- 7 Aprile 2005
Sergio Scalpelli era un dirigente emergente del Pci milanese, direttore della Casa della Cultura. Poi, piano piano, la deriva di destra: sguardo verso Craxi, passaggio nei radicali, attenzione a Berlusconi, creazione del Foglio, assessorato nella giunta Albertini. Da qualche anno la retromarcia: critiche al centro destra, abbandono della politica, qualche giro dalle parti di Formigoni insieme a Tognoli, occhiate sempre più insistenti a sinistra. Voltagabbana? Opportunista? Trasformista? Terzista?
Che cosa sei, Scalpelli?
«Rischio di non essere capito quando dico che alle ultime provinciali ho votato centro sinistra, che alle prossime regionali voterò Formigoni presidente e la lista dell’Ulivo e alle comunali vorrei votare una lista civica collegata al centro sinistra?».
Sei un voltagabbana istantaneo.
«Intuisco velocemente le cose e detesto questo bipolarismo. Ad esempio io sono convinto che l’area vicina alla Compagnia delle Opere è in gravissima sofferenza verso il centro destra. Se nel centro sinistra comandassero Bersani ed Enrico Letta sono pronto a firmare che Comunione e Liberazione avrebbe rapporti più con loro che con la destra».
Non fai della coerenza un mito.
«Io sono uno che cambia idea e non lo nega. Ma ho sempre fatto il tifo per quello che veniva chiamato Partito Democratico. Dove lo vedo, vado».
Forza Italia l’hai presa per un possibile «Partito Democratico»?
«La fase di Forza Italia è l’unica vera parentesi di rottura rispetto a questa idea. Ma va considerato che erano gli anni della deriva forcaiola e giustizialista di quasi tutta la sinistra».
Pino Corrias ti ha definito «uomo dalle molte vite e dalle molte parole»… «un grande slalom tra abiure e conversioni».
«Non ho mai negato il mio passato. Non ho mai insultato i miei vecchi compagni».
I tuoi erano comunisti?
«Stracomunisti. Ho vissuto perfino alcuni anni a Berlino Est dove mio padre era corrispondente dell’Unità. Poi sono tornato in Italia, in tempo per le superiori. Per qualche mese Lotta Continua, poi Fgci».
Incidenti?
«Scontri con la sinistra extraparlamentare molti. La Fgci era la destra del movimento degli studenti a Milano. Comunisti contro il resto del mondo. Ma ricordo anche risse violentissime tra Movimento Studentesco e Avanguardia Operaia».
Come se si prendessero a sprangate Bertinotti e Diliberto.
«Con centinaia di enormi chiavi inglesi, le Hazen 36, si massacravano a sinistra in un clima di intolleranza incredibile».
Nella Fgci segretario era Massimo D’Alema.
«Non gli ero simpatico. Io ero molto rispettoso della sua fredda cerebralità. Pur avendo 25 anni era supponente come adesso. Una volta Radio Popolare mi fece un’intervista sulla droga. Io cominciai a scherzare sul fatto che la sera prima mi ero fatto una canna insieme a Chicco Testa sparlando del gruppo dirigente del Pci, prova che gli spinelli non facevano male. Il giorno dopo D’Alema mi mandò un biglietto al vetriolo e mi fece nero».
Come ha fatto un comunista a diventare liberale?
«Ho diretto per un decennio la Casa della Cultura invitando i filosofi quarantenni di allora, Giulio Giorello, Salvatore Veca, Massimo Cacciari, Salvatore Natoli. E ho visto sgretolarsi il sistema di riferimenti culturali del Pci mentre i germi liberali penetravano nella cultura politica della sinistra».
Non sei passato attraverso il Psi.
«No, ma a me piaceva molto Craxi. L’idea che un piccolo partito semimorto, grazie al genio di Bettino, riuscisse a cambiare le carte in tavola della politica italiana, mi affascinava».
I craxiani sono un movimento carsico. C’erano, erano molti, sono scomparsi, sono riemersi…
«Non era opportunismo: ricordo la caccia alle streghe e il terrore giacobino. Mi colpisce però che Giuliano Amato, uomo di assoluta raffinatezza politica, abbia rifiutato di spendersi. Non ha voluto vedere lontano. Gianni De Michelis lo ha fatto ed è tornato ad avere un ruolo».
Anche Martelli…
«Il rancore verso Claudio Martelli, soprattutto da parte di Stefania Craxi, è ingiustificato. Può aver fatto degli errori, forse si è anche defilato troppo, ma né più né meno di tanti altri».
La federazione milanese del Pci, la sua componente «migliorista», fu indagata ai tempi di Mani Pulite.
«Io ero perfettamente cosciente che il partito non si potesse mantenere con le feste dell’Unità, le lotterie e le salamelle. Ma ero convinto che parte dei finanziamenti arrivassero al partito attraverso il sistema delle cooperative e qualche volta direttamente dalle imprese e poi venissero distribuiti alle componenti e alle correnti».
Quindi miglioristi innocenti…
«Si voleva scaricare tutta la vicenda giudiziaria su di loro. Ma non è credibile che una componente del partito attingesse a finanziamenti illeciti senza che l’insieme del gruppo dirigente ne fosse consapevole».
Vicky Festa mi ha detto: «Non sono sicuro che sui piani regolatori e sulle cose che si facevano negli anni Sessanta-Settanta non vi fosse un contributo di imprenditori che ricevevano un’attenzione speciale da parte dei comunisti». In poche parole: mazzette.
«In quegli anni non c’ero. Ma le imprese che costruivano molto erano le cooperative. Che una cooperativa desse un contributo alla sezione di un partito poteva sembrare lecito».
Però c’eri quando si pubblicava il Moderno.
«Il Moderno conteneva un sacco di cose interessanti».
Conteneva anche un sacco di pubblicità della Fininvest. Festa mi ha detto: «Non escludo che la Fininvest si aspettasse una certa attenzione».
«Il Moderno si collocava come linea culturale sullo sviluppismo industrialista. Che la Fininvest ci desse un po’ di pubblicità non mi sembrava strano».
La parentesi radicale?
«Era evidente il disfacimento dell’elettorato laico socialista. Io immaginavo che Pannella potesse essere il punto di aggregazione di quell’area. Purtroppo a Pannella ha sempre dato fastidio l’idea di avere un partito sopra il 2,5%. Lui odia fare i conti con gruppi dirigenti, correnti, elezioni locali».
E l’idea del Foglio?
«Parlando con il mio amico Beppe Benvenuto ci venne l’idea di un giornale liberal socialista. Un foglio, due pagine. Ne parlammo con Vicky Festa che disse: ci vuole Ferrara. Giuliano si appassionò subito. Per finanziarci avevamo bisogno di un miliardo di lire, venti imprenditori da 50 milioni. Chiedemmo una mano a Marcello Dell’Utri, senza risultati. Così ci appoggiammo a Sergio Zuncheddu. Venti giorni dopo l’uscita del giornale arrivò una telefonata di Veronica Berlusconi. Il giornale le piaceva molto e voleva entrare anche lei».
Vuoi che ci creda?
«Tutti pensano che sia una balla. Ma se Berlusconi avesse voluto fare un piacere a Ferrara lo avrebbe fatto subito».
Frequenti la signora?
«Pochissimo e mi dispiace perché sono un suo estimatore. È una donna di assoluta qualità».
Il Foglio usufruì del finanziamento pubblico.
«Giuliano per quasi due anni non ne volle sapere. Preferiva stare autonomamente sul mercato. Poi si è reso conto che i piccoli giornali, come gli enti lirici, senza sostegno non ce la fanno».
E così Marcello Pera e Marco Boato fecero finta di fondare un gruppo che adottava il Foglio. Non vi seccava questo imbroglio?
«Era un’incoerenza, ma quello che contava per me era la qualità, l’autorevolezza».
Ad un certo punto ti è ripresa la voglia della politica.
«Assessore allo sport della giunta Albertini».
La Cittadella dello Sport, la Fabbrica del Vapore, la Fondazione Leoncavallo. Molto impegno ma niente di tangibile.
«La Scarioni a Niguarda, una bellissima piscina degli anni Sessanta, rimessa a nuovo. La cosa più divertente che ho fatto è stata la Festa della Musica sul modello di quella di Parigi: centinaia di ragazzi suonarono per strada nei giorni del solstizio d’estate. E il Leoncavallo è completamente integrato nella vita della città».
Con Albertini qualche dissidio. Sul Gay Pride…
«Da anni il comune dava il patrocinio al Gay Pride. Albertini lo negò».
Lo stesso Albertini che si faceva fotografare in mutande di cachemire?
«Albertini non è un bacchettone. Ma dovette assecondare gli umori conservatori della coalizione».
Una volta Albertini scoprì che tu, Lupi e Casero avevate rapporti privilegiati con la stampa. E vi fece firmare un impegno alla riservatezza. Lo ricordi?
«Certo che lo ricordo».
Ricordi anche che mentre firmavi stavi al telefonino?
«Certo che lo ricordo».
Ricordi anche che entrò il capo ufficio stampa con in mano la notizia Ansa che avevate firmato il patto di riservatezza?
«Ricordo anche questo».
Eri tu lo spione.
«Io, Lupi e Casero eravamo piuttosto abili a gestire i rapporti con la stampa».
Albertini ti «sconsigliò» di andare da Craxi ad Hammamet.
«Mi disse con schiettezza che non era opportuno».
Craxi era un latitante.
«Craxi era un esule. Da lì a sei mesi è morto. Io gli volevo bene».
Dopo l’assessorato di nuovo manager. Non sei costante. Amore e disamore.
«Sono nuovo ogni volta».
E adesso sei qui, disponibile all’avventura di un grande Partito Democratico.
«Potrebbe recuperare tutti quelli che hanno scelto Forza Italia come bene rifugio».
Ti sei iscritto a Forza Italia?
«Quando ero assessore mi hanno chiesto un contributo, 300 mila lire all’anno, e mi hanno mandato la tessera».
Con 300 mila lire non avresti diritto di andare a pranzo con Berlusconi, e nemmeno con Bondi, secondo le tariffe vigenti. E delle partite del Milan in tribuna d’onore non se ne parla proprio.
«Io sono un interista sfegatato».
Puoi sempre diventare milanista come ha fatto Fede.
«Io i milanisti li detesto».
Hai detto di essere uscito da Forza Italia perché Berlusconi è stato incapace di creare una classe dirigente.
«Berlusconi è del tutto disinteressato al ceto politico di Forza Italia. Lui pensa che Forza Italia sia un comitato elettorale. Se dipendesse da lui Forza Italia esisterebbe solo l’anno delle elezioni».
Hai mai frequentato Berlusconi?
«L’ho conosciuto facendo il Foglio. Quando andavo a trovare Veronica qualche volta c’era anche lui».
Che impressione ti ha fatto?
«È una persona simpaticissima, piacevolissima, intelligentissima. E fortunatissima. Basta pensare all’imbarazzante sequela di culo che ha il Milan. È uno che ascolta molto, si informa. Purtroppo lascia molto spazio al servilismo».
Esempi?
«Quasi tutti i coordinatori regionali sono adulatori, persone che non hanno nessuna autonomia».
Dividiamo il mondo in emergenti e bolliti.
«Emergenti: Walter Veltroni che è destinato ad essere il leader indiscusso del centro-sinistra, Enrico Letta, Nicola Zingaretti, Marco Follini e Bruno Tabacci, uno che si è conquistato un ruolo importante nella vita politica e lo manterrà. Un bollitone è Folena. E anche Pecoraro Scanio e Paolo Flores D’Arcais: rappresentano sia il pacifismo che il giustizialismo, le cose peggiori che ammorbano la sinistra. E anche Oliviero Diliberto, con la sua saccenza densa di errori e di imprinting comunista. E anche Buttiglione. Uno strabollito è Calderoli. È condannato dalla fisiognomica».
Secondo te è voltagabbana uno che è passato dal Pci alla presidenza della Compagnia delle Opere?
«Massimo Ferlini è come fosse mio fratello. Abbiamo percorso strade simili. Ma sono molto più voltagabbana io. Massimo è assolutamente lineare. Io sono più teppistello. Massimo è stato nel Pci. Poi ha fatto la sua attività professionale e in virtù dell’amicizia con Antonio Intiglietta è entrato nella Compagnia delle Opere fino a diventarne presidente. Ma sempre sottolineando il suo ateismo. Tutti sanno che Massimo è un non credente. È l’unico ateo dalle parti di Cl».
Hai trovato molta democrazia interna in Forza Italia?
«Zero. Ma non ci metto neanche una briciola di giudizio morale. Forza Italia è il partito personale di Silvio Berlusconi. Se l’è immaginato e configurato lui. Perfino il nome ha inventato. E l’inno. La democrazia interna è un orpello del tutto inutile. Forza Italia è una proprietà di Berlusconi».
E quando, Dio non voglia, se ne andrà?
«Se volesse lasciare al Paese un partito erede della tradizione del moderatismo italiano, allora dovrebbe attrezzare Forza Italia per una vita democratica. Però questa cosa neanche se la sogna».
A lui non frega niente che Forza Italia sopravviva alla sua morte?
«È l’ultimo dei suoi pensieri».
Gioco della torre. Guzzanti o Adornato?
«Ho una vecchia amicizia con Adornato. Me lo ricordo direttore di Città Futura».
Quando era di sinistra spinta?
«Io al confronto ero ai limiti del fascismo».
Bondi o Baget Bozzo?
«Butto Baget Bozzo. È solido teologicamente, ma datato politicamente».
Dire che dietro la nascita di Forza Italia c’è lo Spirito Santo è attribuibile alla solidità teologica?
«È attribuibile alla senilità».
È più adulatore Bondi o Schifani?
«Io voglio molto bene a Bondi. Lui voleva espiare la sua esperienza comunista e vede in Berlusconi l’uomo che lo ha salvato. Schifani è un caso imbarazzante. Ci sono due adulazioni, una dolce e positiva, di Bondi, e una reale e forte, di Schifani».
Santanchè o Mussolini?
«La Mussolini è il vuoto pneumatico. La metterei fra le bollite».
Buttiglione, Tremaglia o Fisichella?
«Se il tema sono i gay, butto Tremaglia e Fisichella. Buttiglione è stato ingenuo, gli altri intolleranti».
Taormina o Di Pietro?
«Butto Di Pietro. Come giudice ha fatto gravi danni. Come politico è uno strabollito».
Nei tuoi prossimi movimenti escluderesti di approdare ai Ds?
«Vincenzo Vita mi ha detto: “Il prossimo giro torni con noi”. Io credo di no. Però non sarebbe uno scandalo»
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