- 6 Marzo 2003
Il contestatissimo libro di Asor Rosa che ha turbato la comunità ebraica italiana, lei, Andrée Ruth Shammah, ebrea, regista, lo ha presentato nel suo teatro milanese, il Parenti, ex Pierlombardo. Spiega: «Il libro non l’avevo letto e non lo leggo. Non mi piace la visione, che una gran parte della sinistra comincia a dare per scontata, che Israele sia la punta avanzata della macchina da guerra occidentale. Adoro il pensiero ebraico che ad ogni domanda risponde con un’altra domanda. Sono pericolosi quelli che hanno certezze, quelli che hanno le letture globali. E siccome odio le semplificazioni mi sono detta: non facciamo lo stesso errore. Sentiamo che cosa ha da dire Asor Rosa che è uomo intelligente e colto».
Risultato?
«Asor Rosa mi è piaciuto tantissimo perché era in imbarazzo, aveva l’aria di uno a cui dispiaceva aver fatto del male».
È semplificazione anche considerare antisemita chi indica Sharon?
«In questo momento gli israeliani stanno soffrendo, sono scorticati. Apri il giornale e hai paura di vedere israeliani con il mitra e palestinesi vittime. Insieme a una mia amica ho finanziato una ricerca di Mannheimer in cui risulta che il 75% della gente che è contro Israele pensa che lì prima c’era lo Stato di Palestina».
Lei è con Sharon?
«Io non sono con Sharon. Molta parte del Paese che ha votato per Sharon non è con Sharon. È l’esasperazione che fa votare tutti per Sharon».
Anche i palestinesi hanno le loro ragioni.
«Più nessuno al mondo nega il diritto ai palestinesi di avere uno Stato, ma più di metà del mondo è contro l’esistenza di Israele. Oggi Israele è in ginocchio. Non conto i morti. Conto i feriti: 5 mila. La gente ha gravi crisi mentali. Tutti si chiamano al telefono per sapere se sono vivi. Molti vogliono andarsene».
I morti sono tutti uguali.
«Ma quelli israeliani pesano di più perché gli israeliani sono pochissimi e gli arabi attorno sono milioni e milioni. Israele è più piccola della Lombardia».
Israele è forte. Ha l’appoggio dell’Occidente.
«Israele ha già perso. Un Paese senza la fiducia di esistere che Paese è? Gli Stati Uniti, quando Israele non servirà più, l’abbandoneranno in un minuto».
Suo marito è ebreo?
«No. Ed è molto infastidito dalla politica di Israele. Discutere con lui mi fa star male».
Suo figlio?
«Mio figlio è ebreo, è circonciso e anche io sto diventando sempre più ebrea. Ho smesso di mangiare prosciutto. Ma ormai mi sento persa. Certe sere mi sento a disagio, ho paura che vengano fuori frasi imbarazzanti».
Vengono fuori queste frasi?
«Giorni fa un abbonato al Teatro Parenti, dopo aver letto una mia intervista sul Corriere della Sera mi ha scritto: "Dopo venti anni ho finalmente capito che cosa mi dava fastidio nei suoi spettacoli: lei è una ebrea e una falsa umile"».
Nei salotti…
«Nei salotti spesso, parlando di Israele, alcuni dicono "gli ebrei", e allora io correggo: "Gli israeliani"… Mi guardano: "No, vogliamo dire ebrei". Ed io: "Non sono una categoria bloccata gli ebrei". E loro: "Invece siete un’unica cosa e la tua reazione lo dimostra"».
Capita spesso?
«Spesso. E siccome non voglio fare sceneggiate mi alzo e me ne vado. Oggi i grandi difensori dell’ebraismo e di Israele sono i fascisti. Dobbiamo ringraziare la nostra sinistra».
Lei è socialista…
«Io ho cominciato a dichiarare il mio socialismo quando erano tutti contro Craxi. Ho conosciuto Martelli prima ancora che diventasse socialista. Ho conosciuto Craxi che non era ancora segretario. Era sincero, forte, puro, fedele ai suoi amici. Una bella persona».
Craxi era filopalestinese.
«Più che altro era amico di Arafat».
Ha fatto il ’68?
«Dall’altra parte. Mi schierai con Paolo Grassi al Piccolo Teatro contro chi lo contestava. Tra Capanna e Grassi, scelsi Grassi».
L’ultimo voto che ha dato?
«Albertini».
E alle politiche?
«Non ricordo».
Non ricorda?
«Guardi, non mi disprezzi. Dirigo un teatro importante, ma la politica non mi appassiona».
Facciamo così: lei ha gioito nel 1996 quando ha vinto Prodi?
«Ma scusi. Craxi era già ad Hammamet: io non gioivo».
La politica attiva?
«Mi hanno chiesto tante volte di presentarmi candidata, ma ho sempre rifiutato. E non ho mai occupato poltrone, quando si facevano le lottizzazioni».
Tipo?
«Una volta c’era la nomina dello Stabile di Roma e Martelli mi chiamò: "Guarda che spetta a noi. Tu accetteresti? Io risposi: "Aiutatemi al Pierlombardo. Non sono uno strumento da piazzare"».
Lei descrive Craxi come un santo. È stato condannato…
«Craxi usava i soldi per far crescere il Psi. Non per il suo piacere personale».
Esistono autorevoli opinioni contrarie…
«Bettino non aveva bisogno di arricchirsi».
Anche fosse, attorno aveva gente che si arricchiva… Poi, scomparso Craxi, scomparsi i craxiani.
«Sì, scomparsi. Nei salotti, tra la gente di teatro, tra quelli della moda. C’era gente alla quale essere amica di Craxi aveva cambiato la vita. Pensi a Trussardi, pensi allo stesso Berlusconi. E poi, improvvisamente, il fuggi-fuggi. Io ero allibita. Certe serate milanesi… nessuno era più socialista. E se io aprivo il discorso, tutti avevano sempre capito, tutti avevano visto le mazzette. Ma se le avevano viste, perché erano stati zitti?».
Come faceva una «innamorata» di Craxi come lei ad avere una storia importante con un comunistone come Franco Parenti?
«Di Franco mi incantavano le sue qualità umane, la sua intelligenza, il suo rigore e la sua carica ideale. Qualità che mi incantano ancora oggi».
Tornando alle serate milanesi… chi c’era?
«I teatranti c’erano tutti. Tutti socialisti. Adesso sono rimasta l’unica. Un giorno una commissione del Ministero mi ha tagliato i fondi perché ero stata "premiata" dai socialisti. E gli altri? Che fine hanno fatto gli altri teatranti socialisti?».
Voltagabbana.
«Gabriele Salvatores era con Martelli… il Piccolo Teatro era, sin dalla sua nascita, una roccaforte dei socialisti…, il Teatro dell’Elfo…il Teatro Uomo, Maurizio Scaparro… Ivo Chiesa, Vittorio Gassman… i teatranti italiani sono opportunisti, voltagabbana per necessità, ccostretti spesso a vivere come mandolinieri che suonano a piazza Navona. Sono stati tutti dietro a Craxi e improvvisamente si sono messi tutti dietro a Veltroni».
Perché i suoi genitori sono venuti a Milano dalla Siria?
«Volevano andare in Giappone. Ma a Milano sono nata io. E siamo rimasti».
Famiglia ricca.
«C’era il boom economico e mio padre era un finanziere».
Educazione?
«Scuola cattolica. L’unica di lingua francese. Io e mia sorella leggevamo le preghiere e dicevamo: in questa non si parla di Gesù, può andare bene anche per noi».
Problemi?
«Una volta un ragazzo, si chiamava Marc, mi disse: "Voi avete ucciso il nostro Dio". Non capivo che cosa volesse dire. A casa non si parlava di ebraismo».
Ricordi forti della giovinezza?
«Ero affascinata dalla intelligenza e non dalla cultura. Odiavo la competizione. Ad un certo punto smisi di parlare. Tacere, tacere, tacere. Poi scoprii una scuola di mimo. Era stupendo. Ci si poteva esprimere senza parlare».
Scoprì anche il digiuno.
«Accompagnavo mio padre in quei luoghi dove fanno dimagrire. Il digiuno è molto eccitante, una droga. Dà visioni pazzesche. Acqua e limone. Quando svenivi ti mettevano le lenzuola gelate. Esperienze molto forti».
E pericolose.
«C’erano dei medici che ti controllavano. Erano radiati dall’albo ma c’erano».
I miti di allora?
«Adoravo Gino Paoli, Paolo Conte, James Dean».
Ricorda il primo amore?
«Gli amori li ricordo tutti. Il primo ragazzo era uno con un motorino rosso che si chiamava Bepi, a Forte dei Marmi».
Che cosa sono secondo lei i voltagabbana?
«A volte sembri un voltagabbana ma non lo sei. Tu resti uguale ma la realtà cambia. Così ti trovi una volta con Forza Italia e una con i comunisti anche se continui a pensare la stessa cosa. E questo vale nella cultura, nelle idee, nella politica, nella religione».
Voltagabbana è la realtà?
«È ondivaga. Per esempio Sergio Scalpelli, ex comunista,uno dei fondatori del Foglio, entrato nella giunta Albertini, è sempre stato riformista dovunque si sia trovatao. Però non è un voltagabbana».
Allora cerchiamo il vero voltagabbana.
«Ho visto della gente di destra che appena è arrivato Veltroni al ministero improvvisamente ha detto che era sempre stata di sinistra».
Nomi?
«Tutti».
Dire tutti è come dire nessuno.
«Tutti. Tranne Albertazzi e Zeffirelli. Tutti gli altri sono diventati di sinistra. E adesso sono diventati tutti berlusconiani».
E allora parliamo dell’adulazione.
«Tutta la gente che incontro mi dice che agli spettacoli di Ronconi si annoia. Poi, se c’è un microfono della televisione nei paraggi, dice: "Ronconi è il più grande regista d’Italia". Di Ronconi non si può parlare male. È intoccabile».
L’incidente di Siracusa, quando il sottosegretario Micciché criticò le maxi caricature di Berlusconi…
«Quella cosa io l’ho trovata vomitevole. Ci credeva o non ci credeva? Se ci credeva doveva lasciarle. Se non ci credeva non doveva nemmeno metterle. Qualcuno ha criticato Ronconi?».
Dei potenti non bisogna mai parlar male.
«Nemmeno da morti. Io ho subìto il fascino di Gianni Agnelli. Come tutti. Ma quanta retorica per la sua morte. E l’orologio sul polsino. E la cravatta sul golfino. E la camicia coi bottoncini. Gli italiani hanno bisogno sempre di avere dei Re. Non hanno avuto i Savoia, si sono buttati sugli Agnelli».
Altri potenti superadulati?
«Dario Fo. C’è stato un momento in cui criticarlo era reato di lesa maestà. E poi Gino Strada. Guai a chi tocca Gino Strada».
E perché mai bisognerebbe toccare Gino Strada? Che ha fatto di male?
«Quando improvvisamente compaiono queste enormi bolle la mia mente ha subito voglia di andare a vedere se è proprio tutto così. Nessuno sa se è un grande chirurgo. . E poi da tempo non fa nemmeno il chirurgo perché è sempre in giro a fare conferenze e a raccogliere soldi».
Raccogliere soldi per gli ospedali è attività riprovevole?
«Certo che no. Anzi. Ma voglio dire che il politicamente corretto, a priori, mi dà sui nervi. Pronta a ricredermi. Ma nel caso di Emergency come è possibile che da Tronchetti Provera, ai salotti, agli attori, ai calciatori, ci sia tutta questa uniformità? Quello che mi dà fastidio è l’impossibilità di ragionare sulle cose e di sollevare dei dubbi. Quando Fo vinse il Nobel non si poteva dire nulla. È il meccanismo del ricatto. Se critichi Berlusconi lo demonizzi. Se lo difendi lo sacralizzi».
Gli ebrei sono adulatori?
«Gli ebrei sono orgogliosi».
Lei vede la televisione?
«Pochissimo. Mi sto isolando da tutto. Qualche volta Costanzo, ho visto Benigni recitare Dante, vedevo le trasmissioni di Santoro, ottime ma troppo aggressive. Mi hanno invitata ma non ci sono andata».
Paura?
«Sapevo che se non ero d’accordo con lui finivo male».
Vespa le piace?
«Noioso. Ha perfino la faccia noiosa».
Il giornalista che non può sopportare?
«Tocco la persona più potente della critica italiana. Non mi piace il gioco che fa Franco Quadri. Non mi sembra possibile che un premio, istituito da lui, in 30 anni, abbia premiato sempre e solo i suoi amori, i suoi amici, sempre gli stessi».
Altri?
«Uno che mi ha fatto male è stato Giorgio Bocca. Quando mio padre ebbe dei guai giudiziari e finì in prigione, lui scrisse che era un mercante di armi e di droga. Io lo conoscevo, eravamo amici, gli telefonai e gli spiegai che non era vero, che era stato scagionato da questa accusa. Lui mi rispose: "Sì, può darsi che la cosa che ho scritto sia sbagliata, ma a me di tuo padre non mi frega niente. Se parlare male di tuo padre dimostra che Craxi appoggiava dei mascalzoni, a me va bene". Io dissi: "Ma se non è vero bisogna smentire". E lui: "La storia non si gioca sui sentimenti di una
figlia"».
La destra dal punto di vista della cultura, ha portato novità?
«Novità? La Carlucci? Però devo dire che la destra non ha potuto fare a meno degli intellettuali di sinistra. Mentre la sinistra ha sempre ignorato la destra».
Chi ha ignorato? Zeffirelli? Albertazzi? Barbareschi?
«Barbareschi non è né destra né sinistra. Non è niente. È un provocatore sopravvalutato che gioca a fare il bastian contrario».
Chi le piace a destra?
«Formigoni, Albertini. Due personaggi non banali. Albertini è una persona speciale, particolare, anomala, difficile, leale, perbene, anticonformista, originale. Una persona che non mi annoia mai. Come Formigoni. Che è anche bello e alto. Io ho molti amici ciellini. Li ho ereditati da Testori».
Gioco della torre: Rutelli o Bertinotti?
«Butto Rutelli, non è così interessante. Bertinotti mi piace come si veste, però fa molti pasticci nella sua apparente coerenza».
Sgarbi o Urbani?
«Salvo Sgarbi. So che è un provocatore e da molte persone perbene considerato un disgraziato, ma è un piacere sentirlo parlare. Ha una testa meravigliosa. E poi è un genio della comunicazione».
E Urbani?
«Chi è Urbani? Non lo conosco. Sento poco la sua presenza. Forse non gli piace il teatro».
Veltroni o Melandri?
«Salvo Veltroni. È stato un buon ministro. Non l’ho amato perché mi ha sempre boicottato. Ma ha aiutato il cinema italiano».
E la Melandri?
«Altra cosa. Non aveva autonomia, personalità. Non aveva idee sue, aveva quelle di Veltroni».
Amato o De Michelis?
«Io sono una teatrante. Considero il lato estetico. Butto De Michelis. È molto intelligente, ma fisicamente non mi piace».
Bobo o Stefania?
«Stefania vale di più di Bobo. Ha grinta. Lui è un bravo ragazzo spinto dalla mamma a fare politica».
È stata al funerale di Craxi?
«Sì, con Adriana Asti e Giorgio Ferrara. Era tutto finto, sovraeccitato, irreale. Mi ha colpito Silvio Berlusconi che piangeva in un angolo. Un fiume di lacrime. Mentre tutti insultavano tutti. E Stefania che decideva chi era degno di avvicinarsi alla bara. Per esempio, Claudio Martelli era degno o no di avvicinarsi e piangere il suo padre-padrone? Io trovavo tutto assurdo. E la cosa che mi impressionò di più fu che Bettino era troppo grande per quella bara ed era piegato. E che gli avevano messo un rosario in mano».
Condivido tutto quello ha risposto nell’intervista da
Andrée Ruth Shammah
V. Falsitta
Per essere ebrea…mi e’ piaciuta. La sua schiettezza non e’ da tutti.