 anni come maturazione ed un anno di finestra, molti magari appena maturata la pensione stavano a casa in questo modo lo Stato evitava per quest’anno di pagare pensione e stipendio,
Dove sbaglio?
Ma fack
[…] Kostoris, ex moglie del teorico della (altrui) “durezza del vivere”, Tommaso Padoa Schioppa (https://interviste.sabellifioretti.it/?p=650 […]
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