- 31 Marzo 2005
Io già all’asilo facevo ridere. Facevo le facce, raccontavo le storie e i bambini ridevano. Poi da ragazzo ho deciso di suonare la batteria. Ma quando sono arrivato al Derby, il tempio del cabaret, ho capito che c’era qualcosa di magico. Mi sono detto: io voglio vivere qua. C’erano Paolo Villaggio proprio agli inizi, Cochi e Renato, i Gufi, Gianfranco Funari. Io suonavo la batteria, 5 mila lire al giorno, tutti i giorni, dalle nove di sera alle quattro del mattino, nel mio gruppo «La pattuglia azzurra»: io, mio fratello Fabio, Giulio Cavalli, Carlino Cecconi che oggi fa il fattorino al Corriere della Sera. Il capo del Derby era Gianni Bongiovanni.
Quando stavo con Villaggio e con Renato lo imitavo. Loro mi chiedevano: «Allora, Bongiovanni, com’è la scaletta stasera?». Ed io: «Cioè, allora, dunque, praticamente, boof, du du du, bon bon, poi lui dice… e tu no… allora io… primo così e poi… certo… va bene… insomma fate come volete». Loro diventavano pazzi. Un giorno Bongiovanni mi scoprì mentre facevo la scenetta. Mi prese da parte e mi disse: «Adesso tu questa cosa la vai a fare sul palcoscenico».
Massimo Boldi, seduto nella saletta cinematografica della sua villa a Milano Tre, mi racconta che ha cominciato la carriera prendendo in giro il suo datore di lavoro. Una carriera lunga, cabaret, televisione, cinema. Cipollino, Mario Vigorone, i film di Natale con Christian De Sica. Tanti successi di botteghino, molto disprezzo dei critici, solo recentemente, grazie al Ciclone in famiglia, lo sdoganamento: Boldi non è poi tanto male, non è volgare, non fa umorismo facile.
Contento?
«Certo. Normalmente bisogna morire per essere riabilitato».
Il primo successo: Canzonissima.
«Mi chiamarono Cochi e Renato. Era il 1974. Prendevo 50 mila lire a puntata. Facevo ciao bella gioia. Fu un grande successo e dovetti decidere. Lascio la batteria? Mio suocero mi diceva: “Lascia la batteria ma lascia anche il resto e compra un taxi”. Quasi mi convinse. L’autista l’avevo già fatto per un certo conte Vistarino che doveva darmi 6 mila lire al giorno ma non mi pagava mai. Mentre stavo dipingendo di bianco la macchina e facevo le pratiche Bongiovanni mi offrì 15 mila lire al giorno per uno spettacolo che mi avrebbe montato Jannacci. Lo feci. Fu un fiasco. La gente urlava: “Basta! Vai a casa!”. Allora cominciai a studiare un personaggio mio, con l’aiuto di Renato: il mobiliere di Lissone. Andò benissimo. Ma la vita cambiò veramente quando nel 1981 con Teocoli andammo ad Antenna Tre. Ci vide Berlusconi e ci fece un contratto fantastico. Da lì Drive In e Cipollino».
Il comico non viene considerato molto. Tu ne hai sofferto?
«Ho sofferto il contrario. Quando ho cominciato ad avere i primi risultati stavo male, non accettavo il successo. Mi sentivo oppresso. Finivo il programma, venivo a casa e piangevo. Così per tre anni. Teo Teocoli è un personaggio un po’ strano, mi bastonava in tutti i modi ed io non ero capace di reagire. Però quando mi portavano sul palcoscenico, tac! Svaniva tutto. E tornavo il Boldi felice. Poi di nuovo giù. Diventavo matto».
Come ne sei uscito?
«Carlo Verdone mi propose un film, I due carabinieri, e mi fece uscire da quella spirale. Cominciarono i film comici. Poi è nata la magia dei film di Natale».
Magia? Film di serie B.
«Anche di serie C, come no? Ma Yuppies riempiva le sale».
I critici lo definirono «tra i film più volgari e nocivi del decennio».
«Io soffrivo quando vedevo le critiche così cattive. Ma porca puttana, ma sai i sacrifici che mi è costato? Non sopportavo la scarsa considerazione per il mio lavoro. Forse era il mio aspetto, la mia maniera di fare. Era come se gli altri mi considerassero un pirla. Eppure Aldo Grasso, che mi ha martellato per anni, mi ha rivalutato alla grande! E proprio sul vostro giornale».
Anche Goffredo Fofi parlava bene di te.
«Mi ha sempre detto: io ti considero un comico puro, un comico vero».
E Tullio Kezich…
«Già nel 1992, per Sognando la California, aveva detto: “Boldi è un grande attore”. Volli conoscerlo. Mi disse: “Tu devi continuare così”. Ma De Laurentiis mi fece fare ancora film minori. Rincontrai Kezich che mi rimproverò: “Hai sbagliato. Perché hai fatto quei filmacci?”».
Hai fatto anche Festival con Pupi Avati.
«Grandissimo successo a Venezia. Scarsissimo al botteghino. Sai una cosa?».
Dimmi.
«Quando arrivano alla ribalta un bell’uomo o una bella donna, piacevoli a vedersi, tutti li proteggono. Uno che non è bello, non è affascinante, viene buttato giù».
Ma sei sicuro?
«Pensa a Banfi, Vitali, Franchi e Ingrassia, Totò. Tutti brutti e trattati male. I belli se la cavano sempre».
Tu stesso hai criticato i film che hai fatto. Troppa volgarità, hai confessato a Vanzina.
«Andavamo al cinema e vedevamo che su certe parolacce il pubblico rideva molto. E allora pensavamo che era il metodo giusto. Io non sono volgare. Christian è un vero gentleman. Però esasperavamo la parte peggiore. Io non avrei avuto bisogno di farlo. Però Christian sì. Molto».
Perché lui sì?
«Perché non ha una vis comica come la mia».
Non potevi evitare di fare film volgari?
«È il produttore che comanda. De Laurentiis ha sempre sostenuto che il nostro è un pubblico di gente poco educata. Noi esageravamo perché lui si faceva delle grandi risate quando vedeva il film montato».
Beppe Severgnini ha contato cento parolacce in cento minuti di Natale sul Nilo.
«Nell’ultimo film di DiCaprio ce ne sono 375. Gli han dato l’Oscar delle parolacce?».
Il Ciclone in famiglia dimostra che anche senza volgarità puoi avere successo.
«Certo. Il buffo è che l’hanno fatto gli stessi Vanzina dei film volgari».
Non ti stancavi a lavorare sempre in coppia?
«Tanto. È difficile andare d’accordo. Ad un certo punto uno dei due vuole comandare, essere il più bello, il più intelligente, il più comico. Io non voglio essere affascinante. Però il comico sono io. Non entro nel tuo ruolo e tu non entrare nel mio. È questa la cosa straordinaria del Ciclone in famiglia. Mi sono detto: “Ma quel Boldi lì, prima, dov’era?”. Io sapevo che c’era, ma dov’era?».
Dov’era?
«In un angolino, intimidito, spaventato».
Christian prevaricava?
«Spesso. Per come lavorava, per come parlava, per come prepotentemente cercava di saltarmi in testa e mettermi a disagio. Christian è un egoista. Non gireremo più film insieme. La coppia è finita».
Anche con Teocoli…
«Teo ha un caratteraccio. Ha avuto un’infanzia difficile. Vuole essere sempre al centro dell’attenzione, comandare, fare il direttore artistico, il regista, decidere quello che fa ridere e quello che no. Ma fra noi due c’è un’intesa perfetta perché ci vogliamo bene. Troppo tempo, troppi anni, troppe avventure straordinarie. Siamo cresciuti insieme. Ma è come un matrimonio. Ad un certo punto uno dice: è finita. Rimane l’amicizia, la stima. È un grandissimo artista. Ma ha la sindrome di Celentano».
C’è rivalità tra i comici?
«Ricordo una volta con Villaggio, Banfi, De Sica, Teocoli. Era un continuo sgomitare».
Chi sono i tuoi estimatori?
«Posso dire Silvio Berlusconi?».
Puoi dire quello che vuoi.
«Mi telefona spesso. Un giorno: “Ciao Massimo, come stai?”. Io ero emozionato anche se ci diamo del tu e siamo amici. Lui fa: “Senti Massimo, fra qualche giorno andrà in onda Un ciclone in famiglia. Volevo dirti che tra le tante famiglie che seguiranno questa fiction c’è anche la mia”».
Accipicchia.
«Allora gli ho detto: “Silvio, sei veramente un amico”. E lui: “Ogni tanto vieni a trovarmi, ci facciamo quattro risate”».
Com’è stata la tua infanzia?
«Dura e infelice. Mio padre si costruì un’aziendina di dolciumi per pasticceria, ma nel ’64 ebbe un ictus e morì. Io avevo 18 anni. Mia madre 42. I miei due fratelli erano piccoli. Non avevamo una lira. Sabato e domenica suonavo la batteria, gli altri giorni facevo il vetrinista e vendevo le brioche. Giravo col camioncino della Motta. Panettoncini, brioche, caramelle col buco. Entravo nei bar: “Buongiorno signora, le brioche”. “No, grazie non servono”. A casa mangiavamo brioche e caramelle col buco. Mia madre era disperata. Stava sempre a letto e si ubriacava di cognac. Era molto fragile. Oggi ha 84 anni, e sta bene».
Hai parlato di sindrome di Celentano. Che cos’hai contro di lui?
«Per andare con lui a Fantastico ho rotto il contratto con la Fininvest e sono stato condannato a pagare due miliardi e mezzo».
Non era colpa di Celentano.
«Sì, però quando è successo il casino lui se ne è disinteressato. Allora sono andato da Berlusconi. Ho fatto anticamera per otto ore e gli ho chiesto perdono. Mi ha abbracciato e mi ha perdonato. Mi ha detto: “Sai quante cazzate ho fatto io nella mia vita?”. E io gli ho dedicato una poesia».
Quella che finisce col verso: «Silvio mio, il tuo nome fa rima con Dio».
«Esatto. Quella lì».
Silvio non fa rima con Dio.
«Non importa. Silvio mi ha graziato. Io sono rinato».
E non gli hai dato i due miliardi e mezzo.
«Ma ho accettato di lavorare sottocosto. Invece di 30 prendevo 10 milioni a puntata».
La poesia a Silvio era un po’ adulatoria.
«Un po’. Ma l’ho scritta col cuore».
Qual è la cifra più grossa che hai guadagnato?
«Una volta De Laurentiis decise di non lavorare più con me e non rispettò il contratto. Dopo un po’ si presentò a Milano e mi disse: “Se vuoi tornare sono ben felice. Intanto questo è per le mie scuse”. E mi dette un assegno di 900 milioni».
Adrenalina?
«Molta».
Sei andato tu in banca a versarli?
«Sì».
Il cassiere che cosa ha detto?
«“Mi faccia la distinta”».
Rimane che ce l’hai con Celentano.
«Io ero innamorato di Celentano. Ma questi grandi non sono quello che appaiono. Attorno a loro c’è un ambiente che li condiziona. Agenti, parenti, commercialisti, avvocati».
Nel 1992 ti sei candidato col Psi.
«Ero molto amico di Craxi. Ci vedevamo spesso con Caterina Caselli, Mina, i Gufi, la Vanoni, Cochi e Renato. Un giorno ero in vacanza a Lech con il povero Michele Alboreto, che era mio cugino, e con la mia famiglia, quando ho ricevuto una telefonata: “Ciao Massimo, devi andare a firmare domani, il notaio Fiore ti aspetta: Como, Lecco, Sondrio, Varese. Prendi la macchina, vieni giù, vedrai, sarà divertente”. E così mi sono fatto la mia campagna elettorale e cazzo è crollato il Partito Socialista».
Che cosa pensi dei voltagabbana?
«I craxiani a un certo punto, tutti scomparsi. Tra gli artisti milanesi solo pochi non hanno rinnegato Bettino. Pensa a come si sono comportati i due Ripa di Meana che erano sempre alle nostre serate».
Hai lavorato con le più belle donne del cinema italiano. Qualche sbandatina?
«Mi sono preso una cotta per un’attrice. Però è durata poco, sei mesi, e mia moglie ha saputo riconquistarmi».
Un tuo grande estimatore è Oliviero Diliberto.
«Lui dice che rappresento il cinema italiano, quello per le grandi masse, per il popolo».
L’altro politico cinefilo è Veltroni.
«A lui non piaccio, quando mi incontra fa fatica a darmi la mano».
Gioco della torre. Vespa o Costanzo?
«Butto Costanzo. Tira un po’ troppo l’acqua al suo mulino».
Vespa no?
«Sono due acque diverse».
Bondi o Baget Bozzo?
«Bondi è troppo lecchino».
Sgarbi o Ferrara?
«Sgarbi è prepotente e litigioso».
Tu sei litigioso?
«Le più grandi litigate le ho fatte con Teo. Ci mettevamo proprio le mani addosso. Una volta abbiamo litigato davanti al Ciak, a Milano. Io lo cacciai dalla macchina a calci in culo. In camerino arrivammo a spaccarci le sedie in testa. Abbiamo fatto il nostro spettacolo e poi, appena calato il sipario, abbiamo ricominciato a insultarci».
Previti o Dell’Utri?
«Dell’Utri è una persona che stimo molto. È una persona pulita».
Un po’ condannato…
«Si può essere condannati anche senza colpe».
E Previti?
«Previti è un casinaro romano».
Gardini o Carlucci?
«Butto la Carlucci. Le ho fatto tre giorni di campagna elettorale in Puglia. È stata eletta ed è sparita. Nemmeno un grazie!».
Bobo o Stefania Craxi?
«Butto Bobo. Ha la testa troppo confusa».
La Russa o Gasparri?
«La Russa è uno che non racconta palle».
Gasparri racconta palle?
«Ma sai… mi ricorda il generone romano… quelli che raccontano un sacco di fregnacce… come quelli del cinema».
Teo Teocoli o Christian De Sica?
«Teocoli è un vero amico, Christian no».
Nessun commento.