- 24 Marzo 2005
Non sono tante le donne che dirigono o hanno diretto un quotidiano. Flavia Perina è una delle poche. Dirige da qualche mese Il Secolo d’Italia, quotidiano di Alleanza Nazionale, un giornale che è sempre stato marginale, fuori dalle mazzette della gente che conta, ma che ha visto passare nelle sue stanze giovani che sarebbero diventati giornalisti famosi o potenti politici. «Il Secolo è stato una specie di scuola di partito, noi l’abbiamo soprannominata “Le Frattocchie de noantri”. Buona parte della classe dirigente del partito è passata da queste stanze. Da Fini a Gasparri a Buontempo. Ed anche molti intellettuali e giornalisti che si sono sparsi un po’ dovunque: Mazza, Socillo, Veneziani, Barbiellini Amidei, Pippo Marra, Massimo Magliaro…».
Flavia, non stavate meglio all’opposizione?
«Era una formula facile, andavamo in automatico».
Si stava meglio quando si stava peggio?
«No. Si sta meglio al governo».
L’opposizione dà più soddisfazione.
«Ma alla fine diventa noiosa».
Non eri più libera una volta?
«Gli anni Settanta sono stati un incubo. Emarginazione: era difficile esprimersi, era pericoloso frequentare l’università, girare per la città. Io sono passata per la prima volta a piazza Navona nel 1981. E davanti a via Pomponazzi, celebre sezione dell’ultra sinistra, mai. Mio padre e mia madre erano impegnati in politica, mio fratello anche, eravamo tutti conosciuti. Sul famoso libro bianco dell’estremismo di destra a Roma, dove c’erano cinquecento nomi con gli indirizzi, noi c’eravamo tutti e quattro».
Hai mai avuto problemi?
«Problemi gravissimi no. Però ho dovuto lasciare l’università. Un paio di volte sono stata strattonata in malo modo. Mi hanno detto: “Qua dentro non ci devi più entrare”. Un’altra volta sono dovuta scappare da una specie di uscita secondaria nel piano interrato. Alla fine ho rinunciato. Avevo paura. Intendiamoci, minuzie. C’è gente che è stata ammazzata. Però per tanti anni mio padre ha messo la sabbia sotto la porta la sera prima di andare a dormire per evitare che ci infilassero la benzina».
Che cosa pensi della stampa di destra?
«Libero è divertente. Ma alla lunga i giornali strillati, paradossali, non sono più credibili. Il Giornale è ben fatto. A Roma ha occupato gli spazi che erano del Tempo. L’Indipendente, quando era diretto da Giordano Bruno Guerri era bizzarro come lui, completamente fuori dagli schemi. Adesso c’è Malgieri, uno che davvero può fare un prodotto di destra. Il Tempo era il giornale della borghesia romana, adesso lo vedi pochissimo in giro».
Il Foglio?
«Non lo consideriamo un giornale di destra, però piace molto a destra».
Voi avete attaccato Lando Buzzanca per la fiction sui gay. Siete sempre reazionari.
«Noi abbiamo parlato benissimo di Buzzanca. C’è stato solo un commento di Enrico Nistri che diceva quello che poi ha scritto Veneziani sul Giornale. E cioè che è strano che uno debba fare la fiction sui gay per essere riabilitato dalla sinistra».
La destra è ancora oggi intollerante nei confronti dei gay. Pensa a Tremaglia… a Fisichella…
«Bisogna tener conto della cultura e dell’età delle persone. Tremaglia è di un’altra generazione. Fisichella… questa storia che ha licenziato un suo collaboratore… sono opzioni personali… io posso decidere che lavoro a disagio con una che si veste da velaina. E se un dipendente fa ostentazione di machismo, e fa lo sciupa femmine, posso decidere che lavoro meglio con un’altra persona».
Che cosa pensi delle leggi ad personam?
«Errori, in particolare la prima riforma, la Cirami. E noi, troppo acquiescenti».
È rimasto celebre l’imbarazzo di Fini accanto a Berlusconi che dava del kapò a Schulz. Sembrava dire: «Dove posso nascondermi?».
«Berlusconi è completamente fuori dagli schemi, qualche volta tracima. In quell’occasione c’era da impallidire. È come un uovo di Pasqua. Non sai mai che cosa può uscire».
Ti è simpatica Alessandra Mussolini?
«Inizialmente mi stava simpatica. Da quando ha cominciato a fare le sceneggiate parlamentari con il Branco Rosa non più. Ha beneficiato di un’attenzione assolutamente spropositata dei media. Mi hanno detto che Luca Telese, in una trasmissione su Sky, l’ha fatta giurare su un busto di Mussolini».
L’avete fatta eliminare dalle elezioni nel Lazio.
«Eravamo al paradosso di una persona che, nel nome del nonno Mussolini, voleva far vincere Marrazzo, uno che usa ancora la frase “antifascismo militante”. Nemmeno Paolo Cento dice più “antifascismo militante”».
Marrazzo era a scuola con te.
«Al liceo De Santis. Frequentava la sezione della Fgci di Ponte Milvio».
Tu invece?
«Mio padre e mia madre erano in Ordine Nuovo, con Pino Rauti. Nella mia famiglia si parlava sempre di politica. La politica è stata un’esperienza totalizzante per la mia generazione».
Avevate anche i vostri cantanti, le vostre canzoni.
«Molti ascoltavano gli Amici del vento. Ma a me non piacevano. C’era la Compagnia dell’anello, ragazzi molto bravi, c’erano dei francesi che facevano rock, un gruppo di Jack Marshall nato nell’ambito della nuova destra francese…».
Gli studenti di destra avevano difficoltà nel tuo liceo?
«No, eravamo in maggioranza. Le elezioni le vincevamo noi. Non era come negli altri licei dove quelli di destra non potevano prendere la parola e nemmeno andare a scuola nei giorni di assemblea».
Qual era il tuo giro?
«La sezione Balduina. Conoscevo Isabella Rauti e la sorella che oggi lavora in Rai. Eravamo molto amici della famiglia Rauti, facevamo le vacanze insieme».
Il tuo massimo di illegalità qual è stato?
«I ripetuti reati di apologia di fascismo».
Disegnavi croci celtiche.
«Ma non era un reato la celtica».
Almirante vi aveva ordinato di smetterla con le croci celtiche.
«È vero. Ma noi continuammo e non è mai stato espulso nessuno per questo».
Che cosa provavi nei confronti dei giovani di sinistra?
«Pensavo che lo scontro generazionale fosse insensato. Da una parte la strumentalizzazione dell’antifascismo militante, dall’altra la voglia di vendicare i nostri morti. Ero d’accordo con Rauti di chiudere le sezioni e occuparci d’altro. Non aveva senso rischiare la vita per tenere aperta una sezione, attaccare cinquanta manifesti, fare la vendita militante di un giornale. Ma il Msi allora considerava molto importante non cedere fette di territorio».
C’è stato qualche tentativo di dialogo?
«Il più importante è stato il programma televisivo Nero è bello in cui Mughini andò girovagando negli ambienti della destra da uomo di sinistra. A noi piacque molto. Mughini fu molto onesto, ci descrisse come eravamo davvero. Ricordo che al terzo Campo Hobbit perfino il manifesto mandò Pierluigi Sullo, un inviato. Parlò con tutti e fu accolto con interesse. Noi non volevamo solo essere intervistati. Volevamo parlare e chiacchierare».
Quale poster avevi nella stanza a quei tempi?
«Il poster di riferimento della mia generazione era quello di Ezra Pound con la frase: “Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono niente o non vale niente lui”. Lo avevano realizzato in un circolo di Vigna Clara che faceva capo a Sergio Caputo che si interessava più di grafica che di musica».
Una volta sei stata arrestata.
«Ci fu una grossa retata alla Balduina dopo gli scontri che portarono alla morte di Walter Rossi. La polizia arrivò in sezione e arrestò tutti quelli che trovò. Sono rimasta in galera un mese, a Rebibbia».
Che cosa pensavi della lotta armata?
«Lotta armata a destra significava Nar. Tra noi e i Nar ci fu una separazione nettissima, si ruppero amicizie, due mondi si allontanarono. A un certo punto capimmo che alcuni gruppi facevano certe cose, e soprattutto cominciarono le latitanze. Le latitanze andavano finanziate e cominciarono le rapine. Capimmo che qualcuno faceva le rapine, magari per mandare i soldi a qualcun altro. A quel punto si fecero delle scelte, chi andò da una parte, chi dall’altra».
Tu hai perso degli amici?
«Francesca Mambro. Non ci vedemmo più, non ci incontrammo più. Siamo tornate amiche solo dopo molti anni».
Sei stata tentata dal femminismo?
«Il tema non mi appassiona. Oggi non saprei dire a che cosa serva una politica femminile».
E la Prestigiacomo?
«Non mi piace. Il ministro delle Pari Opportunità in un governo di centro destra dovrebbe fare qualche cosa di più specifico e caratterizzante. Lei è appiattita sulla pappetta post femminista».
Quali sono le pari opportunità di destra?
«Non ne ho idea. Le donne italiane queste pari opportunità ce l’hanno».
La Carlucci ti piace?
«Gabriella Carlucci? Quella che fa la portavoce di Forza Italia?».
Quella è la Gardini.
«Non ricordo nulla di memorabile fatto dalla Carlucci. Tranne quella volta che l’ho vista una volta mentre posteggiava in sosta vietata inseguita dalle “jene” che le dicevano: “Signora Carlucci lei deve spostare la macchina”».
Nel Polo chi è più a destra?
«Fini è sicuramente più moderato di Berlusconi, quindi è da collocare più al centro di Berlusconi».
Sul Secolo una volta avete definito Almirante «caporione neofascista».
«Un redattore giovane passò un’Ansa senza leggerla. Allora l’Ansa definiva così Almirante: “caporione neofascista”. Il caporedattore, Cesare Mantovani, fece fuoco e fiamme. Il direttore Alberto Giovannini si fece un sacco di risate».
Errori tuoi?
«Sono molto distratta. Una volta un ministro belga si era rifiutato di stringere la mano a Tatarella perché era consideratofascista. Io feci un titolo durissimo ma confusi il Belgio con l’Olanda. Mi telefonò il giorno dopo l’ambasciatore olandese: “Perché ce l’avete con noi, che vi abbiamo fatto?” Spesso sbaglio i nomi delle città e delle persone».
Se tu dovessi fare il nome di un voltagabbana a chi penseresti?
«A uno che viene eletto con i voti di un partito e si ritrova da un’altra parte, come Mastella, il prototipo. Se per caso fosse stato nel mio collegio, io l’avrei votato e me lo sarei ritrovato dall’altra parte. Un caso particolare è la Pivetti, un caso mediatico e antropologico. Era trattata come una Madonna. Tutti erano innamorati di lei, anche in An. Brava, bella, giovane, fantastica, grande personaggio emergente, e qua e là. E poi all’improvviso… Ma non è una voltagabbana. Per essere voltagabbana ci vuole sostanza. Lei invece si è proprio squagliata».
E Fini, quando ha parlato del valore storico dell’antifascismo?
«Chi fa politica deve assumersi quelle responsabilità. Io sono contenta di non fare politica».
Però dirigi un giornale. Messa alle strette, credi nel valore storico dell’antifascismo?
«L’antifascismo ha fondato la Repubblica italiana, è un dato di fatto, non serve una produzione di fede».
Tu sei fascista?
«Da quando facevo politica con il Msi ho sempre detestato il nostalgismo, il continuo riferimento all’età dei fascisti. Ci facevano ridere quelli che andavano a Predappio, quelli con il busto di Mussolini in casa».
Mai avuto il busto di Mussolini in casa?
«Mia madre aveva un bassorilievo di legno con il profilo di Mussolini sul quale un partigiano aveva tentato con un seghetto di staccargli il naso. Un cimelio».
Chi ti piace a sinistra?
«Il più abile politico della sinistra è Veltroni. Ma non mi piace. È molliccio. Mi piace invece Livia Turco. Massimo D’Alema è intelligente, ma ormai sembra uno avviato a una sorta di declino rancoroso».
Chi non ti piace a destra?
«Ho diffidenza per tutti quelli che vengono dalla Dc. Tipo Follini e Buttiglione».
E quelli vostri?
«Publio Fiori era un tipo di democristiano bizzarro emarginato. Gustavo Selva era un democristiano poco incline al compromesso. I nostri sono democristiani sprint».
Gioco della torre. Cominciamo da uno facile. Adornato o Guzzanti?
«Butto Guzzanti. La sua dietrologia, la Mitrokhin, il Kgb, ho perso il filo».
Costanzo o Vespa?
«Costanzo è il paradigma della tv che non mi piace».
Gruber o Santoro?
«La Gruber è arrogante. Anche Santoro è arrogante, ma la Gruber è arrogante nei confronti dei suoi stessi compagni di schieramento, è prevaricatrice, è prima donna, non ha un pizzico di umiltà. È andata avanti per venti giorni a dire a tutti che aveva preso un milione di voti».
Che cosa pensi dell’epurazione di Santoro?
«È stato un grosso errore. Vedevi Santoro e provavi l’impulso impellente di andare a votare per la destra. Ci ha portato un sacco di voti Santoro».
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