- 18 Novembre 2004
Un viso dolcissimo e un nome esotico, Rula Jebreal. Palestinese, conduce di notte il telegiornale della 7 con tono spigliato. Si incespica solo quando dice la parola «costituzione». Per il resto parla l’italiano benissimo. «Benissimo? Faccio degli errori mostruosi».
Fammi un piacere. Dì: «Costituzione».
«Costituzione. Quando non c’è la telecamera non ho problemi. Altrimenti “costutuzione” … “custitizione” … Faccio un sacco di prove, ma fuori onda mi viene sempre bene. Senti: “Costituzione, costituzione, costituzione”».
Riforma costituzionale.
«Riforma costituzionale».
Altre papere?
«L’anno scorso, per molto tempo, avevo un apparecchio ai denti che mi faceva male e mi rendeva difficile pronunciare alcune parole».
Non lo toglievi?
«Era fisso. Ma non si vedeva. Era di ceramica bianca».
L’unica giornalista televisiva con l’apparecchio.
«Ma la gente non è che guarda i tuoi denti. Ascolta quello che stai dicendo».
No. Guarda l’apparecchio, credimi.
«Comunque ne avevo bisogno. Avevo dei mal di testa terribili».
Torniamo al tuo ottimo italiano.
«Vivo da undici anni in Italia».
C’è chi lo parla male dopo 30 anni.
«I primi sei mesi non ho mai detto una parola. Mi vergognavo. Ascoltavo. Gli italiani sono fantastici, chiacchierano in continuazione, sull’autobus, nelle biblioteche, nei ristoranti, parlano, parlano, parlano. L’italiano si impara ascoltando».
Perché hai deciso di fare la giornalista?
«Sono vissuta in una famiglia normale, mio padre faceva il prete alla moschea di Al Aqsa. Io volevo fare il medico. In Medio Oriente tutti vogliono fare il medico. Da noi è una figura rispettata e importante. Dove ci sono molte guerre il medico è quello che arriva nei momenti dei disastri e cerca di salvare il salvabile».
Quindi hai fatto medicina.
«Un pochino, poi sono venuta in Italia per fare la fisioterapista in un ospedale psichiatrico. Ho smesso perché avevo paura dei pazienti. Vivevamo tutti nel terrore di essere aggrediti. Me ne dicevano di tutti i colori. Insulti, sputi. Ricordo una suora, malata mentale, che bestemmiava. Tremendo».
Il giornalista è meglio.
«Prima ho provato a propormi come fisioterapista nella squadra della Virtus di Bologna. Al colloquio il medico mi disse: “Non si segga nemmeno, lei non va bene”. “Come sarebbe a dire?”. “È una donna e rischia di alterare gli ormoni dei giocatori”. Ho risposto: “Questa è la prima discriminazione che ho mai subito”».
Non aveva tutti i torti.
«L’ho capito dopo anni. Lì per lì ci rimasi male».
I tuoi miti di ragazza?
«Hanan Ashrawy, la donna che fece l’accordo di Oslo. La vedevo spesso, lei parlava benissimo inglese, arabo, ebraico, era straordinaria, una cristiana, la prima donna che faceva politica attivamente dentro la società palestinese, senza paura, con piglio da leader. Fu lei, ministro della Pubblica istruzione, a convincere Arafat a dare le borse di studio non per profitto ma per bisogno, una vera rivoluzione».
Che cosa ti ha impressionato in Italia?
«Credevo di trovare donne molto più avanti nella lotta di emancipazione. Ho trovato grandi cartelloni pubblicitari con donne nude».
Sono decisioni prese dagli uomini.
«Ma le donne non si oppongono».
Sei sposata?
«Ti prego non parliamo di cose private».
È l’abc di una intervista.
«Però non vorrei toccare questo aspetto della mia vita. Se sono sposata non interessa nessuno».
Una ragazza palestinese viene in Italia e, mettiamo, si sposa con un italiano. Non interessa nessuno?
«Io trovo indecenti quelli che esibiscono la loro vita privata».
Ti sto chiedendo se sei sposata, mica se sei fedele, gelosa o tradisci il tuo uomo.
«Rispetto la tua opinione».
Ma rimani della tua. Quali sono i tuoi difetti, oltre a non voler parlare di te?
«Sono perfezionista da morire. Esagerata».
Parliamo di Arafat. La sua uscita di scena quali conseguenze porterà?
«Arafat già da un paio di anni aveva perso il potere, era confinato e prigioniero e controllava poco o niente».
Adesso che cosa succederà?
«A mio giudizio uscirà una leadership moderata che non riuscirà ad ottenere risultati concreti perché Israele non ha nessuna intenzione di trattare. Prima diceva che la colpa era di Arafat. Adesso vedremo. La palla è passata a loro».
Tu non hai mai risparmiato critiche ad Arafat. Hai scritto di un Arafat inamovibile, corrotto, circondato da una casta di intoccabili.
«Arafat è stato un grande. Ha ottenuto molto per noi e si è fatto riconoscere dalla comunità internazionale. Ma io, anche se sono palestinese, non difendo la mia parte a tutti i costi. Quello che ho scritto su Arafat e sul suo entourage, sulla loro corruzione, è una critica che chiunque conosca quel mondo dovrebbe fare. Criticare l’Autorità palestinese non vuol dire essere meno palestinese. Arafat era un leader abusivo. Come il premier iracheno Allawi, messo lì dagli americani e non dalla popolazione. Arafat ha sempre vissuto fuori, Libano, Giordania, Tunisia, non ha mai vissuto l’occupazione militare da dentro i Territori. Forse era per questo che non riusciva a dialogare con gli israeliani».
Hai detto che Arafat era funzionale all’occupazione israeliana.
«No, non l’ho mai detto».
Lo leggo sul tuo sito Internet. Parli dell’avidità dei governanti palestinesi «che finiscono per essere del tutto funzionali alle strategie di occupazione del governo israeliano».
«Alcuni suoi atteggiamenti aiutavano davvero la linea di Sharon. La sua ostilità verso le riforme e verso qualsiasi movimento che criticava il suo entourage aiutava la linea di Israele».
Che cosa pensi dei kamikaze?
«Compiono un atto criminale e sono una risposta sbagliata. I problemi esistono e sono grandi, ma non si risponde con l’orrore».
Eroi o assassini?
«Eroi no di sicuro».
In Iraq si distingue fra resistenti e terroristi.
«Quando c’era la guerra lavoravo 24 ore su 24, non dormivo e vedevo tutti i filmati più osceni, bambini maciullati dai bombardamenti, massacrati dalle mine. Poi vedevo un attacco di un razzo fatto da un gruppo di guerriglieri e sentivo i media che dicevano “attentato terroristico”. Io non saprò mai definire che cosa è e che cosa non è un attentato. Ma se dei bambini vengono colpiti in un modo indiscriminato, questo è un atto incivile e criminale».
Sul tuo sito scrivi di tutto ma non hai scritto niente sulla vicenda di Simona Pari e Simona Torretta.
«Stavo facendo un trasloco mostruoso da Bologna a Roma. Non ho avuto tempo».
Una storia così importante. Parliamone oggi. Nella polemica…
«Quale polemica?».
A destra hanno trattato le due volontarie come due cretine, a sinistra le hanno fatte diventare delle eroine.
«Né cretine, né eroine. Hanno fatto una scelta di vita dura. Sono state rapite e sono state liberate. Sono felice. Vorrei sapere di più sul retroscena della liberazione».
Quali sono i giornali che preferisci in Italia?
«Perché dobbiamo parlare solo dell’Italia? Viviamo in un mondo globale».
I nostri lettori non sono così curiosi di sapere se leggi il New York Times o il Washington Post.
«Non ci posso credere».
Allora?
«Repubblica e Corriere della Sera. Però ultimamente noto che sono molto uguali».
Il giornalista che preferisci?
«Kaled Fuhad Allam. Leggo la posta di Paolo Mieli e gli articoli di Igor Man anche se mi sembra troppo paternalista».
Le trasmissioni televisive che ti piacciono?
«Tutte le sere guardo Ferrara. Il sabato Gad Lerner, con grande entusiasmo».
Vedi qualcos’altro oltre la 7?
«Mi piace Corrado Augias, la mattina, sui libri».
Costanzo, Vespa, Socci, Floris?
«Il programma di Floris è giovanile, ritmico. Vespa ha un livello tosto, un salotto importante. Se vuoi sapere la linea di un politico devi guardare Vespa, non i giornali».
Vespa ti invita spesso. Una volta ti ha anche maltrattata.
«Quando dissi che i soldati italiani a Nassirya avevano sparato sulla folla. Avevo visto un filmato di Al Arabya. Vespa disse: “Rula, cerchiamo di essere seri, un ragazzo che spara sulla folla affronta la corte marziale”. Mi difese Luttwack, un falco che più falco non si può. L’aveva visto anche lui».
È vero che sei una specialista di danza del ventre?
«Specialista?».
Insomma, balli la danza del ventre.
«Tu balli il tango?».
Certo.
«Io ballo la danza del ventre. Fa parte della cultura araba. Me l’ha insegnata mia zia. Io l’ho insegnata alla mia bambina. Adesso mi è passata la voglia. Quando vado nei matrimoni e ballo mi ridono dietro».
Consiglieresti a un’italiana di sposare un palestinese?
«La nazionalità non è importante. Se l’anima comunica, alla fine tutto passa. Poi tu adegui la tua cultura al soggetto con il quale stai e lui altrettanto. Le differenze culturali non hanno mai bloccato nessun tipo di rapporto. Altrimenti come spiegheresti questi matrimoni etnici?».
Molti?
«Pochi in Italia, molti fuori».
Appunto.
«Tu non sposeresti una come me?».
Che fai, provochi?
«Trovi che ci sia differenza culturale tra me e te?».
Molti matrimoni misti finiscono male.
«Finiscono male anche quelli fra italiani».
Con conseguenze meno gravi, generalmente.
«Ma chi lo ha detto?».
Sei sicura di conoscere bene quello che succede in Italia?
«Le differenze culturali non sono decisive».
Facciamo un esempio estremo: un donna italiana sposa un uomo poligamo. Nessun problema?
«Ma uno che viene in Italia pensando di sposare un’italiana secondo te ha in testa di sposarne tre? Sarebbe un matto. Il problema serio è quando ci sono i figli. Quando i genitori divorziano si vogliono portare il figlio in Libano o in Siria. Però può succedere anche in Italia. Pensa a una coppia di Bolzano che divorzia e lei se ne va col figlio a Bari. Non è la nazionalità a fare la differenza. È il buon senso, il grado di civiltà di ognuno».
Tu frequenti israeliani?
«Certo. È gente come me, stessi sogni, desideri, ambizioni, frustrazioni, difficoltà».
L’israeliano che ti piace di più?
«Una donna, un’artista e si chiama Ronit Dovrat. Israeliana doc straordinaria: ha una capacità di comprensione superiore alla mia».
Baget Bozzo o Bondi? Cominciamo il gioco della torre.
«Butto Baget Bozzo, è più abile di Bondi, utilizza anche la veste da prete. Con quale faccia tosta può sostenere che lo Spirito Santo sta con Forza Italia?».
Mimun o Mentana?
«Butto Mimun perché Mentana è più elegante».
Mimun non è elegante?
«Mentana cura il dettaglio».
Fede o Rossella? Rossella è elegantissimo.
«Butto Fede perché non è un giornalista super partes. Poi per carità… anche Rossella… Ma Fede è più spudorato».
Bertinotti o Cofferati?
«Salvo Cofferati. Mi piace la sua capacità di mediazione».
Borghezio o Boso?
«Non voglio passare per una antipatica arrogante, ma c’è un limite a tutto».
Giorgino o Marzullo?
«I capelli di Marzullo sono strepitosi. Devo scoprire chi è il suo parrucchiere».
A che cosa saresti disposta a rinunciare pur di vedere risolto il problema della Palestina?
«Io sono di Haifa. Ma sono disposta a non entrarci più, mai più, nonostante sia la terra dei miei nonni, sia la terra dove è sepolta mia madre. Sono disposta a non entrare in quel venti per cento della Palestina storica».
Gli israeliani dicono che vi hanno offerto praticamente tutto.
«Barak aveva fatto la sua offerta strepitosa a fine mandato. Ma prima il suo mandato quanti insediamenti aveva costruito? Centinaia, centinaia e centinaia. Aveva dato tutti i segnali possibili che non era disposto a ritirarsi. Comunque abbiamo sbagliato a non accettare. Dovevamo prendere tutto quello che si poteva prendere».
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