- 15 Agosto 2003
Cecilia Strada, 24 anni, terzo anno di Sociologia. Figlia di un uomo famoso, Gino Strada, chirurgo, creatore di Emergency, l’organizzazione che cerca di riparare i danni che fanno le guerre, un uomo al centro di mille polemiche, idolatrato dalla sinistra dei girotondi, visto come il fumo negli occhi dalla destra guerrafondaia.
Hai un padre «buono», un eroe.
Ti crea problemi?
«Anche io sono buonissima. Certo è impegnativo avere un padre come Gino».
Ti senti obbligata a raggiungere le sue vette di eroismo e di bontà?
«No. Però è vero che siamo interessati alle stesse cose. Il progetto per cui lavoro, Peacereporter, nasce da una costola di Emergency e da una di Misna, l’ agenzia di informazione dei missionari comboniani. E vuole essere una cosa che dà voce a chi non ha voce».
Ti dà fastidio che lo riconoscano per strada?
«No. Quando lo fermano per ringraziarlo è piacevole. E’ lui che quando si sente nel ruolo della rock star si imbarazza molto. Nonostante le apparenze, è schivo».
Quando appare in tv che cosa fai?
«Non lo guardo quasi mai. A me la televisione non piace e spesso lo sconsiglio di andare in tv. Ci sono troppe trappole in giro. Bisognerebbe che ci fossero in ogni occasione degli interlocutori all’ altezza. Anselma Dell’ Olio che lo insulta al Maurizio Costanzo Show non mi è apparsa di un livello intellettuale accettabile».
Perché molti ce l’ hanno con lui?
«Dieci anni fa ci riunì tutti e ci disse: "Signori, il nostro obiettivo è diventare inutili". Per diventare inutili non si può fare a meno di parlare di quello che si è visto, di come per costruire la pace e la democrazia ci siano strade diverse dalla violenza».
Tu lo critichi?
«Spesso. Gino è troppo schematico nei giudizi. Certe affermazioni che magari in bocca ad analisti internazionali anche non di sinistra non desterebbero alcun tipo di scandalo perché te le aspetti, in bocca a Gino, fuori dal contesto, sintetizzate, sembrano tremende».
Tipo che Bush è terrorista come Bin Laden?
«Certo. Però il discorso ha il suo senso. Indagare su che cosa definiamo guerra e che cosa terrorismo non è una follia. Lasciamo dipendere tutto solo dallo status giuridico di chi butta la bomba? Le persone ferite, sul tavolo operatorio, sono tutte uguali. Di fronte a loro la distinzione fra guerra e atto di terrorismo perde valore».
Che carattere ha tuo padre?
«Non è burbero e incazzoso come sembra. E’ spiritoso, divertente e vola alto».
Ha scritto di sé come di un padre assente.
«Fisicamente sì. Ormai da tempo ci vediamo non più di tre mesi l’anno. Quando ero piccola mi è costato. Poi un giorno mi ha portato in Pakistan, a Quetta, e lì mi è risultato chiaro che era giusto così. A Quetla, avevo otto anni, la prima notte ci fu un’ emergenza e vidi un bambino col cervello che gli usciva dalla testa, e non era un cartone animato. E giorno dopo giorno bambini esplosi sulle mine che ricominciavano a camminare per merito di Gino. Sono tornata in Italia abbastanza sfasata. Avevo ormai nella testa cose diverse dai miei coetanei».
Tu vivi da sola?
«Col mio fidanzato, Maso».
Il papà è geloso?
«No, lo stima molto. Quando gli ho detto: "Papà mi sono innamorata di un fanciullo", lui mi ha detto: "Basta che sia interista"».
Le critiche della destra a tuo padre ti danno fastidio?
«Mi danno più fastidio le critiche di certa sinistra, più guerrafondaia della destra».
Che cosa facevi con tuo padre quando eri piccola?
«Ci stendevamo sul pavimento e costruivamo grandi città con il Lego. Poi mi raccontava storie molto buffe di animali. Facevamo anche giochi stupidi. Simulavamo di essere una famiglia di orsi. Oppure andavamo ai concerti».
Passioni in comune?
«Siamo di gusti abbastanza simili. "Frankenstein Junior" lo sappiamo a memoria e ogni tanto ci ripetiamo lunghe sequenze di battute. Io ho ereditato l’ironia da Gino. E poi sogno come lui. Sono testarda come lui. Sono anche un po’ permalosa come lui».
In che cosa siete diversi?
«Io forse sono più dolce di lui. Tendo a mediare. Sono meno intransigente».
La più bella vacanza?
«Un coast to coast negli Stati Uniti. Ci divertimmo molto a scoprire l’ America. Tanto per dire quanto Gino sia antiamericano».
Sei girotondina?
«Non particolarmente. Sono stata a Genova. L’ amarezza più grande è stata la tragedia di Carlo Giuliani. Ma anche il fatto che grazie al disastro successo non si è parlato dei temi per i quali eravamo andati lì».
L’ errore più grosso che ha fatto tuo padre?
«Essere all’ Olimpico il 5 di maggio quando l’ Inter si è giocato lo scudetto perdendo contro la Lazio».
Anche tu sei interista?
«Io sono interista di default, sono stata costruita interista».
E tua madre?
«Mia madre non sa in quanti si gioca. Però si impegna a comunicare le vittorie dell’ Inter a Gino quando è in qualche posto lontano».
E’ stato un padre severo?
«Rigido. Poche regole, ma fondamentali. Forse una sola: il rispetto per gli altri».
Chiami sempre tuo padre Gino?
«Da poco. Lo chiamo così in pubblico per rimanere un po’ nell’anonimato. Ma quando sono con lui da sola lo chiamo papi».
Accanto ai grandi uomini ci sono sempre grandi donne.
«Gino non avrebbe mai potuto permettersi di fare quello che ha fatto se non ci fosse stata la mamma, Teresa, che lo sosteneva».
Ricordi sgridate solenni?
«Ero molto molto piccola, avevo quattro anni, parlavamo di calcio. Mio padre nominò Zenga, mia madre disse: "Chi è Zenga?". Io dissi: "Ma sei scema? E’ il portiere dell’ Inter". E mi arrivò un ceffone da mio padre».
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