- 11 Aprile 2002
Sempre in mezzo al ciclone. Quando era ministro della Giustizia del governo Dini, Filippo Mancuso, ex magistrato, ordinò le ispezioni al pool di Mani Pulite suscitando l’indignazione della sinistra, mettendo in difficoltà il governo e licenziando gli ispettori che tornavano con un nulla di fatto.
Quando chiesero le sue dimissioni, rifiutò di andarsene finché il Senato non gli votò la sfiducia. Nell’immaginario della destra era diventato il campione della lotta contro le toghe rosse. E la sinistra non ha dimenticato. Come si è visto nella vicenda della sua candidatura per il Polo, fatta dallo stesso Silvio Berlusconi, per la Corte Costituzionale, con il veto dell’opposizione e le bocciature in serie. Onorevole Mancuso, sembra che lei non abbia raccolto, a volte, nemmeno tutti i voti dei suoi. «Chi ha detto questa malignità ha dimenticato che in Parlamento mancavano 60 colleghi che erano in missione o malati».
Con quali argomenti la sinistra l’ha ostacolata?
«Né morali, né tecnici. Si allude, si soffia, si sfiora la realtà. Mancuso no, non mi piace».
Però la storia delle ispezioni.
«Io non feci altro che avvalermi dei poteri che la Costituzione dà al guardasigilli».
Quando gli ispettori dissero che tutto andava bene, lei li cacciò. Era un potere costituzionale?
«Le ispezioni si verificarono in un clima condizionato dall’avvelenamento politico. Taluni ispettori non agirono in libertà. Intimidazione ambientale».
Le hanno dato torto gli ispettori, il Csm, il parlamento, il presidente della Repubblica, i tribunali, il governo. Forse aveva torto.
«Io avevo tutti contro, tutti uniti dalla stessa intenzione della critica negativa verso di me. Ma nessuno ha mai indicato un solo fatto irregolare».
Nessun magistrato ha mai trovato un solo fatto contro i giudici che lei accusava.
«Erano tutti condizionati. Quelle storie avrebbero avuto esito diverso se fossero accadute oggi. Vicende di abusi simili vanno ancora accadendo e hanno esiti diversi, oggi».
Lei è stato eletto in Sicilia, dove il Polo ha fatto il pieno. La mafia era con voi?
«Nei collegi dove noi stravincemmo, molti anni prima aveva vinto Leoluca Orlando. Nessuno osò dire che Orlando fosse stato agevolato dalla mafia».
Berlusconi le ha mai offerto un posto di ministro?
«Una personalità pubblica di cui non faccio il nome mi ha detto che questo era l’intendimento di Berlusconi. Si consultò con uno dei grandi padri della Repubblica il quale gli disse: "È il migliore. Però è incondizionabile"».
Lei fu fatto ministro dal governo Dini su pressione del presidente della Repubblica Scalfaro.
«Scalfaro aveva stima di me e mi propose a Dini. Ma come ministro dell’Interno. Io risposi: "Signor presidente, non sono adeguato a questo compito". Lui continuò ad insistere».
E lei?
«Io rispondevo sempre: "Non insista"».
E lui?
«Insisteva. E diceva: "Non si preoccupi di sentirsi inadeguato, la guiderò io". A maggior ragione continuai a dire di no. Scalfaro allora disse: "Assuma la Giustizia". Io risposi un po’ romanticamente: "Mi lasci consultare qualcuno"».
Chi consultò?
«Mio padre».
Suo padre era morto.
«Lo consultai lo stesso. Le sembro melodrammatico?».
Un po’.
«Mio padre era stato un modestissimo maestro. Gli posi il quesito: "Papà, che mi dici?"».
Che le disse?
«Mi disse: "Dai onore al nostro nome"».
Come ha conosciuto Dini?
«In casa di amici. Lo trovai un uomo di grande intelligenza. Tra noi ci fu simpatia. Dini aveva per me un rispetto che sfiorava la devozione».
Simpatia con Scalfaro, simpatia con Dini. Dopo qualche mese lei li definì: «Compagni di merende». Un insulto pesante. Alludeva addirittura al mostro di Firenze!
«Fu pure pesante sentirmi dire: "L’Italia delle persone per bene la rimanda a casa"».
Chi l’ha detto?
«Salvi».
Lei viene insultato da Salvi e se la prende con Scalfaro?
«Ciò che riguarda i comportamenti più o meno palesi di Scalfaro non li metto in discussione perché mi parrebbe di abusare. Ma davanti all’empito che in me nasceva da un torto così grave sorse l’imperiosità della parola che utilizzai con questa frase, "compagni di merende" che per me aveva un sapore caricaturale».
Lei ha rincontrato i compagni di merende?
«Solo Dini. Mi disse: "Filippo restituiscimi la tua amicizia". Io mi commossi».
Se Scalfaro le dicesse: «Filippo, restituisci anche a me la tua amicizia», lei si commuoverebbe come si è commosso con Dini?
«La mia risposta non sarebbe ostile. Ho incontrato una volta Scalfaro ma ci siamo ignorati. Sarei felice, se avessimo un franco incontro personale. Lo dissi nel discorso al Senato sulla sfiducia. Non ho avuto mai risposta».
Ricorda quel discorso?
«Non ci fu una sola interruzione! Un solo insulto! E alla fine, anche dalla sinistra, ebbi attestazioni personali.».
Per esempio?
«Pellegrino ebbe per me parole di grande stima. Vi fu un senatore della sinistra che disse: "Lei non ha il diritto di farmi piangere"».
Lei mi deve dire il nome di questo senatore.
«Non so chi fosse, non l’ho più visto».
Altri?
«I figli di Craxi mi dissero che il padre seguì l’intervento piangendo da Hammamet. "Il più grande discorso che abbia mai ascoltato in Parlamento", disse».
Mi parli della sua vita. Dove è andato a scuola?
«La scuola media al convitto Guglielmo II di Monreale. Un anno solo perché, vedendo la mia immensa sofferenza alla cattività, mio padre si fece trasferire a Palermo».
Le sue passioni?
«La musica. Cominciai anche a studiarla ma non avevo attitudine tecnica, avevo solo gusto estetico e passione artistica».
E le canzonette?
«Due: Solo per te Lucia e Parlami d’amore Mariù, due capolavori di Bixio che valgono quanto i migliori Leader di Schubert. E corrispondevano ai brividi delle mie prime emozioni giovanili».
Andava bene a scuola?
«Fortunatamente sì perché mi consentii una personale promozione sociale. Ma le condizioni economiche dei miei genitori non lo facilitavano e allora feci il mestierante. Su presentazione di Sandro Paternostro, mio compagno universitario, feci il correttore di bozze all’Ora. Un piccolo stipendiuccio, 500 lire. Poi insegnai ginnastica. Avevo attitudine per calcio, ciclismo, podismo. Anche pugilato, un anno alla palestra Pandolfini».
Lei non sembra avere il fisico. Ho letto che è alto un metro e 59.
«No, ho superato il metro e 60».
Ricorda il primo amore?
«Al ginnasio».
Sua moglie?
«All’Università. Era la sorella di Savino Costa, il mio più caro amico, un grande italianista».
È vero che lei parlava latino con sua moglie?
«Mia moglie è una latinista notevole».
Mi dice qualcosa in latino adesso?
«Sembrerebbe ridicolo. Ma sarei in grado anche di tenere una conferenza in latino».
Si è mai trovato in disaccordo con Berlusconi?
«Nell’ultimo convegno ho avuto motivo di fare, rispettosamente, due o tre rilievi».
Ne dica uno.
«Troppi tecnici esterni come ministri».
Lei ridiventerà ministro?
«Sembrerebbe una meschina rivincita».
Chi è stato il miglior ministro della Giustizia?
«Fassino. Salvo qualche evidente erroneità, che però accade a tutti, con la sua alta sensibilità e intelligenza politica ha coperto anche l’area della competenza tecnica che gli manca».
Gli altri?
«Diliberto troppo intellettuale, intriso di senso della polemica politica. Caianiello, grande giurista e grande persona. Biondi, ottima persona anche lui. Flick, carattere non autosufficiente, inadeguato a reggere un ministero in momenti difficili. Una scelta non felice di Prodi».
Che cosa pensa di Prodi?
«Egocentrico e troppo appassionato di sé. Poco coraggioso».
Dini?
«Intelligentissimo».
D’Alema?
«Un timido che si compensa nell’aggressività».
Secondo lei è stato D’Alema a far fuori Prodi?
«La politica ha misteri che restano tali anche a coloro che ne sono stati protagonisti».
Berlusconi?
«Personalità, inventiva, energia».
Frequentazione personale?
«Stima reciproca. Io non sono invadente».
Fini?
«Equilibrio, saggezza, senso della misura, tempismo».
Mastella?
«Un politico che nasce, fiorisce e si delimita nella politica come successo concreto, cioè il bagaglio ideale corrispondente al disegno positivo».
Se dovessi dire che ho capito.
«La convenienza politica che coincide con la convenienza del potere».
Al sodo. Le piace?
«Mi piacciono i suoi "rai fulminei"».
Cosa?
«Guardi gli occhi di Mastella: rai fulminei.».
Buttiglione?
«Sapiente e saggio senza intimidire».
Cossutta?
«Cortese e umano».
La Malfa?
«Una bella conoscenza».
Ma lei parla bene di tutti. Non è cattivo come dicono. Mi dica chi non sopporta a destra.
«Quelli della frangia giustizialista di An. Ho visto con piacere che molti non sono stati rieletti».
Adesso mi parla bene anche di Di Pietro?
«Lei deve stare attento. Non posso violare le mie promesse».
Si spieghi.
«Ho fatto un voto, un fioretto. Non farò mai il nome di certe persone. Fino alla morte».
Oltre a Di Pietro.
«Non posso».
Li scriva.
«Neanche per iscritto».
Giancarlo Caselli?
«Escludo anche una implicita evocazione nominativa. Io sono un tipaccio: ho fatto una scommessa, la più stupida possibile, di passare all’altro mondo senza mai bere una Coca Cola, senza mai assaggiare la Nutella e senza più fare quei nomi».
Che cos’è l’adulazione?
«Il più misero degli strumenti per acquisire agi».
Chi è il più adulato?
«Il Pontefice. La sua grandezza viene sminuita da questa santificazione in vita. E Berlusconi. Il quale deplora gli adulatori. Non ne ha bisogno».
Chi è il più grosso adulatore di Berlusconi?
«Non io».
L’altro giorno Berlusconi ha mandato le cassette del suo discorso ai telegiornali. Il Tg5, correttamente, l’ha usata per realizzarci un servizio. Il Tg1 e il Tg2 l’hanno diffusa senza mediazione giornalistica, causando la protesta del comitato di redazione. È un caso di adulazione?
«Non per fare l’arzigogolo. L’adulazione ha forma libera. C’è anche il caso in cui l’adulazione si atteggia a forme di indipendenza ma con la finalità adulatoria di fare emergere il merito clandestino dell’adulato».
In questo caso l’adulatore sarebbe Mentana. Quindi le famose foglie di fico. Le iene, Striscia la notizia, Costanzo.
«Il padrone lascia dire di sé liberamente ciò che apparentemente spiace. È l’adulazione del giullare che sbeffeggia il re».
Quando lei è stato fatto ministro, l’Unità disse: «È un grande pacificatore».
«È vero».
Che cosa dice dell’Unità di oggi?
«Non mi piace. Nemmeno quell’eccellentissima persona di Caldarola lo legge più».
Cosa non le piace in televisione?
«La volgarità dello schiamazzo, l’urlo come riempitivo del pensiero assente».
Quindi non le piace Ferrara.
«In Ferrara c’è l’urlo ma il pensiero è presente».
Lei vide Luttazzi?
«Non guardo trasmissioni volgari.».
Che cosa guarda?
«Quasi niente. Vado a letto presto».
E i telegiornali?
«Il migliore è quello di Mimun: non contraddice, non compiace, non colpevolizza».
Che cosa non le piace del Tg1?
«L’aria di bollettino ufficiale».
E del Tg5?
«L’ostentazione perbenistica del direttore, il quale si affaccia quando c’è un evento degno di lui. E dice anche: "Sono molto bello". Ah, l’immodestia.».
Ci sarebbe il Tg4.
«Fede è un attore che traduce in rappresentazione scenica le notizie del giorno».
Lei è cattolico?
«Vado a messa, faccio la comunione, ricevo i sacramenti.».
Andrà in paradiso?
«Qualche secolo di arresti domiciliari in purgatorio li prenderò sicuramente».
Quante sentenze ha fatto?
«Migliaia».
Si è mai pentito di una sentenza?
«Sì. Dopo averla depositata, compresi che c’era un’interpretazione del fatto sbagliata».
E allora che cosa fece?
«Scrissi al presidente della Corte d’appello pregandolo di considerare in coscienza l’ipotesi che l’estensore della sentenza di primo grado si fosse ravveduto di un errore».
Come fa una persona distinta come lei a stare dalla parte di Sgarbi, di Boso, di Borghezio?
«Niente nomi, ma il recente Sgarbi non mi è piaciuto. La ridicola storia del tapiro un uomo di governo non se la può permettere».
E i leghisti?
«La politica non è il salotto della convivenza piacevole. Implica contiguità superficiali che portano ad accettare anche linguaggi e maniere diverse dai propri».
Come fa Berlusconi a fare andare d’accordo Fini e Bossi?
«Sta al carisma della persona e all’intelligenza dei paciscenti.».
Paciscenti?
«Coloro che devono fare la pace».
Lei ha detto: «I giudici di una volta erano esteticamente migliori».
«Prendiamo Cogne. Mettiamo che io sia, ma non sono, un fumatore di sigaro. Vorrei sapere che bisogno c’è, in ogni modo, di fumarlo alla maniera di John Wayne, come vedo ostentatamente fare da un giudice di quei luoghi. Tuttavia piccolezze. Una volta dissi scherzando di qualche magistrato che sembrava vestito come un cammelliere e purtroppo nel periodo della contestazione sessantottina e dopo taluni di essi li vidi entrare in tribunale con i sandali di legno».
Come deve vestire un magistrato per non sembrare un cammelliere? I blue jeans vanno bene?
«Sì, ormai vanno bene. Ma se vado in udienza con la toga e con la facciolla.».
La facciolla è il baverino bianco?
«Sì. A Fregene porti gli zoccoli, a palazzo di Giustizia la cravatta».
Adesso che la Rai ha cambiato gestione, pensa che cambierà qualcosa nel comportamento dei Santoro, dei Biagi, tanto sgradito a Berlusconi?
«Che cambi o che non cambi ormai ci si rimette tutti. Loro rischiano di sembrare in malafede, il governo di apparire censorio».
Allora che cosa bisogna fare?
«Sarebbe opportuno che si autosospendessero».
Se rinascesse rifarebbe il giudice?
«No. La professione del giudice è inumana. Farei l’avvocato. Professione più dolorosa, meno autoritaria, ma più incisiva nel rimedio al dolore. Il giudice deposita la sua verità e se ne va per gli affari suoi. L’avvocato partecipa del dramma. Ora che sto lasciando la vita dico che ho sbagliato professione».
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