- 17 Giugno 2004
Attenzione: se lo incontrate per strada non raccontategli nulla di riservato. Franco Bechis, 42 anni, è uno di quei giornalisti per i quali la notizia è un mito e non c’è regola morale. Spesso ha un registratore in tasca e un microfono nascosto sotto la manica della giacca. Nel suo ufficio di direttore di Tempo, mi mostra tutti i marchingegni elettronici, suoi complici in decine di scoop. Ne parla come un latin lover delle sue conquiste femminili. "Quando ero capo della redazione romana di Milano Finanza", ricorda, "lo studio personale di Andreotti, primo ministro, era al piano di sotto. Il portiere mi avvisava se arrivavano personaggi importanti e io correvo ad aspettarli in ascensore. Avevo sempre dei registratori nascosti addosso. Praticamente vivevo in ascensore".
Perché il portiere ti avvisava?
"Per diletto. Odiava i Vip che passavano davanti a lui senza nemmeno salutarlo. Quello che odiava di più era Gardini".
Usavi anche altri trucchi?
"Qualche furtarello qua, qualche furtarello là".
Spiegami.
"Un giorno andai al ministero delle Partecipazioni Statali. Entrai nell’ufficio di Castellari, direttore generale, quello che poi è morto in maniera un po’ strana. Poggiai delle cartelle che avevo con me sopra alcune cartelle con su scritto Enimont e, alla fine, presi tutto e me ne andai".
Sei praticamente un delinquente.
"Facevo cose terribili".
Hai mai ricevuto minacce?
"Ciarrapico una volta venne sotto il mio ufficio e mi prese per la collottola. "Mi stai rovinando!", urlava".
Che avevi fatto?
"Non ricordo. Scrivevo quello che mi diceva. Una sera mi ha invitato a cena nella sua terrazza, per raccontarmi, in via riservata, una storia. Io andai imbottito di registratori. La chiacchierata fu bellissima, ne feci due pagine. Saltò il presidente della Consob".
Hai registratori sofisticati?
"Spesso ho il corpo percorso dai fili dei microfoni. Quando mi presento sono un uomo cablato".
Hai sempre bisogno di cablarti?
"No. Spesso funziona più l’accordo. La gente racconta e io mi impegno a non virgolettare. Demattè, per esempio, quando era presidente della Rai dei professori, mi disse: "Quando ha bisogno, parli con il direttore finanziario Renzo Francesconi". Io lo sentivo tutti i giorni. Mi dava cifre, notizie, scandaletti sulle trasferte. Lo facevo anche con Celli che allora era capo del personale".
Recentemente hai fatto uno scoop su Tremonti.
"Avevo scoperto che Tremonti aveva insieme alla moglie una società che aveva fatto il condono".
Il condono è legale.
"Da almeno nove anni l’agenzia delle entrate inseguiva Tremonti con continue contestazioni. Per lui il condono non era una possibilità, era una necessità".
Se l’è presa?
"L’ho incontrato in Transatlantico. Mi ha guardato gelido e ha detto: "A buon rendere". Frase inquietante, detta dal ministro delle Finanze".
Di dove sei?
"Di Torino. Mio padre ha lavorato tutta la vita alla Zegna. È entrato fattorino ed è uscito direttore marketing".
Una vita berlusconiana.
"Certo. Ma lui è ferocemente antiberlusconiano. Era repubblicano. Per lui Giorgio La Malfa è un orrendo traditore".
Hai fatto il ’68?
"Ho fatto il ’77. Avevo 15 anni, sono scappato di casa e sono andato a Bologna. Andai a casa di Guccini".
Lo conoscevi?
"No. Ma mi sembrava del tutto normale che mi ospitasse. Era un compagno. Ed era il mio mito. Non mi fecero nemmeno entrare. Sono rimasto in mezzo alla strada, ci fu una terribile nevicata, un freddo fottuto, ho dormito alla stazione due notti, mi hanno beccato i poliziotti e se Dio vuole mi hanno rispedito a casa".
Politicamente?
"Ero vicino a Lotta Continua. Ma verso i sedici anni mi sono fidanzato con una ragazza di Cl e sono diventato ciellino. La ragazza l’ho anche sposata, alla fine".
Andando in Cl sei rimasto di sinistra?
"Io sono un conservatore liberale".
Per chi voti?
"Ho votato di tutto, tranne Msi, Rc e Pri".
Il giornalismo?
"Ho cominciato in una radio dei salesiani. Poi scoprii gli scalabriniani".
Gli scalabriniani?
"Un ordine religioso che aveva quasi tutti i giornali in lingua italiana che uscivano in Canada, Stati Uniti, America Latina e Australia. Ma articoli ne mandavo tanti e soldi ne vedevo pochi. Piantai lì e andai a fare l’alpino a Bressanone".
Ma il servizio militare finisce.
"Mondo economico, Sabato, Italia Oggi. L’assunzione a Milano Finanza. Quando scoppiò la guerra per la Mondadori mi ci buttai. Seguivo De Benedetti e Pippo Corsentino seguiva Berlusconi. Pippo era bravo e un po’ figlio di buonadonna. Una volta arrivò alla mia scrivania mentre intervistavo Confalonieri. Di nascosto staccò il filo del telefono. Quando riuscii a riconnettermi mi dissero: "Guardi che è al telefono con Corsentino". Alzai lo sguardo e lo vidi che correva dal direttore gridando che aveva lo scoop. Lo aspettai fuori, gliene dissi, lui ammise la carognata e siamo diventati amici".
Dei giornalisti economici chi non ti piace?
"Non mi piacciono i tromboni. Tipo Turani, Alan Friedman".
E quelli che ti piacciono?
"Ho imparato il mestiere da quelli come Augusto Minzolini e Guido Quaranta. Gente che cammina, gira, rubacchia. Io facevo pool con Minzolini. Per ascoltare le chiacchierate riservate ci nascondevamo nei gabinetti. Due bei figli di buonadonna".
Chi più dei due?
"Lui, assolutamente. Ha fatto fesso anche me. Gli ho raccontato cose riservate e lui le ha usate".
Litighi spesso?
"Abbastanza. Adornato se la prese quando pubblicai l’elenco dei fondi che vari ministeri ed enti davano a Liberal invece di darli alla ricerca sul cancro".
Che cosa significa avere l’inimicizia di Adornato?
"Una volta mi ha telefonato e mi ha detto: "Mi dia del lei"".
E tu che cosa hai risposto?
"Gli ho fatto notare che mi aveva chiamato lui e che mi aveva dato del tu".
Adornato è il nostro voltagabbana preferito.
"Chi è stato molto tifoso da una parte, diventa molto tifoso dall’altra. Un voltagabbana di centro non ha senso".
Nemmeno Mastella?
"Mastella ha un sistema di potere che si mantiene avendo potere. Mi propone sempre una rubrica di cucina fatta da sua moglie Sandra. Me la passa al telefonino, ci mettiamo d’accordo e la rubrica di cucina non arriva mai".
Chi è un voltagabbana, a tuo giudizio?
"Cimoli, un manager sponsorizzato dal centro-sinistra che per restare a galla è diventato un grande amico di An".
E poi?
"Pomicino. Ha cambiato casacca perché non lo facevano contare. Il massimo che è riuscito a fare a destra è stato istruire politicamente Daniela Santanchè. Il suo prodotto migliore è lei, la signora dai tacchi alti".
I giornalisti sono adulatori?
"In genere sì. Bisogna esserlo per diventare importanti. Ci sono giornalisti che scrivono libri con interviste molto gradevoli e che poi diventano giornalisti di riferimento per l’intervistato".
Stai pensando a qualcuno?
"Beh, Roberto Napoletano è diventato amico di D’Amato in questo modo qui. I libri-intervista puzzano sempre un po’ di adulazione. Alessandro Caprettini fece un libro-intervista a Gianfranco Fini e ne ricavò la direzione dell’Italia settimanale".
Altri giornalisti adulatori?
"Mi porto sempre appresso alcuni estratti delle interviste che faceva Giovanni Minoli. Senti: "Romano Prodi, il buon professore, il manager, il politico, l’uomo dalle speranze on the road, l’antidivo per eccellenza, il leader che alle telerisse preferisce le teleriflessioni, il sorriso rassicurante, bonario e sereno, gli occhi roteanti e morbidi, parla con le pupille, dialoga con le sopracciglia, comunica con il cristallino". Cose del genere le ha dette anche per Craxi, per Berlusconi".
Tu conosci Berlusconi?
"Con Berlusconi ci parlavo spesso. Sempre con l’accordo: le dico queste cose ma non ci siamo mai parlati".
E tu scrivevi le cose che ti diceva?
"No. Le raccontavo a Minzolini e le scriveva lui. E quando ci parlava Minzolini le scrivevo io".
Berlusconi se ne è mai accorto?
"Un giorno, alla solita raccomandazione, "noi non ci siamo mai parlati", aggiunse, "né con lei né con Minzolini"".
Dopo esserti occupato di mazzette e corruzioni hai accettato la direzione del Tempo il cui editore è il costruttore romano Domenico Bonifaci che procurò la provvista per la maxitangente Enimont, patteggiò la condanna e restituì 54 miliardi. Imbarazzo?
"No. Per me Bonifaci è stata una scoperta. Concedimi di fare un po’ l’adulatore".
Senza esagerare.
"È una persona di una schiettezza straordinaria. Sono molto più libero adesso di prima. Quando combino qualcosa che lo danneggia lui si diverte".
È vero che uno dei tuoi informatori è il capo dei servizi segreti, Nicolò Pollari?
"Chi dice una cosa del genere?".
Io.
"Lo conosco da tanti anni e non mi ha mai dato una mezza notizia".
Va bene. Tanto lo so che dovresti dirlo comunque. Gioco della torre. Butti Zanottelli o Baget Bozzo?
"Non mi piace nessuno dei due. Estremisti. Giocano una partita che non è legata alla loro missione".
Ma lo Spirito Santo c’entra qualcosa con Forza Italia, come sostiene Baget Bozzo?
"È stata una battuta di pessimo gusto".
Veneziani o Socci?
"Salvo Veneziani. Di Socci sono molto amico. Ma è permaloso. Se toccavamo Excalibur si arrabbiava".
Rutelli o Prodi?
"Prodi chiese il mio licenziamento dal Sabato. Si accanì per un pezzo sulle perdite di bilancio dell’Iri. Sospettava che il mio articoletto fosse un segnale del Vaticano e scrisse una lunga lettera al segretario del Pontefice, Stanislao Dziwisz, per lamentarsi. Scrisse anche alla Seat, la nostra concessionaria di pubblicità, chiedendo se il Sabato fosse più interessato a far scrivere Franco Bechis oppure ad avere la pubblicità del gruppo Iri".
Costanzo o Vespa?
"Vespa è il contrario di quello che io considero buon giornalismo. Forte con i deboli, debole con i prepotenti".
Vespa è potente?
"In maniera spropositata".
E Costanzo?
"Con lui abbiamo litigato, poi abbiamo fatto pace".
Perché avete litigato?
"Perché ho pubblicato un pezzo di satira di Selvaggia Lucarelli che era stata un po’ pesante con lui. E lui ha sparato un comizio contro di me a Buona Domenica".
Tutta pubblicità.
"Io gli ho risposto che non si possono usare i missili Scud contro una fionda. Allora mi ha telefonato, ci siamo incontrati anche con il mio editore e lui, a sorpresa, gli ha detto: "Caro Bonifaci, lo sa che Il Tempo è diventato proprio un bel giornale"".
Tarallucci e vino.
"Sono tornato in redazione e ho trovato la rubrica della Lucarelli. Un altro attacco a Costanzo".
Mattia Feltri o Vittorio Feltri?
"Con Vittorio ho litigato e poi abbiamo fatto pace".
Ma allora è un vizio.
"Avevo fatto un’inchiesta sui suoi editori, gli Angelucci, una specie di mappa delle cliniche che mi era già costata una telefonata violenta di Storace: "Vedi di camminare sempre sulle strisce che sennò ti metto sotto"".
E gli Angelucci?
"Fecero rispondere da Feltri che scrisse un articolo chiamandomi "il ragazzino impazzito che sta facendo fallire Il Tempo". E ripubblicò una pagina intera di cronaca vecchia di otto anni sul caso Bonifaci-Enimont".
Bondi o Schifani?
"Butto Schifani. Ho scoperto che Bondi è andato agli esercizi spirituali di Cl".
Gasparri o La Russa?
"La Russa è strafottente e sgradevole. Ma i casini li ho avuti con Gasparri quando scrissi che aveva rigato con una chiave la macchina di Sgarbi".
Mimum o Mentana?
"Mi piace di più Mentana. Il Tg1 mi sembra noioso. Però Mimum è bravissimo e furbissimo. Quando era direttore del Tg2 io lo avevo studiato un po’. Il Tg2 cominciava con ascolti bassi che diventavano alti verso la quarta notizia. E lui alla quarta notizia ci metteva Berlusconi".
Fede o Rossella?
"Salvo Rossella perché è un grande raccontatore di balle. Una volta l’ho incontrato in un aeroporto di provincia e mi ha detto che era appena sbarcato dalla Palestina. Ma nessun aereo era arrivato in quell’aeroporto da quelle zone quel giorno. In più aveva una borsa con la quale poteva star fuori tre ore".
Pubblicheresti una notizia che ti dà Carlo Rossella?
"Le notizie che ti dà Rossella sono talmente innocenti che le puoi pubblicare sempre anche se non sono vere".
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