- 30 Gennaio 2003
Con un suo articolo ha messo in crisi la giovane associazione di Libertà e Giustizia che si diceva voluta, ispirata e guidata da Carlo De Benedetti, editore del gruppo Espresso-Repubblica. «Ho usato probabilmente due aggettivi di troppo», spiega Claudio Rinaldi, 56 anni, ex direttore dell’Europeo, di Panorama e dell’Espresso.
Più che aggettivi, erano pesanti giudizi nei confronti del management Fiat. «Ho dimenticato che tra i garanti di Libertà e Giustizia c’era Franzo Grande Stevens, da poco nominato vicepresidente della Fiat». Risultato: dimissioni di Grande Stevens. «Gli ho subito mandato una lettera di chiarimento e lui mi ha risposto con molto garbo», racconta Rinaldi. Poi c’è stato un comunicato dell’associazione piuttosto critico. Risultato: dimissioni di Claudio Rinaldi. E imbarazzo generale.
Claudio, perché ti eri iscritto a Libertà e Giustizia?
«L’idea era buona. Un punto di raccolta per quella che un tempo si chiamava borghesia progressista».
Per dire cosa?
«Per dire che siamo antiberlusconiani ma non troppo e comunque in maniera intelligente».
Ti senti antiberlusconiano ma non troppo? Sembreresti antiberlusconiano e tanto.
«Berlusconi è il peggio del peggio. Ma ne ammiro la destrezza».
Libertà e Giustizia è stata definita da Gad Lerner «il club dei miliardari».
«Se in Italia ci fossero così tanti miliardari che vogliono impegnarsi in una cosa politico-culturale dovremmo fare salti di gioia».
La Repubblica, La Stampa e L’Espresso hanno ignorato la polemica. Conflitto d’interessi?
«Discrezione».
E i lettori?
«Mica è successa la fine del mondo. Libertà e Giustizia non è l’Onu. I lettori non si sono persi molto».
Sei mai stato adulatore?
«Il contrario. Tendo a pensare che quasi tutti gli altri abbiano dei difetti. E a dirlo».
Hai mai adulato Lamberto Sechi, il mitico?
«Di lui dirò sempre tutto il bene possibile ma non è adulazione, è giusto riconoscimento».
Hai mai adulato De Benedetti, il tuo editore?
«Non è adulazione. È ammirazione. Capisce sempre prima degli altri ciò che sta succedendo. È molto passionale. Questo sorprende chi pensa che il capitalista sia una persona con molti strati di pelo sullo stomaco. In realtà De Benedetti si muove spesso in base a impulsi sentimentali più che a calcoli razionali».
Hai cambiato spesso opinione. All’inizio eri di Lotta Continua.
«Prima ancora ero del Movimento studentesco della Cattolica. Era generico nelle sue ideologie ma aveva una forte componente autoritaria. Nel ’69 aderii a Lotta Continua dove le ideologie pesavano di più. Lotta Continua era marxista, aveva simpatie per Lenin e Mao, ma detestava Stalin. Poi a un certo punto Lotta Continua mi ha stufato e me ne sono andato. Non mi divertivo più. Alla Cattolica avevo un ruolo di primo piano. In Lotta Continua ero un pesce fuor d’acqua. Non potevo competere con Sofri o con Pietrostefani o con Viale che ne sapevano molto più di me».
E la violenza?
«Quando scoppiava lo scontro io me la svignavo. Dare botte non mi è mai piaciuto, e non mi piaceva nemmeno prenderle. Molti compagni mi ritenevano un po’ pavido».
Verbalmente eri violento?
«Su Lotta Continua ne ho scritte di tutti i colori. Ma non si firmava, non si sapeva di chi erano gli articoli. Nessuno oggi può rinfacciarmeli».
Potresti confessarne qualcuno?
«C’era stata una rivolta e qualcuno aveva dato alle fiamme un edificio pubblico. Io feci un simpatico titolo: “Un esempio da seguire: a fuoco il Municipio”».
Lotta Continua è indicata come esempio di voltagabbana di gruppo.
«L’esplosione del terrorismo ha sputtanato tutti i movimenti extraparlamentari di sinistra. E c’è stato una specie di rompete le righe generale. Ognuno ha scelto una sua strada».
Mi chiedo come si può, dopo aver urlato: «Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi», andare con i fascisti e con i borghesi.
«Tutti hanno diritto di guadagnarsi la pagnotta come credono. Gli anni Ottanta hanno rappresentato un’enorme svolta, ha preso piede l’individualismo di massa. Le sensibilità che c’erano prima, il riscatto degli oppressi, sono andate in soffitta».
Molti di Lotta Continua ti considerano un traditore. Manconi dice che eri e sei un intollerante, Gad Lerner dice che sei un pentito di Lotta Continua, astioso, come hai rivelato nel caso Sofri, Andrea Marcenaro dice che la tua militanza in Lotta Continua si è consumata al Bar Magenta giocando a poker.
«È vero che frequentavo il Bar Magenta, era il locale preferito da noi studenti. Ma non giocavo a poker allora. Non avevo i soldi. Giocavo a biliardo e a scala quaranta. Per quanto riguarda Marcenaro non credo che uno disincantato come lui passasse 24 ore su 24 a prendersi cura dei proletari».
Caso Sofri?
«Sono certo che non è coinvolto nell’omicidio Calabresi. D’altra parte mi riesce difficile pensare che Leonardo Marino si sia inventato di aver partecipato con Ovidio Bompressi all’assassinio. Per questo non ho mai partecipato a caompagne innocentiste».
Chi è secondo te il principe dei voltagabbana in Italia?
«Nando Adornato».
Definì il tuo Espresso «la centrale della gauche porno-soft».
«Adornato è un genio: riesce sempre a intortare qualcuno a fronte di risultati molto scarsi. Se penso a quei poveri imprenditori, da Pietro Marzotto a Franco Debenedetti, che hanno versato centinaia di milioni per l’avventura di Liberal. Si capiva a prima vista che non poteva funzionare. Aveva il muso arrogante di chi vuole dar lezioni a tutto il mondo».
Dicono: caratteristica del voltagabbana è scagliarsi contro gli ex amici.
«Come fa Paolo Guzzanti che non perde occasione di parlare male di Scalfari al quale deve tutto. E poi vuole sempre scrivere di troppe cose. Saltabecca da un argomento all’altro e non ne conosce a fondo nessuno».
Ti ha definito «maggiordomo della sinistra»…
«Prova ad andare a chiedere a D’Alema, a Rutelli o a Prodi quanto mi amano».
Giuliano Ferrara ti ha definito «ingombrante e simpatico perdente»…
«Non sono quasi mai d’accordo con lui ma ha una grande eleganza nel pensare e nello scrivere. Ha delle forme di trattamento cavalleresco: sfotte ma difficilmente incrudelisce».
Ingombrante e simpatico perdente…
«Giuliano è strano. Nell’estate del ’97 pubblicò su Panorama un articolo di due pagine, scritto da Andrea Marcenaro, in cui si ironizzava su di me come l’ultimo giapponese che non voleva che Ulivo e Polo facessero le riforme insieme nella Bicamerale. Dopo soli due mesi la storia ha dato ragione a me. Perdente?».
Ai tempi della Bicamerale hai polemizzato molto con Marco Boato, ex Lc.
«Mi ha fatto cadere le braccia anche quando ha consentito la nascita del Foglio, inventandosi un falso partitino composto da due membri, lui e Marcello Pera, e facendogli ottenere i finanziamenti dello Stato».
Una forma di mecenatismo…
«Mettersi a braccetto con uno della parte politica avversaria, per finanziare un giornale della parte politica avversaria. Rimanga fra noi…».
Rimarrà fra noi…
«Boato non è cattivo. È trentino. È un misto di abnegazione e opportunismo, come diceva Moro di Piccoli.».
Molti considerano fra gli adulatori Velardi, l’uomo dello staff di D’Alema.
«È buffo che si sia messo a fare l’uomo d’affari. Uno si immagina che chi sta giorno dopo giorno a contatto con un leader politico continui a restare nei suoi paraggi».
Velardi fa l’editore del Riformista. Dicono per conto di D’Alema…
«Il Riformista? C’è sul mercato un giornale che si chiama il Riformista».
È quello diretto da Antonio Polito che ti ha definito «giornalista maniacale».
«Dirò una cosa un po’ riformista. Preferisco essere maniacale, piuttosto che definirmi riformista senza poi spiegare se le riforme che voglio fare sono di sinistra o di destra. Il Riformista mi sembra una reazione rabbiosa dell’entourage di D’Alema all’Unità».
Che a te piace.
«La trovo spregiudicata nella titolazione e dignitosa nelle posizioni».
Molti criticano il direttore Furio Colombo, passato dalla Fiat a Gramsci.
«Senti questo Cd. È un famoso concerto italiano di Joan Baez. Senti lo speaker che dice cose orrende della sporca guerra del Vietnam. È lui. Furio Colombo. È sempre stato un progressista e ha sempre avuto incarichi professionali importanti. A sinistra devono esserci solo i pezzenti?».
Più adulatori a destra o a sinistra?
«Nessuna differenza. Ricordo Rino Formica in un infiammato discorso su Craxi: “In Paese hanno trovato un grande leader”. Ma che dire di Vito? Forza Italia ormai lo nasconde. E mi chiedo come abbia fatto Berlusconi a nominare portavoce uno come Bondi».
Tra i personaggi televisivi individui degli adulatori?
«Io alla televisione guardo solo le partite di calcio. La Tv mi deprime. È difficile trovarci lampi di intelligenza. Vedevo Santoro e Biagi. Vedo spesso Vespa ma non altro».
Vespa ti piace?
«Si sforza di fare domande, non dico imbarazzanti, ma esplicite. Però la sua impostazione di fondo rimane molto faziosa. Si capisce lontano un miglio per chi fa il tifo».
Quale Tg preferisci?
«Il Tg3 perché il Tg1 non fa più capire che cosa è importante».
Il Tg2?
«Impacciato. Ma meglio del Tg1.
Il Tg5?
«Le reti Mediaset non le vedo proprio. Sono troppo intrise di volgarità. Non sopporto una Tv dove si fanno solo programmi in cui tutti ridono, battono le mani, fanno finta di essere felici tra interruzioni pubblicitarie a valanga che non si distinguono dai programmi».
Parlando di tuo padre, hai detto: «Era migliore di me, aveva una forma di morale oggi sconosciuta». Sconosciuta agli altri o sconosciuta a te?
«Io tutto sommato sono una persona per bene. Però ricordo mio padre, alto funzionario del ministero della Pubblica Istruzione, che ricevette in regalo tre bottiglie di vino rosso e le rimandò al mittente».
Tu lo avresti fatto?
«Francamente no. I generi alimentari li ho sempre mangiati e bevuti».
Chi te li ha regalati?
«Una mattina del 1977 in cui dovevo intervistare un Berlusconi emergente, trovai sul pianerottolo 204 bottiglie di vino».
Un pensiero.
«Mi sembrava scortese rimandarle indietro. Comunque sapevano di tappo e finirono nel lavandino. Mesi dopo Berlusconi mi regalò uno strano oggetto, una specie di scultura di un artista di nome Berrocal, una specie di dea Kalì che si poteva scomporre in tanti piccoli monili: anelli, orecchini, braccialetti. Mandarmi un mammatrozzo di quella natura l’ho trovato francamente deplorevole. Gliel’ho rimandato indietro con un biglietto: “Grazie, ma non sono di gusti così raffinati da apprezzare un simile capolavoro”».
Non sei stato molto educato.
«Da allora non mi ha più mandato niente. Ogni tanto, a Pasqua, mi arriva un grande uovo di cioccolato marca Bauli, credo proveniente dai cambi-merce di Publitalia».
Hai guardato bene la sorpresa?
«Ho guardato. Niente anelli».
A destra non ti piace nessuno?
«Fisichella. Conserva una notevole indipendenza di giustizio, forse perché non gli hanno dato la presidenza del Senato. E poi Bossi. C’è grande contraddizione tra le truculenti bestialità che dice, che forse nemmeno pensa, e la mitezza e la dolcezza dei suoi occhi».
A sinistra chi è che non sopporti?
«Sopporto tutti: ho molta simpatia per i perdenti. Ma hanno una vocazione a litigare raccapricciante, una voluttà speciale nel dire in pubblico che gli altri sono idioti. Soprattutto D’Alema. Se tu stai bevendo un caffè con lui, lui ti guarda e la sua faccia dice: “Ma guarda con che razza di imbecille mi tocca bere questo caffè”».
Ti piace Bertinotti?
«È un tragico caso di persona che dice tutte cose sbagliate ma le dice simpaticamente».
Lo consideri colpevole della caduta del governo Prodi?
«Certamente. Ma Prodi fu affossato anche dalla sostanziale contentezza di D’Alema. D’Alema una volta venne da me a pranzo. A un certo punto disse di Gianpaolo Pansa: “È un grande giornalista, peccato che non capisca niente di politica”. E dopo mezz’ora, parlando di Prodi: “Ecco, Prodi di politica capisce ancora meno di Pansa”».
Gioco della torre, Feltri o Ferrara?
«Ferrara in fondo è buono».
Feltri è cattivo?
«È spietato».
Santoro o Travaglio?
«Butto Santoro. Travaglio si prende meno sul serio. Ma a volte esagera. Non può trattare un peccato veniale come un omicidio».
Però ti piace.
«Ce l’hanno tutti con lui. Mi ha raccontato Antonio Padellaro che quando hanno dato una rubrica a Marco Travaglio sull’Unità, Piero Fassino ha dato i numeri».
Cofferati o D’Alema?
«Salvo Cofferati. Ha meno complessi».
E D’Alema?
«Quando vedo che scrive tanti libri di cui si potrebbe fare a meno, non posso non pensare che non si è laureato. E non è una grande idea avere scelto Berlusconi come editore».
Bobo Craxi o Stefania Craxi?
«Salvo Bobo. È più sobrio. La sorella difende la memoria del padre. Comprensibile. Ma dovrebbe rendersi conto che è un’impresa difficile».
Tu per chi voti?
«Ho votato cani e porci: Psiup, Manifesto, Psi, Pci, Pri, Dc, Pds. Nel ’96 votai per Prodi. Dal 2001 non voto più. Adesso voterei Margherita, ma senza entusiasmo».
Fede o Rossella?
«Rossella è un grandioso uomo di mondo e un giornalista sveglio e versatile. Merita di essere conservato per i posteri».
Benni o Serra?
«Salvo Serra. Ha sempre la faccia di chi non ha dormito la notte perché ha fatto bagordi. Spesso era mio compagno di gioco al casinò. Giocava di preferenza sul cavallo 32-35, o 0-3 e sul pieno 17. Un giocatore meticoloso e autoironico. Non l’ho mai visto irritato o estasiato».
Poi hai scoperto il poker.
«Il tavolo classico era con Jas Gawronski, Gianluigi Melega e il principe Caracciolo. Saltuari, Pietro Calabrese, Giovanni Malagò e Giuliano Ferrara. Chi vinceva di più era Gawronski».
Previti o Dell’Utri?
«Butto Dell’Utri perché Previti non fa finta di essere un uomo di cultura».
Forattini o Vauro?
Salvo Forattini perché appaga il gusto dell’orrido.
Costanzo o Vespa?
«Mi lascia stupefatto la leggerezza con cui tanti pendono dalle labbra di Costanzo, il più grande guru del mondo».
Urbani o Sgarbi?
«Salvo Sgarbi perché è perfido. Una volta, negli Sgarbi quotidiani, mi insultò. Quando lo incontrai in aeroporto, gli dissi: “Hai fatto piangere mia mamma. Se lo fai ancora, ti faccio ammazzare”».
Ha smesso?
«Ha smesso».
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