- 23 Dicembre 2004
Una vita piena di cose forti. Claudio Scajola, democristiano di Imperia. Sindaco. Incarcerato. Scarcerato con tante scuse. Di nuovo sindaco. Organizzatore di Forza Italia. Ministro dell’Interno. Polemiche sul G8. Polemiche sull’omicidio di Marco Biagi. Polemiche sulla gaffe di Cipro («Marco Biagi era un rompicoglioni»).
Poi la risurrezione. Scajola è di nuovo ai vertici. Anche perché il partito stava soffrendo. Me lo aveva detto anche Gianfranco Miccichè, qualche settimana fa: «Con Bondi e Cicchitto il partito è assente. Io rimpiango Scajola». Spiega Scajola: «Non mi meraviglia perché penso di aver fatto bene a Forza Italia. Però mi sono fatto un sacco di nemici. Purtroppo, quando si fanno delle scelte sulle candidature, non mancano gli scontenti, specie fra gli esclusi».
Ne escluse più di trenta alle politiche.
«Berlusconi, quando perdemmo le elezioni, disse: “Dobbiamo riconquistare il Paese tra 5 anni”. E scelse me per dare una fisionomia organizzativa al suo progetto. Forza Italia era in una crisi di crescita. Avevamo bisogno di parlamentari con un radicamento forte perché la gente, non facendoci vincere nel ’96, aveva detto che non ci riteneva capaci di governare. Dovevamo costruire un partito di persone di forte peso sul territorio. Quando si fecero le liste nel 2001 molti offrirono la loro candidatura. E i posti non bastarono. Saltarono Taradash, Calderisi, Matacena, Maiolo, Matranga, Pilo».
Lei sente la debolezza del centro-destra?
«Sì, molto forte. Ma il peggio è passato. Siamo già in ripresa».
Litigate un po’ troppo.
«Litigavamo su delle pagliuzze ma per un mese è sembrata una guerra mondiale. Le nostre divisioni sono minime ma purtroppo le evidenziamo in maniera spaventosa facendoci un danno enorme. E rischiamo di perdere consenso».
Sembra quasi che sia già cominciato il dopo Berlusconi. Tutti si riposizionano. Sta nascendo una nuova Dc?
«Non esiste il dopo Berlusconi. Forse il problema si porrebbe se decidesse di candidarsi alla presidenza della Repubblica. Chissà, in questo caso Fini potrebbe pensare di prendere il suo posto».
Avete fatto scoppiare la questione gay, Buttiglione, Tremaglia, Fisichella.
«Buttiglione doveva essere più attento nelle sue dichiarazioni. Però anch’io penso che una coppia gay non sia l’ideale per educare dei figli. Ma quello che è grave è che dichiarare idee o valori cristiani, come ha fatto Buttiglione, sia diventato un motivo di discriminazione».
Non ricordo nessuna condanna di Gesù Cristo nei confronti dell’omosessualità.
«Gesù ha insegnato solo ad amare».
In ogni caso la libertà di Buttiglione di dire quello che pensava insieme alla libertà degli altri di dire quello che pensano di lui e di votargli contro.
«Comunque anch’io non penso che una coppia gay possa dare il calore della famiglia».
Anche una coppia sterile. È peccato anche essere sterili?
«Ma io mi riferisco ai ruoli di padre e di madre, di uomo e di donna».
Ma voi non siete per una società liberale?
«Dobbiamo comprendere e aiutare chi è diverso, ma non esaltare le diversità».
Perché no? Cecchi Paone sostiene che così Forza Italia perde il consenso dei giovani.
«Io non credo. L’omosessualità è una legittima scelta individuale, ma non ritengo possa essere un modello educativo».
Se lei avesse un figlio gay?
«Rispetterei le sue scelte e cercherei di capirlo».
Soffrirebbe?
«Certo, moltissimo».
Perché?
«Avrei timore per lui».
Torniamo a Miccichè.
«È molto intelligente. Però talvolta è irruento. Sia lui che io vogliamo bene a Berlusconi. Ma Miccichè aveva una visione di partito diversa dalla mia. Io ritenevo che gli organi dovessero essere eletti, non nominati. Per questo mi sono attirato la diffidenza dei proconsoli di Forza Italia».
Miccichè, quando gli ho chiesto della droga, mi ha detto: «All’inizio ho pensato che fosse una vendetta interna a Forza Italia».
«In politica ci sono tante cattiverie, ma anche tante leggende metropolitane».
Anche lei, per Cipro, pensò a un siluro interno di Forza Italia?
«A pensar male talvolta si indovina, e poi… non è necessario organizzare complotti, basta non difendere un amico in difficoltà».
Lei appartiene a una famiglia di sindaci. Suo padre, suo fratello, lei: tutti sindaci di Imperia. Tutti dc.
«Papà è stato uno dei fondatori della Dc. È morto giovane ed io avevo appena 14 anni. Ma soffrii tremendamente. Per un anno non sono uscito di casa e sono rimasto a leggere le sue carte: iniziò così la mia passione per la politica».
Il suo mito?
«John Kennedy. Uomo di fascino, aperto, che stava con la gente, che ha cambiato il linguaggio. Un po’ come Berlusconi».
Il ’68 come lo ha vissuto?
«Ricordo una manifestazione a Genova sotto la questura dove ho preso una manganellata».
Si è beccato una manganellata da un poliziotto a Genova? Ma questo è uno scoop.
«Un mio amico, poliomielitico, era caduto e si era preso una manganellata. Reagii e presi anch’io una manganellata».
Quando si è accorto che il ’68 non era per lei?
«Poco dopo a un’assemblea studentesca. Vidi subito che non c’era libertà. Solo manipolazione. Solo professionisti della contestazione organizzata».
E si rintanò nella Dc.
«Contestavo anche all’interno della Dc. Contro la politica di occupazione del potere della Dc sanremese, la più potente della Liguria».
E trascurava la laurea.
«Mi dividevo tra lavoro e politica. A 23 anni entrai all’Inadel come impiegato. Nel 1980 fui eletto consigliere comunale di Imperia. Poi sindaco».
Sempre senza laurea.
«Nel 2000, a cena a casa di Berlusconi, si parlava dei ministri del centro-sinistra. Berlusconi commentò: “Non sono neanche laureati”. Io pensai: “Che faccio? Gli rispondo?”. Stetti zitto, mi morsi la lingua, mi mancavano tre esami. Da allora ricominciai a studiare. Studiavo il sabato e la domenica. E ho preso la laurea in giurisprudenza a pieni voti».
I militanti, in genere, dicono che stimano il loro leader. Voi di Forza Italia invece dite che gli volete bene.
«Berlusconi si fa voler bene. All’inizio non mi entusiasmava, troppo televisivo, lo confondevo con la Milano da bere».
Poi cambiò idea.
«Venne ad Imperia. Rimasi incantato».
Venne a conoscere l’uomo che aveva battuto Polo e Ulivo?
«Alle elezioni da sindaco mi ero presentato con una lista civica. Presi il 35 per cento. La sinistra il 33, il Polo il 29».
Al ballottaggio Forza Italia disse di votare per la sinistra. Lei li chiamò «fascisti».
«Lo scrissero quelli di sinistra nei loro volantini, ma era un falso. Pensi che da sindaco, nel 1983, organizzai un convegno su Mussolini. Polemiche, urli, schiamazzi. Non ho mai avuto paura di queste cose».
Di momenti tosti ne ha avuti parecchi. La galera per l’appalto del Casinò, gli incidenti del G8, il caso Biagi.
«Settantadue giorni terribili. Dopo sei anni sono stato prosciolto in istruttoria perché il fatto non sussiste».
Dette del «rompicoglioni» a Marco Biagi.
«Che io potessi sembrare una persona capace di dire e pensare una cosa del genere di uno assassinato è qualcosa che non riuscii a sopportare».
Bondi aveva detto «moralmente inaccettabile»…
«Quando ho capito che non sarei riuscito a cancellare la tragicità di quella frase com’era passata decisi che ci voleva un atto forte, le dimissioni. L’unico modo, non dico di espiazione, ma di rispetto nei confronti della famiglia che soffriva la morte di quest’uomo. Dovevo mettere in gioco me stesso, andarmene via».
Ma quella frase l’aveva detta?
«È difficile spiegare. Eravamo a pranzo con due giornalisti, Gerardo Pelosi, del Sole 24 Ore e Dino Martirano del Corriere. Due ore a tavola, io, mia figlia, loro due, il prefetto Pansa, l’ambasciatore».
Ma rompicoglioni lo disse o non lo disse?
«È vero, l’ho detto. Ma, ovviamente, non perché questa frase fosse la mia opinione su di lui. Mi riferivo al fatto che lui era andato più volte, con insistenza, dai questori, dai prefetti a chiedere la scorta. E aveva ragione. Purtroppo, in un’indagine fatta a Bologna, non erano emersi riscontri alle sue denunce. In un discorso molto articolato, in cui cercavo di spiegare le cose, mi è uscita questa pessima espressione ma bisogna tener conto del lessico che purtroppo a volte si usa. Io non so se a lei è mai successo di dire di uno che è un rompicoglioni… A me qualche volta capitava anche con mio figlio. Capito cosa voglio dire? Una parola senza alcun valore. Qualcuno mi suggerì di smentire: “Ma perché non dici che non è vero che hai detto questa parola?”. Era molto più facile, non crede».
Credo.
«E perché non l’ho fatto?».
Perché non l’ha fatto?
«Perché io l’avevo detta quella parola. Ma era difficile spiegare perché l’avevo detta. E l’unica cosa, quando c’è il maremoto, è andarsene via».
Non vorrei insistere: perfino Bondi disse: «Moralmente inaccettabile».
«Mi addolorarono soprattutto i silenzi».
Maurizio Sacconi, suo compagno di partito, sottosegretario al Welfare, disse: «A Scajola chiediamo o una credibile smentita o che egli rivolga le sue scuse alla moglie e ai figli».
«Ho rivolto subito le mie scuse, ma… sa… conoscendo la politica…».
Quando si nega all’opposizione di esistere si apre una stagione di violenza e di furore ideologico. Sa chi ha detto questa frase? Mica Casarini. L’ha detta lei.
«Sarà forse stato il ’96, quando uscimmo dal Parlamento».
Comunque…
«Per violenza intendevo violenza politica, scontro forte».
Lei ha avuto qualche scontro forte con gli intellettuali di questo Paese. Giorgio Rebuffa ha detto che lei sogna un partito di raccattatori di voti.
«È verissimo. Ho sempre sognato un partito dove si raccolgono i voti, in senso nobile».
Lucio Coletti disse che lei era un sergente di fureria.
«A Coletti dava fastidio ogni forma di organizzazione: la vedeva come limitazione della sua libertà. Ma poi diventammo amici».
Saverio Vertone ha detto che lei non organizzava convegni ma sagre paesane.
«Sagre, convegni, mobilitazioni di piazza: forme di coinvolgimento della gente e quindi di democrazia. Quello di Vertone era il tipico snobismo della sinistra chic. E infatti Vertone è andato con Bertinotti».
Voltagabbana?
«Era con noi e adesso è con Rifondazione comunista. Ne prendo atto».
Vede molti voltagabbana in giro?
«Pochi».
Ne cito uno, Paolo Cirino Pomicino.
«Non era iscritto a Forza Italia».
Sosteneva di essere consigliere del principe.
«Quelli che consigliano il principe non lo dicono mai».
Lei ha detto: «Berlusconi è il sole al cui calore tutti si vogliono scaldare».
«È vero. Berlusconi ha capacità di attrazione molto forti. È geniale. Di persone come Berlusconi ne nascono due in un secolo».
Chi è il secondo?
«John Kennedy».
Insomma è un sole.
«Ha sempre pensieri positivi sulle persone. È proprio un sole che attrae».
Parliamo dei suoi nemici. Gigi Grillo, per esempio, il suo rivale della Liguria di Levante.
«Nessuna inimicizia. Lui era senatore e sottosegretario. Io, più giovane, sono diventato coordinatore di Forza Italia, ho fatto una carriera molto veloce. Posso capire che Grillo non sia rimasto contento».
Lei una volta ha organizzato una contestazione a Imperia contro Scalfaro. Ed è stato fermato da Gianni Letta.
«Scalfaro venne per una visita fugacissima. C’era un clima di contestazione. Letta mi chiese spiegazioni. Io gli dissi: “Non ci sarà nulla contro Scalfaro. Non ci sarà nessuno”. Infatti ai bordi delle strade della città era il deserto».
Aveva organizzato tutto lei.
«Era una contestazione di base, un dissenso democratico».
Di Taormina lei ha detto che è un garantista a tassametro.
«Taormina era stato molto pesante contro Berlusconi».
Disse che doveva liberare l’Italia dalla sua presenza ingombrante.
«Pessima dichiarazione nei confronti di uno che aveva appena ricevuto un avviso di garanzia».
Gioco della torre. De Mita o Mastella?
«Salvo Mastella. De Mita ha un atteggiamento troppo lontano dalla gente».
Bondi o Baget Bozzo?
«Con Baget Bozzo ho una conoscenza più antica. Però, tranne un periodo teso, con Bondi oggi ho un buon rapporto. Francamente non le voglio rispondere».
Quando è stato il periodo teso?
«All’inizio dell’estate. Non mi sentivo coinvolto nelle occasioni di partito, mi sentivo escluso».
Zanicchi o Grawronsky?
«Non mi piace questo gioco».
L’avevo capito.
«È un supplizio. Io sono uno che vuol fare squadra, mi piace che ognuno abbia il suo ruolo. Anche quelli che non mi piacciono».
Che ruolo troverebbe a Pomicino e D’Antoni?
«È difficile averli in squadra».
Finiamola, non la posso vedere in queste condizioni.
«Grazie per la comprensione».
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