- 9 Novembre 2003
Molti lo considerano un tremendo forcaiolo, un acritico giustizialista, un demonizzatore degli avversari politici che vorrebbe vedere tutti in galera. Per altri è un idolo, un coraggioso Robin Hood che combatte i ricchi e i potenti in difesa della legalità e contro la corruzione. Da quando Marco Travaglio parlò, nella trasmissione di Daniele Luttazzi, dei sospetti di rapporti mafiosi che si addensavano sul capo del leader di Forza Italia, è costantemente al centro di feroci polemiche. Per la Rai non esiste più, è come un fantasma. Ma i suoi libri vanno ugualmente in testa alle classifiche da quando lui, per presentarli, ha praticamente lasciato casa intraprendendo un giro d’Italia che non finisce mai.
È vero che aderisci maniacalmente alle sentenze dei tribunali?
«Io faccio il cronista giudiziario e racconto casi di corruzione. Non aderisco maniacalmente a niente».
Lo sostengono in molti.
«Pubblico documenti che danno fastidio. Le indagini di cui parlai a Satyricon non le ho fatte io. Esistevano e la tv non ne aveva mai parlato».
Non sarà che ti sei montato la testa e che pensi che senza di te la democrazia è in pericolo?
«La famosa intervista al giudice Borsellino sui rapporti fra Berlusconi e Vittorio Mangano, presunto stalliere e sicuro mafioso, l’avevano offerta al Tg1 che l’ha rifiutata».
Il direttore era Gad Lerner.
«Gad l’ha anche rivendicato. Dice che non era una notizia. La realtà è che in tv non sta bene dire certe cose di un politico importante».
Stai parlando di uno dei campioni della sinistra.
«Gad ha tanti pregi ma non il coraggio. Sapeva benissimo che trasmettendo l’intervista di Borsellino non sarebbe durato a lungo. Intendiamoci, lo stesso rischio l’avrebbe corso dicendo qualcosa di pesante su un leader del centro-sinistra. C’è una convenzione non scritta ma rispettata da tutti: certe cose in tv non si dicono».
Stai dicendo che chiunque si comporterebbe così?
«Se uno diventa direttore del Tg1 conosce i suoi limiti. Longanesi diceva: "Certe onorificenze non basta rifiutarle. Bisogna non meritarle"».
Le sentenze sono giuste anche quando condannano te? Sei stato condannato a risarcire Previti perché lo avevi diffamato.
«Era un processo civile, non penale. Ha accertato un danno, non un reato. E poi avevo scritto una cosa vera: il giudice non ha potuto darmi ragione perché il mio avvocato non ha prodotto la prova che mi scagionava».
Nel frattempo, se tu chiami «pregiudicato» Pomicino, lui dice che semmai pregiudicato sei tu.
«Eh no. Nessuna sentenza dice che io ho commesso un reato. Nel caso di Pomicino, invece, i giudici del processo Enimont dicono che ha preso cinque miliardi illegalmente».
Pomicino dice che è stato condannato solo una volta per finanziamento illecito di partito e assolto 30 volte.
«Singolare difesa. Non ho mai sentito uno che va in giro dicendo: "Non sono un assassino perché ho solo una condanna per omicidio, le altre 30 volte mi hanno assolto».
Perché dicono che hai una passione per la galera e le manette?
«E’ una simpatica campagna avviata da Giuliano Ferrara e da un’ampia lobby trasversale per squalificarmi».
Anche a sinistra è pieno di gente che ritiene che tu sia un manettaro.
«Quelli che la pensano come D’Alema».
Però a volte sembra proprio che la galera ti interessi.
«Abbiamo decine di persone che invece di stare in galera stanno in Parlamento. E visto che governano anche me, questi sono fatti anche miei. Non voler essere amministrati da ladri non è poi una gran pretesa».
Passi per precisino. Ma hai commesso errori. Hai confuso un Casini per un altro. Un Fallica per l’altro.
«Tutti sbagliano. Ma c’è la buona fede. Erano casi di omonimia».
Hai scritto cose sbagliate su Ayala.
«E mi dispiace: l’Ansa aveva dato per amnistiato un suo reato. Non era vero. Senti: di solito non sbaglio, ma quando sbaglio lo ammetto, chiedo scusa e pago di tasca mia».
Il senatore Franco Debenedetti ti ha querelato.
«Dice. Se è vero è una medaglia. Sfido chiunque a prendere per i fondelli il fratello del suo editore. Aspetto che Belpietro prenda in giro sul Giornale Silvio Berlusconi, se l’editore è Paolo, o Paolo Berlusconi, se l’editore è Silvio».
Dove hai cominciato a fare il giornalista?
«In un piccolo giornale torinese cattolico, Il nostro tempo. Lì ho conosciuto Giovanni Arpino che mi presentò a Indro Montanelli. Ho fatto l’abusivo al Giornale come vicecorrispondente da Torino dall’87 al ’92. Il corrispondente era Beppe Fossati, bravo e simpatico, ma con poca voglia di lavorare. A volte scrivevo pure i suoi articoli e lui mi dava cinquantamila lire al pezzo».
C’era anche Mario Giordano a Il nostro tempo.
«Me lo ricordo. Arrivò tutto bello grassottello da Canelli con le guanciotte bianche e rosa. Era bravo».
Dice che lui era di sinistra e tu berlusconiano.
«Balla clamorosa. Vede talmente tanti berlusconiani che non può più immaginare l’esistenza di gente diversa».
Per chi voti?
«Sono sempre stato un liberale conservatore. Quando c’erano elezioni cruciali seguivo il consiglio di Montanelli: mi tappavo il naso e votavo Dc. Altrimenti Pli o Pri. Sempre anticomunista, finché c’erano i comunisti».
C’è una destra accettabile oggi?
«Un solo nome, Giovanni Sartori. Quella è la destra che mi interessa, liberale, legalitaria, einaudiana».
Se tutti ti attaccano magari qualche ragione ce l’hanno?
«Se chi mi attacca mi elogiasse mi preoccuperei».
E’ un rischio che non corri.
«Trovo del tutto normale che un giornalista sia detestato dal potere».
Ti detestano anche i dalemiani. Cuperlo, portavoce di D’Alema, scrisse che la tua assunzione all’Unità era fra gli eventi più infausti del 2002.
«E arrivarono molte lettere che dicevano: "Travaglio non si tocca". Ma chi è Cuperlo?».
Non lo conosci?
«Non frequento i politici. Montanelli diceva: "La corruzione comincia davanti a un piatto di pastasciutta. Non bisogna dare del tu ai politici né andarci a pranzo"».
Spesso ti lamenti perché vieni rifiutato nei dibattiti televisivi.
«È un’altra medaglia. Molti hanno paura del confronto diretto. Tipo Marco Boato: non voleva che parlassi nemmeno alla presentazione di un mio libro e cominciò a urlarmi Fascista! Fascista!"».
Filippo Facci dice che anche tu ti scegli gli interlocutori.
«Ma se faccio continui dibattiti con lui. Se alludi al caso di Cortina d’Ampezzo, è il giudice Davigo che non ha voluto incontrarlo avendolo querelato un sacco di volte».
Non è che la querela del giudice Davigo sia un giudizio divino.
«Per il gusto della polemica, io personalmente dibatterei anche con Belzebù. Ma se fossi un giudice e un giornalista mi accusasse di crimini inesistenti, forse farei lo stesso».
E sbaglieresti. Hai detto di ispirarti a un’aurea frase del Vangelo: «Il tuo dire sia sì sì no no, il resto viene dal maligno». È la prova che sei manicheo?
«Non credo che Gesù fosse manicheo. Io intendo quella frase come antidoto all’ipocrisia, agli equilibrismi, ai paraculismi».
Definisci il voltagabbana.
«Uno che cambia idea quando gli conviene».
C’è qualcuno che la cambia quando non gli conviene?
«I voltagabbana a perdere. Come Formentini e Vertone. Hanno lasciato la Casa delle Libertà alla vigilia di una sicura vittoria approdando all’Ulivo votato a sicura sconfitta. E poi Montanelli che mollò Berlusconi mentre quello diventava il padrone d’Italia».
Il più voltagabbana?
«Paolo Guzzanti su Repubblica prendeva in giro Berlusconi che voleva la Sme. Diceva: è un uomo dalla liquidità languida, cioè non ha una lira. Confrontalo con quello che Guzzanti scrive oggi. Ma i peggiori sono quelli che nuotano nella grande marmellatona del "bipartisan". Con D’Alema ma non contro Berlusconi, con Berlusconi ma non contro D’Alema. Scalfaro ha detto che ci sono lustrascarpe così lustrascarpe che non alzano neanche la faccia per vedere a chi le lustrano».
Parliamone.
«Gli ambidestri, i multiuso, i transgenici. Sono come quelle statuine che segnano il tempo. Azzurre quando fa freddo, rosa quando fa caldo. Gli uomini Rai, Bruno Vespa per esempio. E poi i Klaus Davi, i Velardi, i Rondolino, i Polito, i Marco Boato. Qualunque cambio di regime li trova sempre in pole position. A disposizione».
Parliamo di Vespa.
«Il risotto di D’Alema, il tennis di Amato, le finte improvvisate di Apicella a Berlusconi, l’intervista sotto braccio a Forlani, lui curvo e Forlani dritto, l’intervista al capezzale di De Lorenzo, con De Lorenzo che pareva moribondo con la flebo. Scene indimenticabili. Prima-o-seconda repubblica, destra o sinistra: Vespa non fa differenze purché l’interlocutore abbia un minimo di potere. Se non conta niente, lo massacra».
Altri colleghi voltagabbana?
«Mario Cervi. Venne via dal Giornale con Montanelli scrivendo che aveva ragione Montanelli e torto Berlusconi. Poi diventò direttore del Giornale di Berlusconi. Non dovrei giudicarlo perché è un vecchio signore e un maestro di giornalismo, però ti cadono le braccia quando una persona di ottant’anni, potendosene fregare di tutto, accetta la poltrona da cui avevano cacciato il suo migliore amico. Poi c’è Vittorio Feltri, un caso clamoroso. Nel ’92 ’93 scriveva cose fortissime. Quando si suicidò Moroni scrisse che al posto suo si sarebbe suicidato due volte. Oggi ripete a pappagallo qualsiasi attacco ai magistrati».
Ti piacerà almeno Ferrara.
«Non riesco ad appassionarmi al dibattito sull’intelligenza di Ferrara. D’accordo, è intelligente ma è un’aggravante, viste le cose che scrive. Come per D’Alema, altro "intelligente a prescindere". Non ne ha azzeccata una, ha perso tutte le elezioni. Quante ne deve perdere ancora perché smettano di considerarlo intelligente?».
Vediamo allora a sinistra di D’Alema, i comunisti: Bertinotti? Santoro? Gino Strada?
«Bertinotti mi pare il più lontano di tutti dal comunismo. Di Strada non condivido molte analisi tipo "Bush uguale Saddam", un’equazione assurda. Ma capisco che possa venire in mente a un chirurgo che riattacca le braccia staccate dalle bombe. Difficile distinguere quelle staccate da una bomba di Bush o di Saddam. Santoro mi piace perché non obbedisce. Quando sbaglia, per esempio su Israele o sul Kosovo, non lo fa per compiacere qualcuno. Sbaglia di suo. Avrebbe fatto meglio a non andare a Mediaset però poi a Mediaset ha fatto una puntata su Dell’Utri e la mafia. Non credo che il padrone abbia gradito».
Tu sei uno di quelli che ritengono che c’è regime oggi in Italia?
«Sì. È un regime nuovo, inedito, mediatico. Basato sulla ripetizione continua di balle a reti unificate, tutte o quasi nelle mani di Berlusconi».
Ma che regime è se fa uscire tranquillamente i tuoi libri?
«È un rischio calcolato. Tutto purché non in televisione. Che qualche decina di migliaia di italiani leggano un mio libro non fa paura. Emilio Fede, con il tg più sfigato, raggiunge ogni sera il doppio dei lettori del quotidiano più letto».
Però l’informazione libera c’è.
«C’è, ma bisogna andarla a cercare. Dalla tv non passa più nulla. Giornali liberi ce ne sono, ma quanti leggono in Italia? I nostri libri escono da un piccolo editore molto povero: non sono mica capolavori, ma vendono. La Mondadori pubblica i libri di D’Alema, non mi pare che la gente se li strappi di mano».
Però si strappa di mano quelli di Bruno Vespa.
«Vespa è uno dei pochi giornalisti televisivi in grado di scrivere libri interessanti, stuzzicanti, pieni di indiscrezioni e di pettegolezzi politici. E poi fa il giro delle trasmissioni per presentarli, da A come agricoltura al Meteo. Gli manca solo la Messa della domenica mattina».
Quando accusi i colleghi di Mediaset di minimizzare i guai di Berlusconi, non ti viene in mente che anche tu hai un padrone?
«Certo, ma nei miei libri si parla ampiamente delle tangenti di Carlo De Benedetti. Devo dire che, al contrario di altri, non ha addossato colpe ai suoi uomini, si è assunto le sue responsabilità ed è pure finito in prigione».
Questa è una sviolinata.
«Quando diventerà premier mi porrò altri problemi».
Sul Foglio ti hanno preso tanto in giro. Dicevano che nemmeno sulla Repubblica ti facevano scrivere.
«Scrivevo molto sulle pagine torinesi, visto che lavoro a Torino».
Non è che anche a Repubblica ti considerano un bieco giustizialista?
«Forse qualcuno, chissà. Adriano Sofri mi ha attaccato un paio di volte. È un giornale aperto».
Quanto guadagni con i libri?
«Pochissimo. La casa editrice è poverissima, non può pagare i diritti d’autore tutti insieme. Mi dà un tanto quando può».
Quantifichiamo.
«L’odore dei soldi ha venduto 300 mila copie. A mille lire a copia mi spetterebbero 300 milioni. Finora ne ho presi sì e no 50».
Tu sei molto citato nelle mie interviste. Bondi…
«James Bondi, ovvero il pallore gonfiato».
James Bondi dice che hai una perversione, vorresti condannare tutti.
«Non sono un pervertito. Lo è lui, innamorato cotto di Berlusconi».
Maria Laura Rodotà ha detto che non sei simpatico perché hai i capelli lunghi dietro.
«Guarda, li ho tagliati per farla contenta».
Lodovico Festa dice: «Salvo Travaglio perché essendo stupido è giustificato».
«Lui che è così intelligente ci spieghi come mai la Fininvest dava miliardi di pubblicità a un piccolo giornale comunista riformista come il suo, il Moderno, che non vendeva una copia».
Gioco della torre. Gruber o Lasorella?
«Butto Lasorella. Spero che la Gruber prima o poi si alzi in pieno tg e sbotti: "Ma perché devo leggere questa sbobba?"».
Mimun o Mentana?
«Butto Mentana perché fa finta di essere equidistante, l’altro è un maggiordomo dichiarato».
Santoro o Floris?
«Butto Floris».
Santoro ti invita e Floris no.
«No, Floris con tutti i meriti che ha, ha accettato certi limiti della Rai di regime. Se lui è in Rai e Biagi, Luttazzi e Santoro no, una ragione c’è».
Socci o Veneziani?
«Socci non è portato per la tv».
Studia. Dagli tempo.
«L’esercizio lo peggiora. Veneziani lo ricordo quando disse in tv: ma figuriamoci se verranno epurati Biagi e Santoro, se per assurdo accadesse scenderemo tutti in piazza. "Figuriamoci" lui, "figuriamoci" Mentana. Era la compagnia del "figuriamoci". Li hai poi visti in piazza? Si attendono girotondi».
Il Foglio o il Riformista?
«Butto quello più berlusconiano, il Riformista».
Li leggi?
«Il Foglio sempre per capire dove va la banda. Leggi Ferrara e sai quello che sta per dire Berlusconi».
Di Pietro o Violante?
«Butto Violante. Ha ballato troppi valzer. Non mi piaceva quando lasciava credere di essere il capo del partito dei giudici. Né quando difendeva i ragazzi di Salò: si vedeva che non ci credeva».
Fini o Bossi?
«Salvo Bossi. Nel ’94 ci ha liberati da Berlusconi. L’ho perfino votato nel ’96 per premiarlo del cosiddetto ribaltone. Quel giorno mi ha fatto godere».
Ma allora è vero che hai l’ossessione di Berlusconi. Se Berlusconi si ritira dalla politica tu che fai?
«Facevo il giornalista prima, lo farò anche dopo».
Ma prima non eri così famoso e visibile.
«Ho venduto moltissime copie dello Stupidario del calcio. Potrei tornare a occuparmi di qualcosa di meno trucido e di più divertente».
Previti o Dell’Utri?
«Salvo Previti. Lo considero uno di famiglia. Dopo la mia condanna vive con un quinto del mio stipendio. Gli passo gli alimenti».
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