- 10 Agosto 2002
Il libro si chiama “Fucilate Montanelli” e racconta come il grande giornalista, uomo di destra, litigò con la destra fino ad arrivare a votare per la sinistra. Lo ha scritto il suo condirettore al “Giornale”, Federico Orlando, altro uomo di destra che addirittura è arrivato a candidarsi, seppure come indipendente, con la sinistra, dopo decenni di militanza nel Pli dal quale se ne andò, ricorda, “quando i grandi personaggi liberali alla Malagodi furono sostituiti dai De Lorenzo e dagli Altissimo”
Federico, questa povera Italia non si può permettere nemmeno una destra presentabile?
Questa è la chiave del conflitto fra Montanelli e Berlusconi, anzi del conflitto fra Montanelli e i suoi lettori.
Montanelli diceva: non ho nessun padrone tranne i miei lettori.
I lettori sono pessimi padroni. Montanelli nelle sue infinite esternazioni ha detto questo ma ha anche detto che il giornalista deve stare sempre un passo avanti ai suoi lettori.
Per esempio?
Quando Berlusconi pose ai suoi giornalisti la scelta “o con me o con Montanelli” aveva in tasca dei sondaggi che davano dalla sua parte l’80 per cento dei lettori del Giornale. Lettori che avevano osannato Montanelli anche se lo consideravano non il più vicino a loro ma il meno lontano. Infatti poi arrivò Feltri e guadagnò copie rispetto a Montanelli.
Quale giornale oggi rappresenta meglio i lettori di destra?
E’ una bella lotta. “Libero” e il “Giornale” ce l’hanno con il “Foglio” di Ferrara, che considerano il cattivo consigliere di Berlusconi ma fra di loro stessi c’è una forte guerra dovuta alla concorrenza. E fanno a chi la spara più grossa, a chi fa più l’intransigente.
E chi vincerà?
Col tipo di destra che c’è in Italia Feltri perde, perché la destra italiana non è fatta di coraggiosi ma di conformisti. L’elettorato di destra comincia ad essere deluso per i primi atti del governo Berlusconi, ma è maggiore la preoccupazione che Feltri vada troppo oltre nella critica. Feltri non può fare il passo troppo lungo.
Che tipo di destra c’è in Italia?
In Italia c’è sempre stata l’identificazione fra liberale e proprietà, ricchezza, mancanza di regole. C’è stata una destra che ha identificato la crescita liberale del Paese nel rifiuto delle regole. La destra da noi è anarchica, western, si coagula attorno all’interesse personale, da realizzare al di fuori della legge, con l’evasione fiscale, con l’edilizia abusiva, con l’amnistia, con i privilegi, con le corporazioni e attorno all’ideale negativo di contrapporsi a chiunque venga a proporre qualcosa di nuovo, il socialismo, il comunismo. Berlusconi, che è un grande mago, ha interpretato alla perfezione questo desiderio della destra italiana di essere proprietaria e unificata attorno all’anticomunismo.
Tu hai detto una volta che ti senti più garantito da Fini che da Berlusconi.
L’ho detto anni fa quando vedevo che Fini aveva bisogno di emendarsi, far dimenticare le origini.
Oggi non è più così?
Non è più così. Una volta totalmente sdoganato, arrivato alla vicepresidenza del consiglio, Fini fa rinascere nel suo partito il Movimento Sociale. Vediamo Gasparri che fa le liste di proscrizione, vediamo Fini nei comandi operativi dei carabinieri. Quello che nessuno sa è che già prima della campagna elettorale Fini aveva fatto fare l’epurazione dei gruppi parlamentari cacciando tutti i cosiddetti liberali che erano stati eletti nel 96 nelle liste di Alleanza Nazionale: Sandra Fei, Pagliuzzi, il senatore Basini e tanti altri che sono stati perfino costretti a fare un partito intitolato “Destra liberale”.
Fini ha dimenticato la svolta di Fiuggi?
Oggi An è tornata ad essere Msi.
Bossi può essere definito destra?
No. Bossi non può essere definito niente. Bossi è la provincia. E’ Poujade, la provincia grigia, ombrosa, biliosa, rabbiosa. I bossiani sono quelli che vedono in Tremonti il salvatore della patria perché gli parla di riduzione delle tasse.
La destra di Berlusconi…
E’ la vera destra conservatrice, moralmente sordida. Quando incontro in Transatlantico i miei ex compagni di partito, Antonio Martino, Alfredo Biondi, Raffaele Costa, dico loro: “Ma che cavolo state facendo? Non avete niente da dire di fronte a un governo che come prima preoccupazione porta la legge sul falso in bilancio e la tassa di successione per i patrimoni ultramiliardari?”
E loro che cosa rispondono?
Nulla, sussurrano, ti passano vicino, ti chiedono di parlarne…
Sono scandalizzati almeno?
Certo, ma non lo dicono, lo sussurrano.
La destra liberale, quella che piaceva a te e a Montanelli, dove è?
Non esiste più. E’ rimasta un mito. Vuoi che ti dica una cosa che per uno che è stato il condirettore di Montanelli può sembrare una bestemmia? Per me la destra ideale oggi è Eugenio Scalfari. Può sembrare audace ma è così.
E quando D’Alema dice di essere un liberaldemocratico che impressione ti fa?
Croce ci ha insegnato che tutti quanto possono diventare liberali partendo anche da posizioni lontane.
Montanelli ha mai pensato che poteva fondare un partito?
A chi gli chiedeva perché invece di votare a sinistra non si impegnava di più a migliorare la destra “becera, illiberale, affaristica”, diceva: il giornalista deve essere sempre testimone mai protagonista.
Tu sei d’accordo?
No. E’ una farse discutibile e ingenua. Uno come Montanelli era un maitre a penser al quale la gente si rivolgeva per avere indicazioni di voto. E lui le dava queste indicazioni.
Anche a te, come a Montanelli, fa paura questa destra?
Enormemente. Questa è una destra che vuole le mazzate, il pugno forte. Il Paese è ancora più reazionario dei suoi capi. Io ascolto Radio radicale dove si riversano le fogne della società, la feccia, sento delle cose tremende: “Gli hanno sparato in fronte? Dovevano sparargli in bocca! Nelle orecchie!” Questo è il modo di parlare di tanta borghesia, non solo dei nullafacenti di paese.
Hai mai litigato con Montanelli?
Si, prima di assumere la condirezione, negli anni in cui discutevamo su come bisogna fare il giornalista. Oggi pomeriggio, quando ci incontreremo a Lavarone, gli dedicheremo qualche minuto. Può essere toccante anche per i lettori scoprire come questo uomo, nella sua totale mancanza di sentimenti secondo la vox populi, sul piano professionale non mancava di sentimento quando dava consigli ai suoi amici e colleghi.
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