- 9 Agosto 2000
“Mani Pulite ha colpito il cuore d’oro del malaffare. Ma la lotta per intralciare l’inchiesta è stata continua”, scrive Gherardo Colombo nella prefazione a quattro mani del suo ultimo libro (“Ameni inganni”, Garzanti editore) realizzato insieme allo scrittore giornalista Corrado Stajano. Gherardo Colombo è stato prima giudice e poi giudice istruttore contitolare delle inchieste sull’omicidio dell’avvocato Ambrosoli (il liquidatore dell’impero bancario di Michele Sindona ucciso da un killer), sulla P2 e sui fondi neri dell’Iri. Come sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano fa parte dal 1992 del pool Mani Pulite che ha svelato l’incredibile intreccio fra politica e affari che ha portato alla crisi e al dissolvimento dei partiti della Prima Repubblica coinvolgendo migliaia di persone in un vorticosa giro di tangenti, stravolgendo le regole del libero mercato e anche quelle di un gioco politico corretto e trasparente. Il suo libro è la raccolta di una corrispondenza, cose di altri tempi se pensiamo ai telefoni, ai fax, alle e-mail, 32 lettere che gli amici Gherardo e Corrado si sono scambiate dal 19 febbraio al 31 dicembre 1999.
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- 2 Agosto 2000
Compie ottanta anni fra qualche giorno. Enzo Biagi, il decano dei giornalisti italiani, non si arrende. Continua a fare l’inviato, trasmissioni in tv, libri, inchieste, interviste. Nessuno fra i giovani giornalisti rampanti lavora quanto lui. L’ultimo suo libro è intitolato “Come si dice amore”. E’ un viaggio, attraverso i tempi e i luoghi, attorno al sentimento più vecchio del mondo. Con lui ragiono di donne, di sentimenti, di passioni.
Enzo, che cosa è l’amore?
Bisognerebbe andarlo a scoprire nei foglietti dei cioccolatini. Le definizioni sono infinite. Non vorrei aggiungerne una mia.
Provaci. Magari finisci in un cioccolatino.
No. C’è un bellissimo verso, una dedica di Thomas Mann alla moglie. “Noi cammineremo assieme, la mano nella mano anche nel regno delle ombre”. Mi sembra di una tenerezza infinita.
L’amore come qualcosa di eterno.
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- 16 Febbraio 2000
C’è un plotone che va in guerra e non fa la guerra. Ha i suoi eroi, le sue vittime, le sue canaglie. Sono i reporter di guerra, professione inventata da William Russel che nel 1854 fu inviato dal Times, l’autorevole quotidiano di Londra, alla guerra di Crimea. Scriveva con la penna d’oca. Oggi, l’ultimo inviato di guerra sta scrivendo da qualche sperduta area africana e manda i suoi pezzi con un modernissimo telefono satellitare. Ci sono migliaia di reporter di guerra. Solo quelli italiani impegnati nell’ex jugoslavia erano ottanta. Per la guerra del Golfo si era arrivati a quota 150. Alcune di queste guerre hanno anche fatto molti morti fra la truppa dell’informazione. 64 morti in Vietnam, 48 a Beirut, 86 nella ex Jugoslavia. "I reporter di guerra sono dei figurini che mangiano a sbafo le razioni dei soldati", diceva sir Carnet Wolseley nel 1869 per protestare contro l’intrusione dei giornalisti in quella che doveva essere solo una questione fra militari. Oggi non è più così. Oggi la stampa è ammessa al fronte, ma non sempre la verità trionfa. "La prima vittima della guerra è la verità", diceva Arthur Ponsonby in "Menzogne in tempo di guerra". Ne parlo con Mimmo Cándito, inviato della Stampa, docente di linguaggio giornalistico all’Università di Torino, uno che di guerre ne ha fatte proprio tante.
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