- 21 Aprile 2002
Ha cominciato con Gerry Scotti, da valletta muta. Ha continuato con Fabrizio Frizzi, con Paolo Rossi, con Vincenzo Mollica. Natasha Stefanenko, 32 anni la prossima settimana, giraffona russa, ha avuto un suo momento di popolarità con la pubblicità Riello (“No geli, no scotti, più mano!”) ma il vero successo lo ha raggiunto con le varie versioni di “Convenscion”, la trasmissione di Gregorio Paolini. Ochetta che viene dalla moda? Nemmeno per sogno. Laureata in ingegneria metallurgica.
Natasha, la gente si chiede: perché metallurgia?
“A me non me ne poteva fregare di meno dei metalli”. Ma dovevo finire qualcosa che avevo cominciato”.
Che cosa le dava più fastidio della metallurgia?
“Non mi piacevano i periodi di pratica, quando ti mandavano in fabbrica. Io mi presentai in minigonna. Mi accorsi subito che non era l’abbigliamento adatto”.
Una volpe.
“Gli operai mi fischiarono e fecero dei commenti pesanti. Loro erano vestiti con tute puzzolenti”.
Perché ha fatto l’università?
“Perché ero brutta”.
Brutta?
“Brutta brutta. Insignificante. Bionda, con ciglia bianche, invisibili. Sembravo un’albina. Non mi si vedeva la faccia. I ragazzi non mi guardavano”.
Le brutte vanno all’università?
“A metallurgia il novanta per cento erano uomini. Sfigato o no, pensavo che qualcuno che mi guardasse l’avrei trovato”
Ma non la guardava nessuno?
“Indifferenza totale. Come fossi inesistente. Camminavo in maniera sgraziata e avevo un taglio di capelli orrendo, perché facevo nuoto ed ero sempre bagnata”.
Nuotava?
“Nuotavo con il grande campione Alexander Popov, “lo squalo”. Ero forte, ero “Maestro di Sport”, sarei dovuta andare alle Olimpiadi del 1984, facevo i quattro stili. Ma preferii studiare”.
Dove abitava?
“In una città che non esisteva. Mio padre faceva l’ingegnere nucleare in una città segreta, vicino a Sverlosk, negli Urali, dove fu sindaco per molti anni Eltsin”.
Come si chiamava?
“Non glielo posso dire. E’ vietato. Si chiamava con un numero. Mio padre la mattina usciva di casa e andava a lavorare sotto terra”.
Che cosa facevano?
“Le bombe atomiche, credo. La città era tutta recitata, protetta da soldati, da kalashnikov e da cani. Noi dovevamo aver un “pass” per entrare. Il mio primo fidanzatino non poteva venirmi a trovare. Per fortuna avevamo la dacia sul lago”.
Quando è andata via dalla Russia?
“Nel 1992. Avevo 21 anni. Vinsi un concorso di bellezza. Volevo vedere il mondo e scelsi l’Italia perché il visto era più facile. E feci la modella, professione di cui non mi importava nulla”.
E poi?
“Mi vide Beppe Recchia in un ristorante e mi invitò a fare un programma con Gerry Scotti. Non parlavo una parola di italiano. Facevo la muta. Mi dissero: “Tu devi solo dire “Da””.
E lei?
“Dicevo “Da”. Come una cretina. E tutti ridevano. Mi sentivo ridicola e cominciai a studiare l’italiano. Quando in trasmissione dissi “Buonasera” Gerry Scotti quasi svenì”.
Non parlare italiano era un handicap?
“Avevo paura delle avances degli uomini perché non potevo difendermi a parole e non era il caso di prenderli a schiaffi. Stavo sempre sulle mie, distaccata. Dicevano: “E’ una russa fredda”.”
E come è finita con gli italiani?
“Mi sono sposata con Luca. Faceva il modello come me”.
Un bellone…
“Si, molto. Io avevo dei pregiudizi nei confronti dei modelli. Lui ne aveva nei confronti delle modelle. Poi ci siamo parlati e abbiamo capito che non eravamo superficiali come gli altri”.
Che cosa le piace di Luca?
“Gli occhi. Ma è bello tutto. Bellissimo. In passerella con quei capi aderenti faceva la sua porca figura”.
Lei che cos’ha di bello?
“Dicono le gambe. E il corpo. Luca quando mi ha visto in costume da bagno è rimasto colpito. Erano tempi d’oro. Non avevo un filo di grasso. Un fisico pazzesco. Sulla pancia avevo la tartarughina”.
Cioè?
“Sa quei muscoli talmente asciutti che formano i quadratini? Normalmente ce li hanno solo gli uomini. Luca mi disse, vedendo i miei addominali: “Sarai mica un travestito!”. Adesso ho messo un paio di chili e la tartarughina se ne è andata”.
Ha mai fatto calendari?
“Mi vergogno a farmi fotografare nuda. Ma non ho nulla contro”.
E il servizio per Max?
“L’ho fatto. Solo quello. Per darmi coraggio ridevo come una pazza. Ma in realtà mi vergognavo. Ed ero tutta coperta, dalle mie manone, dalla pelliccia. Non si vedeva assolutamente niente. Era un servizio per le suore”.
Essere alta 1,85 le ha procurato dei problemi?
“Da bambina i maschietti piccolini mi mi sfiancavano. Una volta un nanetto mi ha chiamò “antennona” e la mia migliore amica si girò e gli disse: “Ma non è colpa sua!”. I pianti!!”
Adesso?
Adesso niente. Mio padre mi ha insegnato ad essere autoironica. E mi sparo anche i tacchi alti.
Nessun commento.