- 1 Luglio 2000
Quanto è ingombrante un fratello famoso? Tanto se il fratello è Vittorio Sgarbi, istrione, anarchico, presenzialista, aggressivo, corteggiatissimo dalle tv e la sorella è Elisabetta Sgarbi, editor della Bompiani, una donna che ama il silenzio e la solitudine e vorrebbe essere conosciuta per il lavoro che fa, cioè pubblicare Saramago e Coelho, Rezza e Ghezzi, Ben Jelloun e Kureishi, Ben Okri e Malouf.
Ma tant’è. I giornalisti sono cinici e insensibili. E anche un po’ ignoranti. Si può passare due ore con Elisabetta Sgarbi senza chiederle se Vittorio era così anche da piccolo? Si può, a patto di prometterle che non sarà l’argomento della conversazione, si può, imbrogliando un po’, dicendole che a noi di Vittorio non interessa nulla. Si può, spiegandole che vogliamo parlare della gavetta di una ragazza di provincia, nata sull’argine del Po, con tanta voglia di andare oltre quell’argine. E così riusciamo a scoprire gli anni della farmacia a Ro Ferrarese, la scelta della solitudine, i primi tentativi editoriali come lettore dello Studio Tesi di Pordenone, lo sbarco a Milano, alla Bompiani, dove frequenta poeti e scrittori e riesce finalmente a fare quello che aveva sempre voluto, “entrare” dentro il libro. Ma poi, alla fine, inevitabilmente, riaffiora il fratello. La colpa non è mia, cara Elisabetta, la colpa è di Vittorio, un fratello veramente ingombrante.
Cominciamo dalla gavetta, la gavetta di una laureata in farmacia ma appassionata di letteratura e di musica. Perché farmacia?
“Perché i genitori hanno una farmacia e il fratello maggiore ha scelto prima di me”.
E la scelta ti ha pesato…
Non mi piaceva la chimica. C’era l’idea che la formazione scientifica fosse meno nobile di quella classica, che non ci fosse possibilità di dialogo attraverso le formule. Le facoltà umanistiche erano anche più vivaci politicamente, almeno per la parte che interessava a me. Mi sembrava un territorio assolutamente morto dove non avrei mai potuto esprimere nulla. Così avevo una tendenza all’autoafflizione. Insomma ho vissuto ogni giorno rifiutando quello che facevo. Mi abbandonavo resistendo”.
Come eri da ragazza?
“Studiosa. Diligente. Autonoma. Mi organizzavo i tempi e i ritmi senza controlli particolari. C’era meno concentrazione su quello che avrei dovuto fare io, c’erano meno aspettative, libertà assoluta e quindi maggiore possibilità di espressione”.
Tutto questo a Ro Ferrarese.
Un paese molto piccolo di campagna dove ho vissuto a lungo e dove ho fatto per un breve periodo l’assessore, come indipendente di sinistra, a 22 anni.
Che cosa significava vivere in un paese molto piccolo di campagna?
Significava vivere sugli argini del Po, vedere un territorio molto piatto, pensare a grandi possibilità, a un senso del non limite. Vagavi e le fantasie erano numerose, e veniva voglia di inventarsi molte cose, e pensavi che da altre parti forse c’era la possibilità di trovare molto di più. Era una spinta a partire, a muoversi”.
Gli amici?
A Ro Ferrarese non c’era assolutamente nessuno. Io torno ogni fine settimana dai miei genitori: la piazza è ancora assolutamente deserta, non c’è anima viva.
Era almeno un bel paesino?
Dal punto di vista della gradevolezza urbanistica proprio no. Però accanto scorre il fiume che è bellissimo. Mi veniva in mente che si poteva scrivere…
O scappare…
Si poteva scrivere restando lì, oppure anche scappare…
Veramente nessun amico?
Pochissimi. A Ro Ferrarese e a Ferrara dove ho fatto il liceo. Ma non ho mai frequentato molta gente. Non sono una persona socievole, nel senso che ho sempre vissuto in una dimensione un po’ solitaria. Anche adesso che faccio un lavoro che farebbe pensare il contrario.
Qual è il problema?
Ma non è un problema. E’ una condizione felice per me e penso anche per altri.
Volevo dire: è una scelta? Una condizione culturale o istintiva? I tuoi genitori…
Tutta la mia famiglia è diversa da me. La mia solitudine non è una condizione istintiva ma voluta, una scelta realizzata in maniera ferrea. Come dice Costantino Kavafis “non sciupare la vita nel gioco balordo degli incontri in un via vai frenetico fino a farne una stucchevole estranea”.
Non andrebbe presa alla lettera l’intuizione di un poeta.
Ho scelto una dimensione della solitudine che mi consenta una maggiore libertà, faccio più cose, riesco a leggere, riesco ad ascoltare della musica, a scrivere. Di notte faccio anche breve cortometraggi che mi danno qualche piccola soddisfazione. Mi piace farli perché mi sembra che ci sia un linguaggio possibile, e li faccio in solitudine, invece di andare alle cene o di frequentare persone in dimensione mondana.
Ma il tuo lavoro lo presuppone.
Arrivando a Milano ho capito che il lavoro comprendeva anche il gioco degli incontri. Però, dopo averlo fatto per dovere e sempre con un po’ di fastidio, ho pensato che avrei voluto fare anche altre cose e che quello fosse una perdita di tempo.
E’ inevitabile fare il raffronto tra il tuo desiderio di isolamento e la sfrenata voglia di visibilità di Vittorio.
Mio fratello scriveva ed era ingiustamente osteggiato da certa critica che non gli voleva riconoscere un talento che effettivamente aveva ed ha. Ha pensato che avrebbe trovato troppi ostacoli e chiusure in un certo ambiente che presupponeva costrizioni particolari o atteggiamenti di grande asservimento. Quindi ha fatto una scelta che presupponeva la moltiplicazione degli incontri.
Lui come è veramente?
Vittorio ha una dimensione più solitaria, più intima. Anche se ha un fastidio minore di quanto possa avere io per le dimensioni del glamour. A me piacciono le situazioni più sotterranee che non siano come un’impalcatura, un allestimento di regole e modi di società. Mi piace la folla di un concerto rock. L’idea di assistere, assieme a persone che non conosco, a un concerto, di stare lì uno addosso all’altro in una dimensione che non presuppone la cerimonia mi piace abbastanza.
E’ una forma diversa di solitudine…
Può darsi, ma mondanità non ce n’è. C’è solo una somma di individui in una situazione anche faticosa, scomoda. In situazioni mondane mi immalinconisco. Divento triste e sento che me ne debbo andare.
Ma un po’ ti tocca.
E’ un paradosso: in realtà io dedico moltissime ore al mio lavoro e spesso incontro autori, giornalisti, vado alle presentazioni, alle fiere del libro, ai cocktail.
E allora?
Allora vivo queste situazioni a senso unico in una dimensione tutta mia in cui vedo l’aspetto più legato alla scoperta, al lavoro, al farmi raccontare che cosa è un testo. E cancello la situazione di puro divertimento, di piacere. Penso solo al privilegio di essere lì con persone che magari altri non possono incontrare.
Amica del cuore? Ce l’hanno avuto tutti.
Non mi ricordo, non mi sembra. C’è stata una compagna con la quale studiavo. Ma non l’ho più vista, più sentita.
Ti ricordi come si chiamava?
Mi ricordo. Dobbiamo citarla?
C’è qualche problema?
Poi magari si fa viva.
Hai paura che si faccia viva?
Si. E’ passato tanto tempo e non c’è stato modo di risentirsi. Evidentemente non c’era un rapporto, mondi diversi, gente che si è sposata, ha avuto dei figli…
Tu sei cambiata da allora?
Si. Venendo da una famiglia borghese, anche solo nel modo di vestire sono cambiata, sono arrivata in una casa
Quando si parla di best seller quante copie diciamo?
Nell’ambito della narrativa italiana vuol dire 15 mila copie, come minimo.
La gavetta, i tuoi maestri.
Mario Andreose è la persona che mi ha insegnato a prendere distanza dalle cose. Anche quando ho fatto scelte un po’ particolari come quella di inserire Carmelo Bene nei classici Bompiani ci sono state reazioni contrarie e negative. Mi sarebbe venuta spontanea una risposta ma da Andreose ho imparato che è sempre meglio non rispondere. Io credo che chiunque abbia la tendenza a difendere la prima idea, soprattutto se ha un’idea di partenza. L’impulso alla risposta c’è sempre.
Milanesiana.
E’ successo. Succede spesso, lasciamo perdere l’episodio, capita che si perda di vista chi ha fatto realmente le cose. Bisognerebbe imparare a pensare che non è poi così importante.
E’ buono il livello dei critici italiani?
Ho qualche idea che è meglio fare i pensatori che i critici. E’ una figura difficile, scrive sui giornali, boh, ha più a che fare con una figura universitaria seocndo me, dovrebbe, non la capisco molto se non come esercizio dell’arte della critica sui giornali. Non lo so se c’è una buona critica.
Non posso ignorarla.
Il distacco che ti ha insegnato Andreose riesci ad averlo?
Adesso sono abbastanza serena. Non mi meraviglio se le cose che propongo non trovano consensi.
La critica che ti è dispiaciuta di più? La stroncatura? Eistano ancora le stroncature?
Ce ne sono. Sono di gente che poi lavora con me. Uno che aveva stroncato un libro che avevo fatto dicendo che si sorprendeva che una persona di gusto come me potesse pubblicare dei libri così osceni adesso è un autore Bompiani.
Tu preferisci comunque che ci sia la possibilità della stroncatura?
Certo, penso che sia giusto che si possa stroncare solo che dipende cosa c’è dietro chi lo fa. Ci sono dei critici che mi sembrano al di sopra delle parti e quindi è giusto che esprimano ilo loro pensiero anche se non condivido una parola di quello che dicono, altri invece magari che lo fanno per dispetto perché hanno avuto un cattivo rapporto con l’editor, non si sono intesi su eventuali rapporti editoriali di altro tipo. C’è stato un periodo in cui ci sono stati attacchi contro i risvolti di copertina…mi sembra che abbia più a che fare con il voler essere faziosi… attacchi alla Bompiani o all’editor più che all’autore…non è critica…
C’è un critico di cui particolarmente ti preoccupi?
Ci sono critici che magari non scrivono sui giornali o raramente su giornali non a grandissima diffusione, come Ivan Cotroneo, che è anche traduttore per la Bompiani, che ha fortissimo senso critico.
Di quelli che scrivono sui giornali?
Leggo con attenzione e con timore? Non saprei, non lo so.
Non ne temi nessuno?
I critici?
Si i critici.
Dipende che cosa è il timore. Non lo so. Un critico che mi piace adesso mi viene in mente è Antonio Gnoli della Repubblica. Spesso gli mando dei libri e gli chiedo se ne parla o ne fa parlare sul giornale.
I premi letterari sono ancora molto importanti?
Si, dal punto di vista delle copie da vendere sono importanti. Funzionano, sia lo Strega che il Campiello. Oppure il Grinzane Cavour che prende in considearzione anche autori di altri paesi.
Moltiplicatori di vendite una volta si diceva che era la televisione.
Dipende molto da chi va in televisione. Bisogna che l’autore sia anche attore, sappia presentarsi in modo da colpire lo spettatore. Quando la presentazione viene istituzionalizzata ogni sera un libro allora non è più questo effetto che aveva un tempo quando D’Agostino ripetutamente parlava della insostenibile leggerezza dell’essere avendo in mano il libro
E tutti si domandavano che cosa volesse dire. C’era questo effetto di straniamento dovuto al fatto che si parlava per la prima volta di libri in questo modo poteva avere un risultato al di là del fatto che se ne discutesse. Poi invece si è creato l’angolo del libro si entra nella ripetitività e nella noia e allora o c’è l’autore che si presenta bene e si racconta bene… A suo tempo fu il caso di Andrea De Carlo che andò bene in televisione. Recentemente l’effetto di moltiplicazione su un libro dato dalla televisione mi sempre un po’ più contenuto.
Tu hai dei nemici?
Penso di si, ma non saprei dirti chi sono. Recentemente mi si attribuiscono storie private che non ho mai avuto quindi penso di avere dei nemici che le diffondono, storie assurde che evidentemente qualche mio nemico fa circolare, strane invenzioni,
che cosa?
Non lo so, non ti so dire…
Ma quali strane invenzioni? Personali?
Si personali.
Leggende tipo amori? Tu sei così ritirata, non sei certo del giro dei salotti…
Ogni tanto mi vengono riferiti discorsi di persone che supponevano che io vivessi delle vicende o delle storie che io non ho mai vissuto. Ecco, punto e basta. Se uno decide di parlare di me evidentemente ha cose in testa da dire e non so perché. Penso di avere nemici in quelli che in un lavoro come quello che si fa è facile averli. Non fai un libro di un autore e quello diventa subito un nemico.
L’autore respinto è come un amante respinto?
A tutti da fastidio essere respinti però è difficile anche spiegare le ragione per cui si respingono le cose perché il fatto che tutti ritengono di avere scritto qualcosa di molto importante e degno di essere pubblicato invece non riesci a spiegare che il tuo programma è diverso e non prevede quella cosa li, sembra comunque che uno non voglia pubblicare….
Un errore?
Parecchi.
Scelte sbagliate.
Quelli per cui non rispondo a esigenze di fatturato, scelte poco popolari. Autori rifiutati che poi sono diventati successi non ci sono stati. Errore è pensare di essere battitori liberi in una struttura che non è di tua proprietà. Uno deve fare delle scelte che abbiano un ritorno più riavvicinato o più a lunga scadenza. Tutti sono affetti da megalomania, tutti pensano di essere bravissimi, magari il riscontro è un altro. I motici possono essere tanti.
Il libro che ha venduto più di tutti?
Paolo Coelho, 2 milioni di copie. L’alchimista ha fatto 600 mila copie.
Politicamente sei sempre un’indipendente di sinistra? Sono sempre di meno quelli che rimangono a sinistra.
E’ vero, solamente negli ambienti più a sinistra a volte si avvertono delle chiusure pari a quelle che uno ha ripudiato in altri ambienti. Spesso viene da dire dov’è la differenza. C’è un corporativismo che è quasi peggiore di quello che c’è a destra. Cose chiuse che sono quelli che decidono che debba essere per forza così e non ci debba essere nessuna ragione di libertà o di mutamenti di pensiero o di pensiero leggermente divergente. A sinistra vedo un essere irregimentati piuttosto fastidioso.
Io vedo anche una grande disponibilità. Ci sono stati anche molti cambiamenti.
Io vedo una rigidità di fondo che si avverte. Ci sono delle caste in certa sinistra più impegnata culturalmente, c’è ancora il gridare allo scandalo per cose che poi non meritano questa forma di reazione, nel senso che vedo molta chiusura, una specie di…dall’altra parte vedo…
C’è qualcosa di cui ti vergogni scavando nella memoria?
Boh, da che punto di vista? Mi vergogno spesso perché mi sembra di non essere spesso all’altezza della situazione, di perdere molto tempo in cose tecniche e di avere poco tempo per approfondire le cose, di parlare a volte molto in superficie delle cose, non lo so, non so bene mi sembra una menzogna la vergogna perché uno si vergogna ma le cose comunque le ha fatte, non poteva vergognarsi prima di farle?
Sei bugiarda?
Mi difendo sottraendo delle cose ai racconti.
Omissiva?
Bugiardo? Nei rapporti privati odio qualsiasi forma di menzogna, preferisco che mi si dica la cosa più orribile piuttosto che non me la si dica, i rapporti di lavoro sono diversi, ci sono le bugie pietose, di solito mi si accusa di brutalità nel senso che sono abbastanza diretta, magari modero, io sarei estremista ma ho imparato a moderarmi, la menzogna è la moderazione.
Non esco non te perché non mi sei antipatico, non è carino.
Ma sarebbe bello poterlo dire.
Il no a un libro come avviene?
E’ assurdo dire questo libro è brutto perché scrivere una cosa del genere poi ti dimostrano che è un capolavoro e una lettera del genere finisce sicuramente a un giornale. Io dico questo libro non mi ha convinto.
Tua madre sostiene che Vittorio è più fragile.
E’ più esposto e siamo vissuti molto diversamente. C’è stato questo rapporto più diretto con lui, è una persona complicata da gestire, si è avvertita molto la sua presenza, io sono vissuta più autonomamente, senza pressione di nessun tipo anche sfruttando il fatto di essere seconda, quindi ne deriva il fatto che mi attribuiscono una maggiore maturità.
Mio fratello non ha imparato… è uno abbastanza impulsivo, quindi ha più bisogno, non ha vissuto un ambiente come il mio che richiede il rispetto di alcune regole.
Però lui è fondamentalmente un anarchico, mi viene da pensare che lui sia nato così, cambia nei modi ma nella sostanza rimane un anarchico.
Secondo me non so se è un anarchico, un ribelle. Non riesce a non dire cose che gli sembrino…deve assolutamente avere un suo punto di vista su tutto e gli capita spesso che il suo punto di vista sia diverso da quello…anche nell’arte ha un suo punto di vista preciso, ha fatto delle scoperte di autori, di artisti, se la richiesta a lui era quella di non parlare di certi artisti perché c’era il tempo in cui se ne doveva parlare e il tempo in cui non si doveva, non ha seguito queste regole. Se accordi possibili col mondo della critica che lui frequentava erano quelli di seguire dei tempi, no, è incontrollabile, è una ribellione alle regole. Se questa è anarchia…
Si , questa è anarchia.
Perché ti da fastidio parlare di tuo fratello?
Non mi da fastidio, mi sembra una strumentalizzazione, ogni volta mi chiedono di parlare di lui…
Ma una cosa è strumentalizzare una cosa è parlare…
Comunque è una strumentalizzazione, la sua presenza è una presenza nota a tutti, quindi la sola domanda mi fa pensare, qualunque risposta io dia, che venga usata.
Ma lui mi sembra strutturato a sufficienza per sopportare…
Ma non è che io voglia attaccarlo, penso che abbiamo dei modi diversi…
Tu pensi che le domande che ti vengono fatte su tuo fratello tendano a scoprire dissidi, attacchi, polemiche?
No, no, il problema è che già la condizione di per sé di fratelli e sorelle crea romanzi, discorsi, non si può prescindere da questo, siamo fratello e sorella. Lui si è fatto conoscere in uno spirito molto polemico, creando un sacco di reazioni di antipatie e di simpatie, è un personaggio pubblico, io invece vivo una dimensione più ritirata, quella della casa editrice dove comunque sono sotterraneamente pubblica perché se pubblico o non pubblico un romanzo ha un suo peso perché la cosa è importante, quindi se mi si chiede qualunque cosa su di lui poiché tutti fatalmente essendo lui anche un personaggio televisivo conosco più lui di me, qualunque risposta io dia è la risposta della sorella di Vittorio Sgarbi. Ogni volta che esce un artciolo è sempre la solita storia: “Elisabetta Sgarbi, virgola, sorella di Vittorio,” E allora che cosa devo fare? Lamentarmi? Fare la vittima? Questo sta nella storia, è più famoso di me, alla gente piace che qualcuno sia famoso, molto intelligente, che ha detto delle cose che hanno trascinato il pubblico dei consensi e dall’alktra ha creato reazioni di fastidio enorme, io in questo non mi riconosco, non voglio essere definita attraverso di lui. Anzi posso dire che lui ha fatto il battitore libero, io no, ognuno ha seguito la sua strada. Io non ho niente da dire su di lui. Penso che sia molto intelligente. Fragile più lui o più io? Tutti e due fragile.
Però lui parla di te.
E a me non piace che mi si dipinga se non come io mi rappresento. Lui di me farebbe un racconto molto poetico. E’ molto affettuoso nei miei confronti.
Ma quando dava in escandescenze alla tv che cosa provavi tu?
Lui reagiva solo quando veniva provocato.
Stronza?
Lei gli aveva detto asino. Se lui viene offeso risponde.
Un mio maestro è Enrico Ghezzi, mi piacerebbe scrivere come scrive lui, mi piace il suo modo di raccontare. Saggismo con fughe nella narrativa.
Mi sono simpatici Enrico Ghezzi e Antonio Rezza di cui ho pubblicato “Non cogito ergo digito” e “Ti squamo”
Ti ritieni antipatica?
Io sono l’antipatica di famiglia. Entro in comunicazione con una certa difficoltà. Non pratico la simpatia come mezzo di comunicazione. Non mi piacciono gli abbellimento.
Di notte faccio i corti, vincono anche dei premi, a Torino , a Bellaria, a Brescia. Con la telecamera mi sento finalmente libera. Dal mercato e dal padrone
Sono cresciuta ascoltando molta musica classica, opera lirica (Mozart, Donizetti…). In particolare ho amato i libretti di Lorenzo Da Ponte e di Felice Romani (questi ultimi, secondo me, descrivono con esattezza le dinamiche dei rapporti di coppia).
Ma la mia collezione di dischi comprende anche il jazz (quello meno ortodosso di John Zorn, Tom Cora, del fisarmonicista di origine slava Guy Klucevesek) e il pop (David Bowie e i King Crimson su tutti, ma anche Talk Talk, David Sylvian, Nick Drake, David Byrne, Nine inch nails). Mi piace molto Franco Battiato.
Le mie letture preferite: Hofmannsthall, Valéry, Flaiano, lo Sterne di La vita e le opinioni di Tristam Shandy, gentiluomo, Daniil Charms (autore nato a Pietroburgo e a cui interessavano “solo le sciocchezze”, fu imprigionato e confinato prima di morire in un ospedale psichiatrico di Leningrado nel 1942).
Ho letto molta poesia, tra cui Costantino Kavafis (“e se non puoi la vita che desideri cerca almeno questo per quanto sta in te, non sciuparla nel gioco balordo degli incontri in un via vai frenetico fino a farne una stucchevole estranea ”), Blaise Cendrars (Sei più bella del cielo e del mare), San Giovanni della Croce (Più salivo in alto più il mio sguardo s’offuscava), Stevie Smith (recentemente uscita per Donzelli, di cui trovo sublime la poesia Il nostro bio è guono); ovviamente ho una vera e propria passione, dato il mio temperamento, per i Crepuscolari (Gozzano, il Palazzeschi della Fontana malata e dello Specchio, Govoni, nel cui paese, Tamara, ho lavorato come farmacista per due settimane, autore del bellissimo Quaderno dei sogni e delle stelle che raccoglie la poesia Il poema del bacio).
Pur non trascurando scrittori notissimi a livello internazionale (due nomi su tutti, Umberto Eco e Paulo Coelho, ma anche il Premio Pulitzer 1999 Michael Cunningham), il mio lavoro di editor per Bompiani privilegia da sempre autori ed espressioni letterarie cosiddette minori ma che hanno progressivamente acquistato un rilievo internazionale (caso più eclatante, il Tahar Ben Jelloun del Razzismo spiegato a mia figlia).
Non a caso, la manifestazione La Milanesiana – Sulle spalle dei giganti (26 giugno – 10 luglio) di cui ho curato il progetto artistico, si incentra proprio sul confronto tra l’egemonia della cultura occidentale e la spinta propulsiva che viene da autori “meticci” (l’anglo-pakistano Hanif Kureishi, il libanese che vive a Parigi Amin Maalouf, l’americano cresciuto in Brasile Arto Lindsay) e da paesi in via di sviluppo economico ma vitalissimi dal punto di vista creativo.
Analogamente esistono espressioni artistiche, a torto o contingentemente, ritenute minori. La manifestazione è stata inaugurata dalle Favole di Paolo Poli (accompagnato al pianoforte da Antonio Ballista) e dedicherà ampio spazio alla poesia, considerata oggi una forma letteraria marginale (Michel Houellebecq, forse lo scrittore francese più noto in questo momento in Italia, leggerà – accompagnato da Morgan dei Bluvertigo al pianoforte – versi dalla sua raccolta Il senso della lotta, di prossima pubblicazione in Italia).
E nel catalogo Bompiani trovano collocazione gli inVersi, una collana dedicata ai giovani poeti (e già questa è una follia, in termini puramente marketing-oriented, visto lo stato della poesia nell’editoria di oggi) che esce con una grafica particolarmente curata e con un cd allegato. Non si tratta di poesia accademica, poiché questi autori (Rosaria Lo Russo, il Tommaso Ottonieri che tanto era piaciuto a Manganelli) si rivolgono alle nuove generazioni con un approccio che potrebbe dirsi “neo-pop”.
C’è poi la rivista Panta (fondata da Pier Vittorio Tondelli) nei cui numeri monografici convivono Premi Nobel e scrittori emergenti. E ancora, gli scritti (e non solo) di enrico ghezzi (le cui eccentricità, dice Lietta Tornabuoni, “diventano sempre i successi di domani” ) e quelli di Carmelo Bene, un classico vivente.
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