- 11 Maggio 2006
Secondo una scuola di pensiero con un certo seguito in Italia, i giudici sono antropologicamente diversi. Davanti al più famoso arbitro del mondo, Pierluigi Collina, viene spontaneo allargare il discorso. Lui che ha arbitrato finali di Mondiali, di Olimpiadi, di Champion League, lui che ha posto termine alla sua carriera dopo 240 partite di serie A, lui che questo giugno ci farà compagnia durante i Mondiali in Germania commentando le partite per Sky, pensa che gli arbitri siano antropologicamente diversi? «No», spiega. «Ma hanno delle caratteristiche particolari…».
Un pizzico di follia?
«Senza un pizzico di follia non ci si mette a rischio in maniera così elevata».
Rischio fisico?
«No, mi riferisco alla sperequazione che c’è fra gli strumenti che ha per giudicare e quelli con cui sarà giudicato. Ci vuole coraggio ad entrare in campo con 20 telecamere che valutano le sue decisioni».
Luogo comune: l’arbitro è un frustrato. Va in campo per rifarsi delle umiliazioni di tutti i giorni.
«Appunto: luogo comune. Mi sento di escluderlo in assoluto».
Altri luoghi comuni?
«L’arbitro migliore è quello che non si nota. Banalità spaventosa. Non si nota un signore che dà rigori, espelle, annulla i gol? L’importante è che le decisioni siano corrette».
Lei si noterebbe ugualmente. Il suo aspetto fisico, la sua gestualità…
«È un modo di comunicare. Di farsi capire. Spesso i giocatori non accettano una decisione perché non la comprendono. Bisogna avere dialogo con loro, anche poche parole. Non è male farsi capire nella loro lingua».
Usa il «tu» con i calciatori?
«Quasi con tutti. Sono anni che ci incontriamo».
Una volta un giocatore del Chelsea, Danny Wise, le dette una pacca sul sedere.
«Un gesto amichevole di simpatia e di stima, fra calciatori si usa».
L’arbitro deve essere saggio?
«Saggio è chi pensa. L’arbitro non può essere saggio. Deve essere impulsivo. Deve decidere in tre decimi di secondo».
A volte l’arbitro corregge un proprio errore in seguito…
«È la cosa peggiore. Compensare un errore con un nuovo errore. Se arrivo tardi a un appuntamento con mia moglie, le porto un mazzo di fiori. L’arbitro non può. Se sbaglia deve dimenticare l’errore e andare avanti come niente fosse».
Esiste l’arbitraggio all’inglese, all’italiana?
«Non dovrebbe esistere. Però il modo di arbitrare deve essere adeguato alla partita. Se io arbitro due squadre del nord Europa, il cui gioco è fatto di contatti fisici, non posso arbitrare nella stessa maniera nella quale arbitrerei due squadre latine. Creerei confusione nei giocatori».
E fra una squadra inglese e una latina?
«La difficoltà per un arbitro è appunto quando si mischiano le culture calcistiche. Deve essere molto bravo…».
Tra le caratteristiche dell’arbitro lei non mi ha detto l’onestà.
«Lo do per scontato».
Il calcio non è immune da casi di corruzione.
«Non per quanto riguarda gli arbitri».
Ricordo polemiche sui dirigenti che accoglievano gli arbitri con regali ed altro.
«Io ho arbitrato 240 partite di serie A e non mi è mai successo nulla del genere».
Lei ha confessato di essere stato tifoso della Lazio.
«Io ho solo detto che a 14 anni avevo una simpatia per la Lazio».
Perché lo ha raccontato?
«Sono andato a tenere una lezione all’università di Parma. Uno degli studenti mi ha chiesto: “Lei da ragazzino faceva il tifo?”. Dopo aver parlato per un’ora dei valori dello sport potevo dare una risposta reticente? Da ragazzo giocavo da libero e uno dei più bravi era Wilson. Da qui la simpatia per la Lazio. E, invece, il giorno dopo uscì sui giornali che io avevo addirittura confessato di fare il tifo per la Lazio».
E molti, a Torino, ricordarono Juventus-Perugia, da lei arbitrata, che consegnò lo scudetto alla Lazio, all’ultima giornata.
«C’è sempre qualcuno pronto a strumentalizzare, dimenticando che le prime dieci partite in serie A in cui ho arbitrato la Lazio, la Lazio non ha mai vinto. Vogliamo arbitri che non abbiano fatto il tifo da bambini? Importiamoli da Marte».
Quanto guadagna un arbitro?
«Più si arbitra, più si guadagna. In serie A ogni partita 5.164 euro. Al massimo, circa 160 mila euro lordi all’anno».
È tanto o poco?
«Quattro allenamenti la settimana più la preparazione della partita. È un lavoro a tempo pieno».
Cosa vuol dire preparare la partita?
«Ci sono arbitri che preferiscono non sapere niente della partita. È un errore colossale. Io entravo in campo cercando di avere il massimo delle informazioni possibili sui protagonisti».
C’è il rischio di essere prevenuti.
«Preparando bene la partita e conoscendo gli schemi delle squadre, le caratteristiche dei giocatori, si riesce quasi sempre a trovarsi nelle migliori condizioni per giudicare e decidere».
Il giorno dopo, i giornalisti danno il voto all’arbitro.
«Non è una brutta cosa. Chi non accetta il giudizio degli altri limita la possibilità di migliorarsi».
Il voto più alto che ha preso?
«Un dieci, tanti anni fa».
Quanti rigori ha dato nella sua vita?
«Non li ho mai contati. Non vivo il rigore o l’espulsione come gratificazione. L’arbitro non è felice quando espelle un giocatore. L’espulsione è una piccola sconfitta. Non c’è nessuna libido nel tirare fuori il cartellino rosso».
C’è qualche squadra che con lei vince sempre?
«Le squadre turche con me hanno sempre avuto risultati favorevoli. Però la nazionale turca, con me, contro l’Inghilterra ha perso la qualificazione agli europei 2004».
Ai Mondiali un arbitro fa il tifo?
«Il destino di un arbitro in termini di permanenza in un torneo mondiale dipende dai risultati della sua nazionale. Se va avanti, l’arbitro torna a casa».
Se l’Italia vinceva lei era contento perché l’Italia vinceva. Se l’Italia perdeva lei era contento perché poteva arbitrare la finale. A lei andava sempre bene…
«Un po’ come sui mercati finaziari: coprirsi dal rischio. Alle Olimpiadi nel 1996 l’Italia ebbe un cattivo risultato e io arbitrai la finale. Nel 2000, agli Europei, l’Italia andò bene ed io a casa. Nel 2002 l’Italia andò a casa ed io in finale. Ci alternavamo».
Miglior arbitro del mondo per sette anni di seguito, fino al 2003. Che cosa è successo nel 2004?
«Un altro arbitro, Merk, arbitrò la finale dell’Europeo. Chi ha grandi risultati è più visibile e quindi avvantaggiato. Io arrivai secondo».
Lei ha detto: «A volte non mi rendo conto nemmeno di chi abbia segnato».
«Mi interessa vedere se il gol è stato segnato in maniera regolare. Non chi l’ha segnato. Non è il mio compito».
E le classifiche dei cannonieri?
«Le fanno i giornalisti, mica gli arbitri».
Ricorda l’arbitro Moreno?
«Fu un caso clamoroso di fraintendimento. Molti non capirono il suo atteggiamento e lui non capì che il suo atteggiamento non era adeguato ai giocatori. L’arbitro sudamericano non guarda in faccia, ha un atteggiamento di superiorità. Il giocatore italiano è abituato al dialogo con l’arbitro, ad essere ascoltato. Questo al di là degli episodi».
Però ricordiamoli.
«Dette un rigore contro l’Italia. Ma il rigore c’era. Fermò Tommasi che stava per segnare. Il fuorigioco non c’era ma era stato l’assistente ad alzare la bandierina. Poi espulse Totti per doppia ammonizione nei supplementari».
C’era?
«Diciamo di no».
Conserva oggetti in ricordo delle sue partite?
«Ho molte maglie, tra queste quella di Ronaldo nella finale del Mondiale 2002, e qualche pallone».
Non è facile conquistare il pallone alla fine di una partita.
«Alla fine di Brasile-Germania lo volevo assolutamente come ricordo. Temevo che, fischiata la fine qualcuno lo calciasse in tribuna. Cominciai a inseguirlo, ma era tra i piedi di un brasiliano. Cercai di avvisarlo: “Fermati che è finita”. Ma lui non sentiva. Allora non fischiai finché non fui certo che il pallone sarebbe finito nelle mie mani».
Prolungò la partita?
«Solo dieci secondi in più. Aspettai un fallo, presi il pallone e fischiai la fine».
Anche il basket è una sua passione.
«Sono nato a Bologna e tifo per la Fortitudo».
Come andava a scuola?
«Sono stato rimandato una sola volta, in italiano. La professoressa di italiano era di ultrasinistra. Io di destra. Dette un tema su come bisognava risolvere il problema della sicurezza. Presi 4. Il commento fu: “Si sente puzza di olio di ricino e di manganello”».
Per chi ha votato alle ultime elezioni?
«Per la destra».
Non è andata molto bene.
«Avrei preferito vincesse il centro destra, ovviamente».
Secondo lei perché ha perso?
«Perché ha preso meno voti».
Sembra una risposta banale. Ma è un passo avanti rispetto a Bondi.
«È una tendenza in Europa: vince chi è all’opposizione».
Lei è calvo, come Galliani, Velardi, Rondolino…
«La mia calvizie è diversa dalla loro. Ed è quella di chi soffre di alopecia. Sono molto solidale con chi ha lo stesso problema, soprattutto con i bambini che hanno difficoltà ad accettarsi e nascondono la calvizie per evitare la crudeltà dei coetanei. Sono contento di mandar loro il messaggio che senza capelli si può aver successo ed essere felici».
Durante la premiazione di un Oscar del calcio, alcuni anni fa, lei si arrabbiò con Gene Gnocchi che la prendeva in giro per la sua mancanza di capelli. Lei se ne andò piantandolo in asso.
«Non ho abbastanza senso dell’unorismo su questo argomento».
Lei ha fatto anche una sfilata di moda.
«Non ho sfilato. Avevo appena arbitrato la finale dei Mondiali. Laura Biagiotti mi chiese di partecipare alla serata della moda. Io discesi la scalinata di Piazza di Spagna e basta. Completo nero, elegante».
Non era un top model…
«Certamente no».
Pubblicità ne ha fatta tanta. Lorenz, Findus, Telepiù, Adidas, Diadora, Gorgonzola, Mc Donald’s, Conto Arancio.
«È bello che gli arbitri non vengano più vissuti come un male necessario ma come qualcosa di positivo».
Poi, sull’Opel Vectra è arrivato il patatrac. E lei si è dimesso. L’Opel, sponsor del Milan e dell’arbitro Collina…
«Non dell’arbitro Collina. Io ho solo partecipato a una campagna pubblicitaria come avevo fatto altre volte e sempre seguendo le procedure».
Diciamo un piccolo conflitto di interessi.
«Ho rispettato le regole. D’altronde ho arbitrato la finale dei mondiali Germania-Brasile in cui la Germania era sponsorizzata Adidas, il Brasile Nike. Io, come tutti gli arbitri, Adidas. Prima della partita Scolari, l’allenatore del Brasile, disse: “Conosco l’arbitro, mi fido di lui”».
Le è mai capitato di segnare involontariamente un gol?
«Mai, se fosse successo avrebbe voluto dire che mi trovavo in una posizione sbagliata».
Nella pubblicità della Diadora lei segna un gol. Di testa.
«Non sa quante volte l’abbiamo girata. Era notte, faceva freddo. Baggio, che doveva battere il calcio d’angolo, aveva paura di farsi male e qualcuno lo tirava con le mani. Andare a colpire nel punto giusto, dove la telecamera era puntata, non era semplice. Dopo una decina di tentativi ce l’abbiamo fatta».
Una volta lei ha elogiato per la correttezza Maldini e Totti. Poi Totti si è esibito nello sputo.
«Non credo che uno debba essere condannato a vita per una cosa che gli capita in una frazione di secondo».
Molte azioni scorrette avvengono in una frazione di secondo. Assolviamo Totti?
«È stato un gesto assolutamente orribile. Però non è giusto ricordarsi di quel gesto per sempre».
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