- 7 Ottobre 2004
Quando Massimo D’Alema era segretario dei Ds, e soprattutto quando era presidente del Consiglio, era circondato da personaggi molto potenti che lo indirizzavano, lo aiutavano, lo consigliavano. Era il cosiddetto staff, a capo del quale era Claudio Velardi. Uno di loro era Nicola Rossi, il cinquantaduenne guru dell’economia. Oggi Rossi è deputato. Le sue posizioni sono sempre quelle ultrariformiste. Recentemente ha scandalizato parte della sinistra sostenendo che non tutte le leggi berlusconiane andrebbero cambiate qualora l’Ulivo tornasse al governo.
Ma allora Berlusconi non ha fatto solo sciocchezze.
«Dopo tre anni di centro-destra questo Paese ha perso molti punti di riferimento. Si è sentito dire che tutto andava bene, e poi che tutto andava male. Ha ascoltato previsioni sbagliate e promesse non mantenute. Questo ha diffuso insicurezza. Compito del centro-sinistra dovrebbe essere la rassicurazione. Ma come si può rassicurare la gente promettendo altri cinque anni di cambiamenti radicali? Il centro-sinistra deve avere il coraggio di dire: non aspettatevi che si cambi tutto di nuovo. Faremo quello che è necessario fare».
E cioè?
«Andrebbe cancellata la legge Gasparri che con le regole della concorrenza non c’entra nulla. Andrebbe riscritta la legge sul conflitto d’interessi. Ma io eviterei di toccare quelle cose che incidono sulla vita quotidiana».
Bene. Parola di guru. Perché lei è un guru, vero?
«Nella vita precedente».
Semel guru semper guru. Mica l’hanno sgurato, scusi.
«È vero. Guru è per sempre».
È stato lei a scoprire D’Alema o D’Alema a scoprire lei?
«Subito dopo le elezioni del ’94 Salvatore Biasco e Vincenzo Visco mi chiesero di entrare nel comitato scientifico del Cespe, l’istituto economico dei Ds. Ci si riuniva e si scrivevano dei pezzi di carta che finivano sul tavolo del segretario. Cominciò così».
D’Alema non sembra aver bisogno di consigli.
«Non è vero. D’Alema è uno che ascolta. Non esiste politico che ascolti, come lui, per un’ora, senza nemmeno rispondere al telefonino».
Allora gli serve un consulente all’immagine.
«Non gli hanno giovato le sue esternazioni sui giornalisti. E nemmeno certe sue maniere ruvide».
Troppo sarcastico?
«Il sarcasmo può far male».
Qual era il vostro ruolo a Palazzo Chigi?
«Palazzo Chigi, con D’Alema, è stato l’unico vero tentativo di fare della presidenza del Consiglio un luogo di indirizzo e non di mediazione fra potenti. Fino ad allora il premier si preoccupava semplicemente di mettere d’accordo i ministri. Era un salotto. Il dipartimento per gli affari economici, con il quale lavoravo io, doveva fare in modo che l’operato dei ministeri corrispondesse all’impegno che il governo aveva assunto. E non è casuale che il primo atto di Tremonti, come ministro, sia stato di chiedere a Berlusconi di azzerare questa struttura. Cosa che irresponsabilmente Berlusconi ha accettato».
Le è mai capitato, facendo il guru, di entrare in rotta di collisione?
«No. Il consigliere deve fare lo sforzo di capire che al suo ragionamento pre-politico va necessariamente aggiunto un ragionamento politico».
Il governo di centro-destra continua a dire che tutti i suoi guai sono colpa degli errori del governo del centro-sinistra.
«L’ho scritto in Riformisti per forza: le elezioni la sinistra le ha perse anche per le carenze dell’azione del suo governo. Ma quello attuale ha fatto molto meno di quello che l’ ha preceduto. Pensi alla concorrenza e alle liberalizzazioni. Niente di niente».
Vuole dare lezioni di liberalismo a Berlusconi?
«Berlusconi liberale? Ma vuole scherzare? Berlusconi è un uomo vissuto nella protezione. Adora il monopolio. L’idea della concorrenza lo infastidisce».
Se Berlusconi non è liberale, come mai la destra italiana è caduta in questo abbaglio?
«La destra italiana tanto liberale non lo è mai stata».
Aveva ragione Gloria Buffo quando diceva che lei è un liberista.
«Io non sono un liberista. Ma ho certamente una forte venatura liberale».
Questo è un Paese – lei ha detto spesso – in cui ci si preoccupa molto dei garantiti e poco dei non garantiti.
«Ma il solo parlarne inquieta i sindacati, gli ordini professionali, e tanti altri».
Parliamo del sindacato.
«Il sindacato dimentica che anche i non garantiti sono lavoratori».
«Meno ai padri più ai figli» è stato il suo fortunato slogan. Se vogliamo che i figli abbiano la pensione bisogna che i genitori facciano un passo indietro.
«Mi criticano: le cose che dici non sono insensate però non bisogna mai dire a qualcuno che gli levi qualcosa».
E lei che cosa risponde?
«Che una classe dirigente si misura sulla capacità di porre i problemi nei termini corretti».
Con Cofferati ha mai avuto scontri?
«Avevamo opinioni diverse. Cofferati era il leader della Cgil e doveva difendere i suoi rappresentati. Io gli facevo notare che il Paese aveva problemi che in alcuni casi potevano anche confliggere con quelli dei suoi rappresentati».
Nel sindacato la considerano peggio di Tremonti.
«Lo so, ma non ne vedo le ragioni. Di me non si può dire che non abbia a cuore la giustizia sociale e l’equità. Non è corretto insinuare che io sia di destra».
Se non ci fosse Berlusconi molte persone che oggi militano a sinistra potrebbero starsene tranquillamente nel loro habitat naturale, a destra. Prenda Sartori, prenda Debenedetti.
«È vero che Berlusconi è il tappo d’Italia, in senso metaforico naturalmente. Berlusconi impedisce alla Destra italiana di essere una Destra europea. Però dire: “Ma perché Debenedetti non se ne va via con gli amici suoi?”, è segno di debolezza culturale».
Qualcuno divide oggi la sinistra in riformisti e resistenti.
«Io penso che la sinistra italiana spesso assuma atteggiamenti serenamente, consapevolmente e nobilmente conservatori».
Bertinotti però direbbe che conservatore è lei.
«Perché non vede quante straordinarie potenzialità di un Paese più giusto, più equo e più libero ci sarebbero se si scardinassero alcuni meccanismi».
Come definirebbe il riformismo?
«Realismo nell’analisi e una punta di utopia nella soluzione».
I nemici di D’Alema fanno sempre una brutta fine. Prodi prima e Cofferati dopo. Essere nemici di D’Alema non è salutare.
«D’Alema è una persona molto amata nel partito».
Forse per questo Cofferati ha detto che vorrebbe un congresso dei Ds molto aperto.
«Posso rispondere in termini un po’ provocatori? Quanti altri segretari del partito si sono aperti al contributo di esterni come è accaduto con D’Alema? Io ne sono la prova vivente».
Prova vivente che D’Alema ha aperto ai contributi esterni purché amici suoi.
«No, chi lavorava al Cespe non credo avesseavuto frequentazioni con lui. Molti non avevano fatto politica prima».
Marco Rizzo mi ha detto che D’Alema e Bertinotti hanno stretto un patto di ferro per far fuori Cofferati.
«Le battaglie politiche si perdono e si vincono, dov’è la stranezza? Quella era una battaglia politica vera, autentica, anche sui contenuti non solo sul potere. Ognuno ha usato le armi di cui disponeva. Cofferati l’ha persa».
Perché l’Unità l’attacca?
«Scrivo cose che a volte non piacciono. E spesso irritano. Riformisti per forza ha avuto l’onore di una recensione sovietica. Una sostanziale messa all’indice. Questo libro non si deve leggere».
Berlusconi vuole modernizzare il Paese: è un riformista anche lui?
«Riformista? A Berlusconi va benissimo il mondo com’è. Non ha nessuna voglia di provare a lasciarlo diverso da come lo ha ereditato. Non è cosa sua».
A lei piace qualcuno di destra?
«Che domanda».
Nemmeno tanto strana.
«È il verbo “piacere” che mi suona strano. Diciamo che apprezzo molto la maniera di ragionare di Follini».
Follini potrebbe stare nel centro-sinistra?
«Solo in teoria. Perché è evidente che il suo problema è il futuro della destra di cui fa parte».
O magari del centro che vorrebbe ricomporre. Sa, la storia dell’orgoglio democristiano.
«Alcuni a destra si domandano come può esser il mondo dopo Berlusconi. Riflettono sulle caratteristiche del sistema politico italiano una volta che il fenomeno Berlusconi si sarà esaurito, come sta avvenendo».
C’è qualcuno che non dovrebbe stare a destra?
«Uno che sta dalla parte sbagliata è Renato Brunetta, consigliere economico di Berlusconi. Crede di far parte di un governo liberale. Potrebbe fare molto meglio in un altro tipo di esecutivo».
Accusano D’Alema di non aver affrontato il conflitto d’interessi e di aver fatto la Bicamerale. Due atti di presunzione.
«La Bicamerale l’ho sempre vista come un atto di generosità. Una straordinaria occasione persa. Era sbagliata la valutazione degli obbiettivi dell’avversario. Bisognava capire che Berlusconi non avrebbe mai permesso che andasse in porto».
E il conflitto di interessi?
«Il governo D’Alema fu l’unico momento in cui si studiò la possibilità di dare un assetto diverso al mercato televisivo italiano partendo da una diversa regolamentazione del mercato pubblicitario».
Una cosa è studiare, una cosa è fare una legge.
«Non lo metto in dubbio. Ma se avessimo aperto il mercato pubblicitario l’impatto sarebbe stato infinitamente superiore a una legge sul conflitto d’interessi».
Lei viene descritto in contrapposizione a Visco.
«Su alcune cose abbiamo opinioni diverse, ma resta l’affetto di trent’anni di frequentazione accademica».
Un esempio di opinione diversa?
«Io ero contro l’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. Una tassa non compresa e non comprensibile da parte delle imprese che pagano a prescindere dal profitto che fanno. E poi tutte le scelte relative al Mezzogiorno».
Chi è che non le piace a sinistra?
«Non ho mai amato Pecoraro Scanio. Se io fossi in lui mi domanderei come è possibile che un ministro del centro-sinistra abbia usato parole e comportamenti identici ad un ministro dell’ala più oltranzista del centro-destra. Da Pecoraro Scanio ad Alemanno senza alcun cambiamento».
Gioco della torre. Prodi o Rutelli?
«Non avrei il tempo di buttare nessuno. Prima comincerebbero a menarsi fra loro».
Baget Bozzo o Bondi?
«Baget è un adulatore professionale. Utilizza tutte le armi, compreso l’abito che indossa. Quindi salvo Bondi».
Un po’ voltagabbana.
«Il vero voltagabbana è Ferdinando Adornato. Quando lo ascolto in Parlamento penso a un caso di scissione di personalità. Rimango sbigottito di come non avverta dentro di sé un pizzico di remora».
Pera o Buttiglione?
«Avrei preferito un presidente del Senato più distaccato».
Mastella o Pomicino?
«Mastella è il classico alleato fidato».
Perché lo trattate così male allora?
«È il destino delle persone di frontiera».
Dell’Utri o Previti?
«Previti è la personificazione dell’arroganza. È difficile dimenticare la faccia di Previti quando restava imperterrito in Parlamento nonostante si discutessero provvedimenti che lo riguardavano».
Una faccia percorsa da rughe mediterranee: è l’autodefinizione che si dà Previti sul suo sito.
«Io ricordo il lampo di protervia dei suoi occhi, non le rughe mediterranee».
Mimun o Mentana?
«Il Tg1 lo guardo con stupore».
La cosa che la stupisce di più?
«L’ordine delle notizie. È evidente la costruzione di una trasmissione che intende orientare prima che informare».
Un Tg educativo.
«Educativo proprio no».
Fede o Rossella?
«Fede è impagabile, è straordinario. È un militante».
Gasparri o La Russa?
«Gasparri rappresenta la politica intesa come servizio».
Un complimento.
«Non mi sono spiegato bene: stare a servizio, come maggiordomo».
Perché non va mai a Porta a porta?
«Le presenze a Porta a Porta sono gestite attraverso le segreterie dei partiti e quindi se si parla di economia è giusto che ci vada il responsabile di economia del partito».
Giusto che le presenze a Porta a Porta siamo gestite dalle segreteria dei partiti? Giusto che quando serve un esperto debba venire l’esperto del partito?
«È un po’ la natura di Porta a Porta. Non si dice che è la terza Camera?».
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