- 24 Giugno 2004
Quasi sempre il Grande Sindacalista, all’apice della carriera, sceglie di buttarsi in politica. Ed è subito flop. Dagli altari dei grandi problemi sociali passa al tran tran della politica di tutti i giorni. Dai titoloni su trattative che fanno storia scende alle cinque righe di brevi. Alla regola non è sfuggito Ottaviano Del Turco. Lasciato il sindacato (era leader della corrente socialista della Cgil), dopo una breve parentesi da segretario del Psi (quello ormai in disarmo), dopo quattro anni di presidenza alla Commissione antimafia e dopo una veloce esperienza come ministro delle Finanze, pochi giorni fa è stato eletto deputato europeo. Del Turco, perché i grandi sindacalisti non diventano mai grandi politici?
«Una volta andai da Craxi a perorare la causa di un collega che lasciava il sindacato senza prospettive. Craxi mi disse: “Voi, quando siete nel sindacato, siete dei rompicoglioni, quando uscite dal sindacato siete solo dei coglioni”. È questo il pregiudizio che pesa sui sindacalisti».
Al di là del pregiudizio craxiano, si sa dare una spiegazione?
«Quello che viene considerato il pregio fondamentale del sindacalista, cioè la sua capacità di rapportarsi con masse considerevoli ed omogenee di cittadini, alla fine è il suo limite. Una leadership deve essere rappresentativa non di un solo ceto sociale ma di un assemblaggio di ceti».
È successo anche a Cofferati. In un momento di grave carenza di leadership è stato respinto anche lui dalla politica e si è dovuto accontentare di Bologna.
«Se scendi nel ring della politica devi parlare con tutti. Nessuno vince con una posizione radicale di sinistra, né in Italia né nel mondo. Se Cofferati avesse continuato con il riformismo, probabilmente non avrebbe portato tre milioni di persone in piazza, ma si sarebbe posto come punto di riferimento di schieramenti più vasti».
Si è messo da solo fuorigioco?
«Io sono sempre stato un suo grande tifoso. Mentre Bertinotti guidava la Fiom alla più grande sconfitta del dopoguerra, i 35 giorni della Fiat, Cofferati trattava la crisi dell’industria chimica ottenendo ottimi risultati. Purtroppo, l’ultimo Cofferati non mi è piaciuto per niente».
Perché ha smesso di fare il sindacalista?
«Perché ero troppo compromesso con la mia storia riformista. Passavo gran parte del mio tempo ad occuparmi delle guerre interne, contro una banda di radicali che infestavano la Cgil».
Si ricordano la battaglie con Sabattini…
«Era il più radicale di tutti».
Che cosa è un sindacalista?
«È un uomo fortunato che soddisfa il proprio narcisismo con il contatto quotidiano con masse imponenti. Anche se tra i tantissimi applausi arriva ogni tanto qualche bullone. I bulloni sono dolorosi, soprattutto moralmente».
È brutto trovarsi i lavoratori contro.
«Una volta io e Pizzinato andammo a fare delle assemblee al reparto N della Magneti Marelli. Fummo affrontati a muso duro da tre operai. Io li guardai bene e poi dissi: “A me non la contate giusta, voi siete dei brigatisti rossi”. Si chiamavano Baglioni, Folloni e Reale. Pizzinato rimase sorpreso: “Ma che cosa dici?”. Dopo tre mesi trovarono quei tre con le pistole in pugno sui monti di Verbania».
Lei provava gioia nello sciopero, come accadeva a Bertinotti?
«Lo sciopero è sofferenza. Ma Bertinotti provava sofferenza solo alla firma degli accordi. Una volta, conclusa brillantemente una trattativa disse alla segreteria del Cgil: “Ho fatto la trattativa e chiunque di voi lo considererebbe un buon accordo. Io no”. Andò a firmarlo un altro».
Che cos’è un sindacalista?
«È padre, fidanzato, marito, fratello. Suscita affetto, repulsione. Odio e amore».
Perché sono così rare le sindacaliste?
«Ne ho conosciute. Lina Fibbi, Donatella Tortura. Però non hanno mai avuto un ruolo di primo piano. Nel sindacato si ripropone la stessa gerarchia di valori che c’è nella società. E la situazione peggiora. È in aumento il numero di donne presenti negli organismi, ma non il loro peso».
Il sindacato è maschilista?
«Io scherzando proposi di fondare un’associazione a cui iscrivere di diritto tutti i dirigenti sindacali. Si chiamava “Misoginia Democratica”».
I sindacalisti avevano una loro divisa?
«Certo: giacca di tweed, camicie tovagliate a quadretti, cravatte orribili. Volevamo sembrare tutti il guardiacaccia dell’Amante di lady Chetterley».
Come si diventa sindacalista?
«Io sono figlio d’arte. La casa della mia infanzia, a Collelongo, in Abruzzo, era anche Camera del lavoro e sezione socialista. In un angolo dello stanzone c’erano sacchi di grano, lenticchie e fagioli. I braccianti pagavano così la tessera del partito e della Cgil. Mio padre si definiva nenniano-stalinista. La mia famiglia era numerosa. Sono l’ottavo figlio, Ottaviano appunto. I primi ebbero nomi normali, Angelo, Francesco, Elvira, Fausto. Poi mio padre è impazzito: Quintiliano, Pratilina, Alfiere».
Che tipo di scuole ha fatto?
«Mi sono fermato alla terza media. Quando sono diventato ministro qualcuno ha storto il naso. “Non si vergogna? Ha solo la terza media”. Una volta l’autodidatta veniva ammirato. Oggi viene snobbato».
I suoi miti musicali?
«Quando arrivarono i primi juke box ad Avezzano, appena avevo cento lire ascoltavo Lisboa Antigua, Banana Boat e Only You. Poi cominciarono i cantautori. Andavo pazzo per Gaber. Ricorda Geneviève? Le strade di notte?”
I suoi primi lavori?
«A Roma, in una autoscuola. E in un negozio di tessuti. Odiavo quelle donne che facevano tirar giù 40 pezze e io dovevo riarrotolarle tutte. La mia misoginia nacque allora. Poi sono entrato a tempo pieno nel sindacato».
Ha fatto anche la guardia del corpo di Nenni.
«Dovevo proteggerlo ai congressi socialisti dall’assalto dei suoi tifosi autonomisti e dagli insulti degli uomini della sinistra di Valori e di Vecchietti. Lo feci con entusiasmo. Nenni era il mio mito politico. Io sono sempre stato un autonomista».
Socialista di destra.
«Mi ha sempre infastidito essere definito “di destra”. Adesso poi che alcuni socialisti sono andati realmente con la destra! Questa è una cosa che detesto. Quando penso che De Michelis deve fare trattative con Gasparri, con Storace, con Alemanno per cercare di piazzare i suoi uomini».
Adesso Signorile sta con De Michelis nei Socialisti Uniti che si sono presi un due per cento alle europee.
«Signorile è la rarefazione dell’assurdità. Lui sta in lista con De Michelis, che sta con la destra, ma dice che sta in lista con De Michelis perché guarda a sinistra».
Vi rivedete mai?
«I rapporti si deteriorarono quando disse a Craxi che ero lo scemo del villaggio. Lo presi come un insulto».
Difficile scambiarlo per complimento.
«Complimento no. Ma lui voleva dire che non avevo capito nulla del sistema del finanziamento dei partiti. E con ragione».
Da dove pensava che Craxi attingesse i miliardi?
«Pensavo che le aziende dessero dei soldi al Psi in cambio di uno stand al Congresso. Oppure che i finanziamenti arrivassero da parte di qualche lobby che si sentiva protetta da una campagna socialista».
Era proprio lo scemo del villaggio.
«Beh, abbastanza, lo riconosco».
Rapporti con Signorile?
«Al contrario di De Michelis, Signorile è simpatico. Ha un’aria da levantino elegante, meridionale. Mi piace molto. Quando mi parla mi chiedo sempre: “Dove sta il tranello?”. Ma si è presentato con De Michelis e ha perso. Un’altra volpe è finita in pellicceria».
Boniver?
«Al contrario di De Michelis e Signorile non pretende di conservare l’etichetta socialista. È una militante di Forza Italia. Ogni volta che Margherita viene in Parlamento l’abbraccio con grande passione. È anche una delle donne più belle della politica italiana».
Attento, siamo in zona pericolosa. Diranno che siamo politicamente scorretti.
«La Boniver è bellissima. Le altre mi sembrano prodotti della chirurgia estetica».
Cicchitto?
«Era stato tra coloro che avevano aiutato i Ds ad entrare nell’Internazionale Socialista. E per tutta risposta i Ds non lo vollero candidare».
Problemi di P2, forse.
«Nella P2 c’era Costanzo che è diventato consulente di quasi tutti i leader dei Ds».
Ora è ai vertici di Forza Italia.
«Con Cicchitto ho un buon rapporto. Quando trovo socialisti che hanno fatto una giravolta di centonovanta gradi, non do giudizi morali. Dico solo: ma perbacco, hai conservato il tuo diritto a stare nella battaglia politica. Ma vedo gente che ha voltato gabbana e va mendicando un posto in un consiglio di amministrazione. Dal punto di vista morale è squallido. Dal punto di vista della convenienza un fallimento».
Craxi, da Hammamet, mandava fax terribili. Anche contro di lei.
«Si sentiva abbandonato da tutti. Anche da quelli che aveva aiutato. Anche da uno come me che gli aveva fatto fare la cosa più importante della sua vita, l’operazione della scala mobile, per la quale oggi si parla di lui come di un grande statista. Ma rileggete il libro di Bobo Craxi. Il padre gli disse quattro o cinque volte che io ero una delle persone migliori del Psi».
Il massimo dell’adulazione che prova un sindacalista?
«Arrivare al tavolo della trattativa e trovare qualcuno che comincia a parlare bene di te».
Frase tipica del padrone che adula?
«Adesso capisco perché lei è tanto popolare tra i miei lavoratori».
Chi era il grande adulatore?
«Generalmente i più grandi adulatori erano le più carogne di tutti. Una delle figure principe della carogneria padronale era un certo avvocato Garino, capo del personale della Fiat degli anni duri».
Il migliore capo del personale?
«Mortillaro. Ci ha fatto sudare sangue. Lo chiamavano Lotta Continua. Prendeva a prestito Sant’Ignazio da Loyola: “Todo para buscar la fede”, tutto per fregare il sindacato. Poi Dall’Aglio, capo delle relazioni sindacali dell’Assolombarda».
Era adulato quando era ministro?
«Quando sei ministro c’è un mondo che ruota intorno alle tue decisioni e ti stende tappeti dappertutto».
Le sue passioni?
«La pittura, la musica e le carte. Gioco a scopetta con gli anziani del mio paese. Ho giocato anche con De Mita. Tre partite senza storia. Sconfitta bruciante. Undici a zero, undici a zero, undici a zero».
Come pittore viene adulato?
«Aihmé no».
Eppure quel critico dell’Avanti che parlò di «inestricabile pudore dei sensi»…
«Detesto il linguaggio dei critici d’arte».
Quando era sindacalista era un buon frequentatore di salotti.
«Nei salotti romani c’era di tutto, l’ammiraglio, l’ambasciatore, l’industriale. Serviva anche il sindacalista e invitavano me perché sapevano che non mangiavo i padroni e a volte ero persino simpatico».
Critiche: il caso Pavarotti. Spettacolarizzazione del concordato fiscale.
«Mentana mi fece degli attacchi furibondi. Ma se mi fossi limitato a saldare il concordato nel chiuso degli uffici non avrei reso giustizia a quest’uomo che rischiava la galera. Io ero assolutamente convinto della buona fede di Pavarotti».
In che senso?
«Non aveva pagato perché pensava di non doverlo fare. Non per fregare lo Stato».
Chi non le piace a sinistra?
«Quelli che esibiscono il loro radicalismo al tg. Tipo Pecoraro Scanio e Marco Rizzo. Sono onnipresenti nei tg berlusconiani perché sono funzionali a Berlusconi. Se fosse per lui aprirebbe tutti i giorni il tg con Bondi, a seguire Rizzo e Pecoraro Scanio e in chiusura Schifani».
Craxi, oggi, starebbe a destra o a sinistra?
«Per come ho conosciuto Craxi, per come l’ho amato, Craxi non starebbe a destra».
E starebbe contro Berlusconi?
«Craxi contro Berlusconi è impensabile. Forse avrebbe tentato di separare Berlusconi da Fini e di considerare il berlusconismo espressione del centro moderato».
Gioco della torre. Foglio, Riformista o Indipendente?
«Butto l’Indipendente. È un giornale che mi onoro di non aver mai letto, Giordano Bruno Guerri mi causa l’orticaria».
Costanzo o Vespa?
«Butto Costanzo. Mi affidò il compito di risolvere un problema di omicidi di mafia e quando lo risolsi si rifiutò di invitarmi per dire che avevo mantenuto l’impegno…».
Mimun o Mentana?
«Salvo Mimun. A volte il Tg1 mi prende in considerazione. Mentana, da Pavarotti in poi, ha deciso che non esisto più».
Bobo o Stefania?
«Butto Stefania. È intollerabile la cattiveria che mette nelle cose politiche».
Giorgino o Marzullo?
«Il marzullismo è una degenerazione del sistema comunicativo italiano. Giorgino mi pare un ragazzo che studia per diventare Vespa».
Ha litigato con Mentana.
«Non lo sapevo. Adesso che lo so la mia passione per Giorgino aumenta».
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