- 18 Aprile 2002
Ogni volta che si prevede qualche cambiamento, qualche alta nomina, qualche novità, alla Rai cominciano le grandi manovre. Transumanze silenziose, ricordi di antiche passioni politiche, improvvise proposte di alleanze. La piaggeria, che già si aggira incontrastata nei corridoi radiotelevisivi, prende nuovo vigore. «La grande maggioranza dei giornalisti arriva dall’esperienza della Dc», spiega Paola Angelici, caporedattore del Tg2, segretaria del Singrai, il sindacato di destra dei giornalisti Rai (quello di sinistra, ufficiale, storico, è l’Usigrai). «Quindi c’è una zona non schierata che nei momenti di cambiamento è in attesa di capire dove si va a parare. È un’ampia zona paludosa. In altri tempi si sarebbe chiamata maggioranza silenziosa». Altri tempi. Ma adesso? La Rai è diventato il capoluogo dei leccapiedi?
Celli diceva che si tratta di legittima difesa.
«Non dico che si abbia bisogno necessariamente di una protezione o di uno sponsor. Certo, per chi vuole fare carriera è abbastanza importante!».
Tu sei una schierata?
«Sono il capo del sindacato che si oppone al sindacato maggioritario, legato al centro-sinistra. Quindi sono schierata dall’altra parte».
Un sindacato si oppone al datore di lavoro, non all’altro sindacato.
«La situazione alla Rai è molto difficile da capire per quelli che sono fuori dalla Rai. Lo sganciamento dal sindacato unico dell’Usigrai fu, non per caso, a cavallo tra il ’91 e il ’94, gli anni più truculenti, da Mani Pulite in poi. Fu una frattura politica forte perché si ritrovarono senza tutela i colleghi che facevano riferimento al pentapartito e quelli che erano contro la cultura cattocomunista imperante. Inoltre Celli inaugurò una campagna in cui sembrava che tutti i giornalisti fossero dei ladri che rubavano sulla nota spese, e che addirittura non ci fossero soldi per pagare gli stipendi a causa loro. L’Usigrai non fece verbo, non difese l’onore dei giornalisti. Se ci aggiungi la tendenza all’appiattimento salariale capisci i motivi della nascita del Singrai».
Politicamente chi siete?
«Ex-craxiani, ex-andreottiani, ex-forlaniani, pochi ex-missini».
La Rai non vi riconosce.
«Se è per questo non ci riconosce nemmeno la Fnsi, il sindacato nazionale dei giornalisti».
Quanti siete?
«150. Quelli dell’Usigrai 900. Altri 500 non sono iscritti a nulla. Ma ci sono stati periodi migliori. Ai tempi della Moratti eravamo il doppio».
Come mai?
«La Moratti ci trattava bene. Ci dette la possibilità di fare le trattenute sindacali in busta paga, ci concesse un minimo di agibilità sindacale, una saletta. E poi i direttori dei tg e dei gr non ostacolarono il pluralismo».
Uno dei vostri era Piero Vigorelli, direttore della testata regionale, il bacino più importante per un sindacato, 750 giornalisti.
«Non era solo lui. C’era anche Claudio Angelini, direttore del gr, 300 redattori. E ci guardavano con favore anche Clemente Mimun direttore del Tg2 e Carlo Rossella, direttore del Tg1 che, addirittura, nominò suo vice Alberto Maccari, uno dei fondatori del Singrai».
Chi c’era ancora con voi?
«Il segretario, Paolo Cantore, Angela Buttiglione, Giuliana Del Bufalo, Gianni Raviere, Dario Carella, Dario Scipione Rossi, Massimo Minisini, Enrico Messina, Luigi Picciotto, Giorgio Di Nuovo, Rino Giusa, Cesare Pucci, Pietro Pasquetti, Ulderico Piernoli, Fabio Massimo Rocchi. Molti del Tg2. Mimun non ci ha favorito ma nemmeno penalizzato».
Altrove quelli del Singrai vengono discriminati?
«Un po’ sì. Soprattutto nelle sedi regionali».
Un esempio.
«Stefano Camozzini, a Milano. Dopo 12 anni di azienda entrò in conflitto con la Rai. Gli intimarono addirittura di lasciare la sua stanza. Lui si rifiutò. Si andò al giudizio d’arbitrato. E lì ho scoperto un inedito Antonio Di Bella».
Inedito in che senso?
«All’arbitrato lui rappresentava l’azienda».
E perché no?
«Non mi parve molto elegante che Camozzini fosse accusato da un collega per un provvedimento preso dalla direzione del personale. Mica era accusato di essere un cattivo giornalista. Era bieca rappresaglia aziendale».
Piaggeria nei confronti del potere?
«Assolutamente sì. Poi Di Bella, uomo di sinistra, è diventato direttore del Tg3, nominato dal centro sinistra. Gestiva la più grande redazione d’Europa, obbedendo agli input di Zaccaria, uomo di sinistra, distribuendo, discriminando. Avendo capito che per la sinistra si metteva male, parlò subito di pluralismo, fece circolare la notizia della sua amicizia con esponenti del Polo e, come primo atto, promosse quelli che se ne erano andati via dal Singrai»
Mi sembra impossibile. Fammi qualche nome.
«Fra gli altri Alessandro Casarin, passato in un anno da caposervizio a vicedirettore».
Interpretazione maliziosa. Stai pensando che?
«Non sto pensando. Sto affermando. Prima si è cancellato dal Singrai e poi ha fatto carriera».
Se sei Singrai non fai carriera.
«Se guardi i nomi dei direttori di sedi e dei capiredattori trovi molti provenienti dalla formazione quadri dell’Usigrai. D’altra parte lo sanno tutti che prima di fare nomine bisogna chiedere all’Usigrai».
Ma tu, come sei entrata in Rai?
«Con un paio di contratti da precaria. Mi ha aiutato la mia amica Giuliana Del Bufalo, vicedirettore del Tg2».
Giuliana Del Bufalo, socialista. E tu per chi voti?
«Il mio direttore m’ha detto che non lo devo dire».
Ma tu sei autonoma e lo dici.
«Non ho votato».
Usciamo dall’equivoco: sei di destra o di sinistra?
«La mia storia è di sinistra. Ma ho un forte elemento libertario che la sinistra ha perso».
L’ultima volta che hai votato?
«Socialista».
Non vuol dire nulla. Socialista di destra o socialista di sinistra?
«Socialista dentro Forza Italia».
I dirigenti della Rai adulano l’Usigrai?
«Per saperlo dovrei partecipare alle trattative».
Ma ai tempi di Celli?
«Celli non credo abbia mai adulato nessun sindacalista. Gli facevano schifo solo a vederli. A me stava simpatico, era diretto e schietto. L’adulatore, vox populi, era il suo braccio destro, Luigi Ferrari».
E Zaccaria?
«L’uscita peggiore di Zaccaria è stata la riunione con gli autori di satira in tv. Nessuno di loro gli ha detto: ma come, tu rispondi a Gasparri difendendo la satira, ma allora perché hai querelato così tante volte Striscia la notizia?».
Mi ha colpito, a Sanremo, l’adulazione pubblica che ha fatto Giorgino, giornalista del Tg1, nei confronti di Mimun, direttore del Tg2.
«Mi dicono che dal Tg1 ce ne sono molti che lanciano segnali di gradimento a Mimun. E lo stesso succede al Tg2, con colleghi che fanno sapere a Mazza che lo aspettano con ansia».
Anche tu?
«Mazza una volta scherzando m’ha detto: ‘Paola ti volevo ringraziare’. ‘Perché?’ ‘Perché non m’hai mandato gli auguri di Natale. Non ho mai ricevuto tanti auguri di Natale come quest’anno?».
Che impressione ti ha fatto l’inchiesta dell?Espresso sulle parentele in Rai? I padri potenti che hanno fatto assumere i figli?
«In Rai? Non conosco la situazione Mediaset. Ma i nomi li leggo anche io: Geronzi, Scalfari, Gervaso, Corbi. È normale che i figli seguano le orme dei padri».
Allora perché tanto scandalo?
«C’è dell’acredine da parte dei giornalisti della carta stampata».
Quando hai scoperto la politica?
«Da ragazza, a Roma, al liceo Tasso. C’era il mitico presidente Casotti, un vecchio socialista».
Chi ricordi?
«La mia compagna di banco Graziella Guazzugli, che ha sposato Paolo Franchi. Roberto Baratta oggi capo di Eta Beta, la casa di produzione che lavorava con Minoli, Carlo Siliotto, compositore, Isabella Marussig, Paolo Mieli?».
Il tuo ’68?
«Con l’Unione dei marxisti-leninisti, Servire il popolo, Aldo Brandirali. Stavo nelle cosiddette ‘guardie rosse’, gli studenti medi».
Chi c’era?
«Ricordo Gianni e Antonio Pennacchi, Daniele Repetto, Giuliana Del Bufalo. Poi il Movimento Studentesco. Un annetto. C’erano Peo Tecce, Stefano Poscia, Beniamino Natale, Carlo Boroni. Alla fine entrai in Potere Operaio. Nel frattempo mi ero sposata con Volfango, un altro di Servire il popolo».
Chi ricordi a Potere Operaio?
«Lanfranco Pace e Luigi Rosati».
Tu hai avuto anche un periodo di latitanza?
«Di latitanza senza motivo. Da Potere Operaio molti sono finiti nella lotta armata, Faranda, Morucci, Pace, Rosati. Io no. Ho militato nell’autonomia. E nei collettivi femministi».
E allora perché latitare?
«Era un clima pesante. Nel giugno del ’79, un anno dopo, arrestarono a Roma tutte le mie più care amiche ex Potere Operaio nell’ambito dell’inchiesta sulle Ucc. Io dissi: ‘Qua la cosa si fa pericolosa’».
Perché mai? C’entravi in qualche maniera?
«Erano giorni in cui, c’entravi o non c’entravi, rischiavi di finire dentro. L’aria era irrespirabile. Un bel po’ di carcere preventivo e poi si vede. Presi la liquidazione e con il mio compagno, di Lotta Continua, andai in America Latina. Santo Domingo, Colombia, Bolivia, Nicaragua, Perù, Cile, Brasile».
Più che latitanza è vacanza.
«Nel 1981 tornai in Europa. Nel frattempo in Italia era successo di tutto in Italia. Allora andammo a Parigi dove avevamo saputo che Mitterrand aveva concesso il primo caso di asilo politico a Marongiu, un sardo di Potere Operaio. E lì cominciai a fare la giornalista. Ad Afrique Asie. Dopo un po’ di tempo, mentre stavamo pensando di tornare in Italia, il mio compagno ebbe un incidente di moto, e morì. Io tornai in Italia».
Il lavoro?
«Collaborazioni, articoli di esteri, sostituzioni all’Ansa. Ero una precaria di 40 anni. Poi il colpo di fortuna al Tg2».
In quota socialista.
«Ti ho raccontato la mia storia. Vedi quanto poco c’entravano i socialisti? E poi avevo deciso: ‘La politica non fa per me’».
Saggia donna.
«Ero conscia di non aver dato grandi prove di intelligenza né politica, né sociale».
Hai mai avuto la tentazione della lotta armata?
«La tentazione ce l’avevano tutti. Tutti immaginavano grandi movimenti rivoluzionari. Se mi chiedi se fossi dichiaratamente contro la violenza, no, non lo ero».
E così finisci in Rai. Il tempio della piaggeria.
«Sì, può esserlo. Nelle riunioni di redazione ci sono colleghi che fanno certi discorsi perché sanno che vengono riferiti e possono far piacere al direttore».
Ricordi il crollo del craxismo in Rai? La resa dei conti?
«Giuliana Del Bufalo, vicedirettore del Tg2, fu mandata via e relegata in uno scantinato. Molto poco elegante. Ma Giuliana era il simbolo e doveva essere usata per dare un messaggio chiaro a tutti».
E gli altri craxiani?
«Antonio Bagnardi, capo del politico, sorte analoga. Ma anche Michele Mangiafico e Daniele Renzoni che craxiani non erano, furono emarginati per la loro cultura socialista o liberale».
E la stagione Garimberti?
«Fu di grande difficoltà per il Tg2. Quando arrivò Mimun fu una liberazione».
Mimun però si beccò due sfiducie dalla redazione.
«Non certo da me. Io ero fra quelli che speravano di risollevarsi dopo il periodo Garimberti. Era un momento di battaglia e di spaccatura fra le due anime del Tg2».
E adesso che se ne va e viene sostituito da un direttore di An?
«Fa effetto in una Rai in cui la destra non ha mai avuto spazio».
Il tg di Barbato, di Ghirelli, in mano ai post-fascisti?
«Credo che nella redazione del Tg2 non ci sia più questa iperpoliticizzazione per cui la destra è meno legittimata della sinistra. Non c’è più il bollino che ti esclude. Io sono disposta a fare progetti con tutti».
Quelli che votarono contro Mimun?
«Sono cambiati. I resti di quel gruppo non hanno intenzione di fare barricate ideologiche».
La vittoria del Polo ha portato nuove baldanze? Ha fatto uscire la gente dagli sgabuzzini con rinnovato orgoglio?
«L’atmosfera è cambiata. Io stessa che l’orgoglio non l?avevo mai perso, ho scoperto nuovi contratti, nuove conversazioni. Prima non erano affettuosissimi con me».
Hai scoperto l’adulazione?
«Non è che prima fossi un’appestata».
Che cosa pensi dei direttori dei tg che hanno mandato quei quattro minuti del discorso di Berlusconi, senza «mediazione giornalistica» come ha denunciato il Cdr? Non è una forma di piaggeria?
«Non ne sono tanto sicura. Quei quattro minuti non erano tagliabili. L’unica scelta possibile era mandarli o non mandarli».
Non è vero. Il Tg5 di Enrico Mentana ha montato un servizio su quel discorso. Non l’ha mandato come fosse un oracolo. Potevate almeno metterci un titolo.
«È vero, bisogna perlomeno annunciarlo. Hai letto il comunicato del Cdr del Tg2?
Dice: «Il Cdr si augura che in futuro quanto successo non abbia a ripetersi»
Ho letto comunicati più duri.
«Non è un momento propizio alle battaglie. Non si capisce dove stiamo andando. Siamo in apnea».
Il Singrai non conta quasi nulla. La Rai lo ignora, il sindacato lo ignora, non è ammesso alle trattative. Non hai voglia ogni tanto di dichiarare un bello sciopero, come fa l’Usigrai?
«Ti dò una notizia. Se il nuovo Cda non ci restituirà un minimo di pluralismo e di libertà sindacale, chiamerò gli iscritti, pochi o tanti che siano, a scioperare».
Ma così correte il rischio di essere espulsi dal sindacato nazionale.
«Voglio proprio vedere la Fnsi che caccia un componente della giunta, cioé io, e cento dei suoi iscritti».
Quale tg vedi?
«Il Tg2, il Tg1 e il Tg5. A volte anche Studio Aperto e quello di La7».
Tu non sei una sindacalista, sei una diplomatica.
«Vedo anche Striscia la notizia».
E gli approfondimenti?
«Mi piacciono Ferrara e Lerner. E Tg2 Dossier».
Ma Tg2 Dossier è dove lavori tu.
«Appunto».
E Santoro?
«Fa un programma troppo di piazza. Come Milano Italia. Non mi piaceva nemmeno quello».
Allora ti piace Porta a Porta.
«Non è il tipo di programma che seguo abitualmente».
Adulazione: più Vespa o Anna La Rosa?
«Dicono che è Anna La Rosa è troppo morbida nelle interviste. Ma non è vero. Ha un suo modo di porsi che è quello della signora, del salottino. È uno stile. Un modo di comunicare. Esattamente come Bruno Vespa. La piaggeria non ha nulla a che vedere con lo stile. Può anche darsi che quelli che a prima vista sembrano molto guerrieri ed autonomi abbiano alte quote di adulazione. Paradossalmente un grande adulatore potrebbe essere Santoro, anche se ha uno stile ruvido».
Può essere oppure è?
«Non lo so. Ma sarei curiosa di saperlo».
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