- 23 Marzo 2006
Chi è il miglior giornalista su piazza? Domanda difficile, risposta impossibile. Ma Giancarlo Aneri, dodici anni fa, ha deciso di cimentarsi nell’impresa. Produttore di vini, di olio e di caffé, ma anche amico di giornalisti famosi, si rivolse a Indro Montanelli, Enzo Biagi e Giorgio Bocca, già allora grandi vecchi della stampa italiana, e fondò il premio «È Giornalismo».
L’Italia è piena di premi. Ce ne era proprio bisogno?
«È un regalo che mi sono fatto. Io amo il giornalismo. Questo premio mi dà la possibilità di frequentare il mondo che amo».
Bocca, Montanelli e Biagi…
«I miei miti, i miei idoli. La prima giuria. Mi dissero subito sì, purché il premio non diventasse mondano».
Invece è diventato mondano.
«All’inizio la premiazione era un pranzo. Noi quattro più il premiato».
Chi hai conosciuto per primo dei magnifici tre?
«Biagi: una sera a casa di Missoni. Non l’ho più mollato. Sono trent’anni che ci sentiamo per telefono tutti i giorni. Mi piace la sua signorilità d’animo, il rispetto per il prossimo. Quando l’hanno cacciato dalla Rai mi sono sentito offeso come telespettatore. Il fatto di Biagi era il riferimento della giornata degli italiani. In cinque minuti ti faceva capire qualsiasi cosa».
Dopo Biagi hai conosciuto Bocca.
«Anche con lui ho avuto una grande frequentazione. A livello di analisi politica Bocca è il numero uno in Italia».
Infine Montanelli.
«Negli ultimi quindici anni della sua vita ci sono stati dei momenti che ci vedevamo tre, quattro volte alla settimana. Io lo considero una delle persone più importanti dell’ultimo secolo. Mi trattava come un fratello più piccolo. Lo ricordo fragile. Quando gli stringevo la mano avevo paura di romperla».
Anche Montanelli ha avuto un finale di carriera turbolento.
«Una sera, particolarmente malinconico, mi chiese: “Secondo te gli italiani capiranno che ho fondato La Voce per dare loro un giornale che dica tutto quello che bisogna dire?” Io gli dissi che gli italiani lo avrebbero capito. Ma lui, che era pessimista, disse: “Io sono convinto di no”.»
Aveva ragione Montanelli. Gli italiani non hanno capito. La Voce dopo un anno ha chiuso.
«Aveva ragione lui».
Perché La Voce non ce l’ha fatta?
«C’è stato un malinteso. La Voce è stata vista come un giornale di sinistra, antiberlusconiano. Ma lì c’era già la Repubblica ed era una lotta impari».
Un errore di marketing…
«Un posizionamento sbagliato».
Raccontami le riunioni con i tre grandi vecchi.
«La riunione della giuria in realtà era un pranzo. Ognuno diceva un nome. A volte bastava pochissimo per decidere. Curzio Maltese, che è stato il primo premiato, fu indicato da Biagi. Montanelli disse Gianni Riotta. Bocca disse Gian Antonio Stella. Venne fuori anche il nome dell’Annunziata. Dopo un paio di minuti furono tutti d’accordo su Maltese. Il secondo anno Montanelli indicò Merlo. Ma vinse Riotta, allora corrispondente del Corriere da New York, in ballottaggio con Stella. Il quale, guarda caso, vinse l’anno dopo, presentato da Biagi».
Litigavano quando non erano d’accordo?
«Mai. Raggiungevano l’unanimità in pochi minuti. Il quarto anno Bocca disse: «Se non premiamo Ettore Mo che è un’ottima persona, scrive strabene e non ha mai vinto un premio, non siamo dei bravi giurati”. Gli altri dissero: “Va bene” e si misero a mangiare».
Quand’è che hai capito che il premio era diventato importante?
«Il quinto anno. Aveva vinto Claudio Rinaldi, direttore dell’Espresso, e la sera prima Carlo De Benedetti, in suo onore, aveva aveva organizzato una grande festa a casa sua. Capii che ormai il premio aveva preso il volo».
Chi era stato candidato oltre a Rinaldi?
«Sempre Francesco Merlo».
L’eterno secondo.
«Montanelli amava moltissimo Francesco Merlo. Lo propose spesso ma non è mai passato».
Altri eterni secondi?
«Federico Rampini, della Repubblica. E anche Ferruccio de Bortoli: piaceva a Montanelli e a Biagi. Ma ci voleva l’unanimità».
Dopo Rinaldi, la prima donna, Natalia Aspesi.
«La presentò Giorgio Bocca. Fu con la sua vittoria che il premio divenne mondano. Alla premiazione arrivò tutto il mondo della moda. Krizia, Missoni, Prada, Ferretti. Purtroppo fu l’ultimo anno di Montanelli. Stava già abbastanza male. Il giorno della premiazione mi sgridò perché non ero riuscito ad evitare che i fotografi gli sparassero negli occhi i flash. “Domani facciamo i conti”, mi disse».
L’anno successivo la novità: un disegnatore satirico, Altan.
«Vinse su Giannelli. Volevamo segnalare che una vignetta può essere importante come un articolo di fondo».
Dove avvengono le riunioni della giuria, cioè i pranzi?
«All’inizio da Santin, in corso Venezia. Poi a casa di Bocca. Silvia Giacomoni, la moglie, ci tratta benissimo, ci coccola».
È l’unico premio assegnato a tavola. Che cosa mangiate?
«Pietanze molto leggere. Ma beviamo bene. C’è sempre un po’ di competizione fra il Grignolino prodotto dalla figlia di Bocca, e il mio Amarone. Oltre naturalmente al mio Prosecco».
Dopo il vignettista addirittura Antonio Ricci, Striscia la notizia…
«Lo propose Biagi. E vinse su Sartori, indicato da Giorgio Bocca. Striscia fu considerato vero giornalismo di inchiesta».
Ci furono polemiche…
«Qualcuno disse: “Dovevate premiare proprio Antonio Ricci che non è un giornalista?”».
Altra novità, uno straniero.
«Bill Emmott, il direttore dell’Economist».
Altre polemiche.
«Dissero: avete premiato il nemico di Berlusconi».
Vero. Era il nemico di Berlusconi…
«E di Blair, Clinton, Bush, Schroeder».
Non girare attorno al problema. Fra i premiati non c’è un amico di Berlusconi nemmeno a pagarlo a peso d’oro. Tutti di sinistra.
«Prima o poi non escludo che vinca qualcuno di destra».
Ci siete mai andati vicini?
«Beh, Merlo non lo definirei di sinistra. Un anno fa, quando vinse Barbara Spinelli, stava per vincere Toni Capuozzo. Altre volte è venuto fuori il nome di Pietrangelo Buttafuoco».
Tu sei di sinistra?
«Io sono di centro».
Essere di centro, oggi, non vuol dire nulla.
«Potrei votare per un uomo del Polo come per un uomo dell’Ulivo».
Mancano pochi giorni alle elezioni. Devi deciderti.
«Valuterò con calma. Faremo una riunione in famiglia. Noi votiamo tutti insieme».
L’ultima volta?
«Quattro voti per l’Ulivo».
Chi ha sostituito Montanelli?
«Riotta, Stella e Maltese».
Continuate a premiare giornalisti della carta stampata.
«Siamo tutti convinti che il vero giornalismo sia quello dei quotidiani».
Quest’anno, altra novità, apertura all’economia con Francesco Giavazzi.
«L’economia negli ultimi anni ha avuto un ruolo sempre più importante e Giavazzi ha avuto un grande ruolo nello spiegare alla gente i problemi economici e finanziari».
C’è stato dibattito quest’anno?
«Sono entrati in circuito una decina di nomi. Anche Furio Colombo, Marco Travaglio. Ma sarebbe stata una scelta troppo polemica. Se non avesse vinto Giavazzi avrebbe vinto Bernardo Valli».
Come nasce questa tua passione per il giornalismo?
«La scuola non mi è mai piaciuta. Più che dai libri di testo ero attratto dai giornali. Andavo spesso all’estero e ogni volta rompevo le scatole ai corrispondenti di Corriere o Stampa».
Il primo giornalista amico?
«Frequentavo molto le feste di Enzo Ferrari a Maranello. I primi giornalisti dei quali sono diventato amico li ho incontrati là: Tito Stagno e Gino Rancati».
Avevi altre passioni oltre che diventare amico dei giornalisti?
«Il commercio. Da piccolo comperavo a credito i cioccolatini Ferrero e costringevo i miei amichetti a giocare al negozio. Loro facevano i clienti ed io il negoziante. I cioccolatini li compravo a quindici lire l’uno. Li tagliavo in quattro e li vendevo a dieci lire al pezzo. Ci guadagnavo 25 lire ogni cioccolatino. Quelli che non avevano soldi non li facevo giocare. Già da allora si capiva che amavo questo mondo».
Eri peggio di Berlusconi che vendeva i compiti in classe e le palle di carta per le stufe. Hai mai fatto il cantante su una nave?
«No, non sono un clone. Un’estate ho deciso di fare le granite e di venderle agli operai direttamente in fabbrica. Mi scoprirono i vigili e dovetti smettere. Ma intanto avevo fatto i soldi per le vacanze in Inghilterra».
Parliamo del lavoro vero.
«Mi chiamò Gino Lunelli alla Ferrari di Trento, la fabbrica di spumante. Sono rimasto con lui 20 anni. Non abbiamo litigato una sola volta».
Quando te ne sei andato eri vicepresidente e direttore generale. La Ferrari vendeva tre milioni e mezzo di bottiglie.
«Quando ero entrato, 190 mila bottiglie».
Siete riusciti a far diventare di moda bere spumante italiano al posto dello champagne francese.
«Un problema di marketing, una materia che ho imparato sul campo, senza averla studiata».
Quale ritieni sia stato il vostro più grande successo?
«Fare entrare il Ferrari al Lido di Parigi. Ci vollero otto viaggi ma alla fine ci riuscii. Ma anche convincere Enzo Ferrari, il grande di Maranello, a smettere di brindare con champagne francese. Mi presentai a casa sua con sei magnum. Il segretario mi disse: “Lei non ha appuntamento, l’ingegnere è impegnatissimo”. Ed io: “Non importa, aspetto”. Aspettai cinque ore ma alla fine ci riuscii».
E poi?
«Il G7 di Venezia. Riuscii a convincere lo staff del cerimoniale a fare un pranzo, dall’inizio alla fine, tutto a base di Ferrari. Ai mondiali in Spagna nell’82 tutto il mondo vide Scirea e Rossi che si spruzzavano con la magnum di Ferrari. E nell’ottobre del 2004, la Costituzione europea è stata battezzata con il mio Amarone 2000».
Poi ad un certo punto ti sei messo in proprio. E adesso produci Prosecco, Amarone, caffè, olio…Fatturato?
«Dieci miliardi di lire. Ma il fatturato non mi interessa. Io sono un imprenditore di nicchia. Che però è nei posti giusti. Tutti i grandi del mondo, al di fuori dei cinesi, hanno bevuto i miei prodotti. A partire da Bush. E se vai nel migliore albergo di New York, o c’è il mio olio, o il mio caffè o il mio vino».
Da’ un consiglio agli italiani. Qual è il vino più buono?
«Come rosso, il Solaia di Antinori. Tra i bianchi il mio…»
Non è elegante.
«Allora il Soave di Anselmi».
E adesso facciamo una esercitazione. Un governo gastronomico.
«Presidente del Consiglio Vittorio Fini: ha una tradizione di più di cento anni. Sua nonna ha inventato delle ricette che ancora oggi copiano. Ministro degli Esteri Rana: è il più bravo di tutti a comunicare la qualità del suo prodotto. Ministro dell’Economia Guido Barilla. Ha creato una multinazionale. Ministro della Comunicazione Giannola Nonino, la regina della grappa. Ha trasformato un superalcolico da camionisti in prodotto di alta gamma. Al ministero dello Spettacolo Antonella Clerici. È un doppio spettacolo, culinario e fisico. Edoardo Raspelli lo farei ministro dello Sviluppo, per come mette in risalto prodotti sconosciuti».
Se fossi tu ministro?
«Premierei i veri ambasciatori dell’Italia all’estero, quelli che hanno aperto ristoranti a Sidney, a New York, a Londra. Sono loro che propagandano i vini italiani».
Il miglior ristorante italiano nel mondo?
«A New York Le Cirque di Sirio Maccioni. Però io vado anche al Four Seasons, il club più esclusivo del mondo, dove il titolare è un toscano».
Il miglior cuoco italiano?
«Nadia Santini, del Pescatore a Canneto sull’Oglio. E Romano, dell’Ambasciata di Quistello, in provincia di Mantova».
Se tu dovessi fare una cena di compleanno chi inviteresti?
«Michelle Hunziker, ha un sorriso che dà felicità. E poi Biagi, Bocca, Riotta, Stella, Scalfari, Cristina Parodi, Antonio Ricci, Giorgio Armani, Roberto Bettega, Luciano Benetton, uno che parla poco ma dice le cose giuste. E poi farei resuscitare Montanelli. Io tutte le sere dico una preghiera per Montanelli. Ed anche per Bocca e per Biagi».
Speriamo che Biagi e Bocca non siano superstiziosi.
«Prego perché il Signore li protegga. Sono dieci anni che prego per loro. E funziona».
Gioco della torre. Vissani o Gualtiero Marchesi?
«Butto Vissani. È sopravvalutato e sovraesposto».
Prodi o Rutelli?
«Butto Rutelli, più portato alle polemiche che alle cose costruttive».
Bertinotti o Cofferati?
«Cofferati era equilibrato ai tempi del sindacato e adesso è molto deciso nel salvaguardare l’incolumità dei cittadini bolognesi».
Ti piace il Cofferati moderato.
«Io sono un moderato. È la mia scelta di vita».
La filosofia della moderazione?
«Il moderato frequenta chi gli piace e non fa la guerra agli altri. Li ignora. Me l’ha insegnato Montanelli».
Biscardi o Piccinini?
«Biscardi fa la trasmissione peggiore che abbia visto in tv. Chiacchiere da bar».
Mughini o Maurizio Mosca?
«Mughini è juventino come me».
E allora?
«Mughini quando dice la sua opinione, la motiva. Mosca va avanti a battute».
Mimun o Rossella?
«Mimun reagisce con troppa aggressività quando lo attaccano. Rossella ha l’aplomb inglese. A lui scivola tutto addosso».
Bondi o Baget Bozzo?
«Baget Bozzo esagera. Per arrivare a Berlusconi parte da Dio. Bondi, invece, si limita a dire: “Mi piace Berlusconi”».
Grillini o Luxuria?
«Li butto tutti e due. Oltre che moderato forse sono anche un provinciale. Non ho il cervello aperto per capire queste cose.»
Pecoraro Scanio o Cecchi Paone?
«Pecoraro Scanio usa il mio olio».
Cecchi Paone usa olio di semi?
«Sembra che io ce l’abbia con i gay?»
Insomma…
«Nella moda gli omosessuali hanno alzato una bandiera italiana che tutto il mondo ci riconosce. Bisogna avere rispetto degli omosessuali. Ma gli omosessuali non devono creare i loro clan e devono avere rispetto degli eterosessuali».
Come Fini quando disse che secondo lui un omosessuale non può fare il maestro?
«No, questo è razzismo».
Berlusconi o Annunziata?
«Butto mille volte l’Annunziata. Non si tratta così un ospite. Una donna dovrebbe essere ferma ma gentile. È stata troppo aggressiva, si è comportata peggio di un uomo».
Di’ la verità: Berlusconi ti è simpatico?
«Sì, mi mi è simpatico. Mi affascina questo suo essere venditore. Montanelli mi diceva: «Sei l’unico che può battere Berlusconi. Siete tutti e due grandi venditori. Solo che tu vendi cose più buone».
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