- 25 Maggio 2006
Da giovane era un campione di basket. Oggi, sessantenne, si è autodefinito «pseudotesoriere» di Romano Prodi con allusione al suo ruolo, in campagna elettorale, di uomo del found raising, grazie a un’amicizia storica col Professore. Nel frattempo è diventato un dirigente sportivo, un grande impresario del settore del catering delle società italiane all’estero e il marito di Chiara Boni, la stilista. Angelo Rovati, che in questi giorni è stato cooptato nella compagine governativa come responsabile della segreteria tecnica del presidente del Consiglio, circa un anno fa si è guadagnato i grandi titoli quando entrò in polemica con il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti. Reclamava dai partiti dell’Ulivo i soldi per la campagna di Prodi. Sposetti perse la testa e gli dette del «cane». E disse che i soldi glieli aveva già dati. Rovati mantenne la calma ed ottenne i soldi. Lo pseudotesoriere aveva vinto.
È vero che te li aveva già dati?
«Certo che me li aveva dati. Ma erano altri soldi: i rimborsi per le precedenti europee. Quella volta si trattava di stabilire le spese e i finanziamenti per le politiche. In realtà era un momento di tensione. Era in ballo il rapporto fra Ulivo e partiti».
Aldo Cazzullo ti definì gigante buono, ma non gigante fesso.
«Non sono per niente cattivo».
Intervenne Gad Lerner con un articolo in cui accusava Sposetti di essere il vero padrone dei Ds…
«A parte tutto io credo che Sposetti sappia far bene di conto e sia anche una persona molto per bene».
Quanto è costata a Prodi questa vittoria?
«Cinque milioni di euro: un milione ed otto per le radio, il resto per l’organizzazione, il Tir giallo, l’album con le figurine Panini di Altan, i giornali, le primarie…».
Dove avete preso cinque milioni di euro?
«Tre milioni e mezzo ce li hanno dati i partiti. Il resto sono finanziamenti privati. Gente che ha dato anche 100 mila euro».
Avendo in cambio che cosa?
«Niente. Pensano che lo sforzo di Prodi meriti aiuto. Più che finanziare la politica hanno finanziato l’amico».
Poi c’erano le cene…
«Una quindicina. Ma non le condividevo del tutto. Che senso ha chiedere 500-1000 euro a tre mila persone che vengono a vedere Prodi che alla fine al massimo gli stringe la mano?».
La faccenda Unipol vi ha messo in difficoltà.
«Posso capire che ci siano delle critiche su operazioni di una cooperativa, ma è senza senso attaccare tutto il sistema come ha fatto Berlusconi. Non è che le cooperative all’improvviso siano diventate il cane rabbioso dell’economia italiana».
Però le telefonate di Fassino e di D’Alema…
«Come succede spesso con un amico si pecca di eccesso di confidenza».
Anche tu sei stato intercettato. Con Ricucci.
«Ricucci continuava a far arrivare a Romano dei segnali. Si agitava molto. Voleva incontrarlo a tutti i costi. Prodi non ne voleva sapere. Allora sono andato io a vedere cosa voleva».
Che cosa voleva?
«Disse che gli sarebbe piaciuto spiegare a Prodi quel che stava facendo. Gli dissi che non doveva spiegare niente, perché Prodi non poteva dirgli niente, né dargli nessuna protezione. Fine».
Che impressione ti ha fatto?
«Mi è subito risultato divertente e mi è sembrato uomo d’affari molto svelto mentalmente. Ha questa maniera di esprimersi esilarante, con battute che ti lasciano assolutamente basito».
Tipo il lanzichenecco?
«Della Valle lo definì il lanzichenecco della finanza. A me Ricucci disse irritato: “Lanzinechecco a me che stò con la Falchi?”».
E poi?
«Mi disse: “Io lavoro 22 ore al giorno. Il mio è un lavoro a 750 gradi”».
Poi?
«Si lamentò che c’era un pregiudizio negativo nei suoi confronti. Che lui faceva quello che fanno tutti. Mi disse: “Ma perché io nun sò trasparente e l’artri sò trasparenti? In Lussemburgo, trasparenti e non trasparenti stamo tutti nella stessa palazzina, ”».
Poi vi siete parlati al telefono.
«Dopo due giorni m’ha chiamato e m’ha detto: “Dottò, Profumo m’ha mandato ’na lettera e m’ha chiesto de rientrà coi sordi. A me che me frega? Io rientro pure, nun c’è probblema. Ma Profumo è un prodiano de fero. Se lei potesse dije quarcosa”. Io gli ho detto che Profumo non è un prodiano di ferro, è un banchiere che ha simpatia per Prodi. E lui: “No, no, Profumo è un prodiano de fero. Vabbé vor dì che rientro”».
È la seconda volta che Prodi batte Berlusconi. Non ti sembra che sia indizio di politica vecchia?
«Prodi e Berlusconi non sono vecchissimi. Berlusconi ha 70 anni, Romano 67. Comunque il nostro è un Paese fatto di vecchi, tutte le istituzioni sono gestite da persone anziane. La nostra è una Repubblica fondata sul lavoro e sulla prostata».
Come passava Prodi le giornate in campagna elettorale?
«Cominciava quasi sempre con una corsetta a Villa Borghese con Daniele De Giovanni, il suo assistente che ci ha dato una grossa mano. Un giorno si è creato una specie di happening. Più di cinquanta persone, una alla volta, si sono unite a loro per il jogging. Una scena da Forrest Gump».
E dopo la corsetta?
«A volte arrivavano Fassino, Rutelli o altri a fare colazione».
Che clima c’era durante la campagna elettorale?
«Ho sempre cercato di sdrammatizzare qualsiasi tensione. In questo mi hanno aiutato i miei trascorsi di sportivo. Lo sport di squadra ti insegna molte cose. A subire, a reagire».
Anche a scherzare?
«Lo scherzo della telefonata è stato il più bello. Erano i giorni dopo la vittoria. Si discuteva se Berlusconi avrebbe telefonato a Prodi. Quando uscì la notizia che la Cassazione aveva approvato il risultato elettorale io ero in macchina e col telefonino lo chiamai fingendo di essere Berlusconi. Tutti si fiondarono nella stanza di Romano, che era a colloquio con la senatrice Taller del Sud Tirolo. Romano le disse: “Cara senatrice, lei assisterà ad un evento solenne della storia della Repubblica”, e attivò il viva voce».
E tu?
«Io feci la voce del Cavaliere e mi complimentai. “Voglio congratularmi con lei”. Romano è rimasto un attimo perplesso, poi ha ringraziato. Allora io ho detto: “Però mi raccomando, le devo chiedere una cosa professore: adesso che ha vinto non mi rovini”. Lui mi ha riconosciuto e mi ha urlato: “Sei uno stronzo! Sei un somaro!”».
Tu avevi già recitato la parte di Berlusconi.
«Quando lo allenavo per i faccia a faccia. Mi ero preparato bene: gli davo del veterocomunista, gli contestavo di aver portato il Paese allo sfascio. Gli dicevo: “Abbiamo messo il poliziotto di quartiere, abbiamo salvato la vita alla gente, abbiamo liberato gli ostaggi…”».
Eri credibile?
«A tal punto che spesso lui si incazzava. Una volta mi disse: “Ma vacci tu al faccia a faccia!”. Una volta è passato Fassino per caso ed è rimasto esterrefatto dalla qualità della mia prestazione. Mi disse: “Non mandatelo in giro perché perderemmo le elezioni”».
Berlusconi che impressione ti ha fatto?
«Non sempre è stato all’altezza della sua fama. Per esempio all’ultima domanda ha risposto per quasi due minuti non guardando la telecamera giusta».
Eri stato più bravo tu?
«Forse più completo. Berlusconi ha dimenticato perfino di rivendicare alcune cose fatte bene, come la riforma del diritto fallimentare».
Prodi era teso?
«Romano ha un sistema nervoso pazzesco. La prima volta è arrivato con 40 minuti di anticipo e nell’attesa si è addormentato. La volta dopo, per evitare che si rilassasse troppo, gli abbiamo fatto prendere tre caffé. In realtà eravamo tutti molto tranquilli. Noi siamo sempre stati molto goliardici e allegri. Se Berlusconi scoprisse come abbiamo vinto queste elezioni gli piglierebbe uno sturbo…».
Tutti attribuiscono all’overdose tv di Berlusconi il suo recupero…
«Berlusconi ha recuperato perché noi abbiamo sbagliato sulle tasse».
Berlusconi diceva anche: «Prodi non conterà nulla. Avrà solo cinque deputati».
«La scelta di Prodi di non essere uomo di partito è vecchia. Secondo lui solo uno al di sopra di tutti riesce a tenere insieme la coalizione. Prodi, secondo me, è esattamente la sintesi di tutti questi riformismi che vuole mettere insieme. Ti rendi conto che la laicità di questo Paese è affidata a uno dei più grandi bigotti italiani?».
I vescovi non lo amano tanto, infatti.
«Nella Chiesa non ci sono solo vescovi».
Una delle giornate più drammatiche è stata quella dell’elezione di Marini al Senato…
«Io sono sempre stato ottimista. Non potevamo perdere. Saremmo stati linciati tutti sulla pubblica piazza».
Ma quei voti finto-segreti, Marini senatore Franco, Franco senatore Marini, per non parlare di Francesco…
«Non hanno dato una bella immagine della coalizione. Ci sono dei giovani che guardano. E vedono uno spettacolo misero e diseducativo. Siamo tutti furbacchioni in Italia».
Come ha commentato Prodi questa sceneggiata?
«All’inizio non l’aveva nemmeno capita. Pensava veramente che Marini si chiamasse così, Francesco detto Franco».
Raccontami la tua vita.
«Sono nato a Monza. Mio padre era il capo dell’ufficio ragioneria del comune. Uno di quelli rigorosi che restituiva il panettone che gli regalavano a Natale e faceva arrabbiare mia madre che lo voleva tenere. Lei faceva la maestra tessitrice e poi aprì la pensione Regina a Gatteo Mare. Pensione completa 4 mila lire al giorno. Era l’imprenditrice di casa. Io ho preso da lei».
Politicamente?
«Tutti democristiani».
Sei stato un giocatore di basket.
«Inevitabile per uno alto 1,94. Ho cominciato a Cantù, poi mi vendettero alla Fortitudo di Bologna».
Prezzo?
«800 mila lire più 50 palloni. Guadagnavo 300 mila lire al mese. Più i premi partita. Non poco».
Hai giocato in nazionale.
«19 presenze. Ero molto cattivo in campo, agonisticamente determinato. Fossi stato meno ribelle avrei potuto fare molto di più».
La tua amicizia con Prodi?
«Un episodio: Prodi era assistente di Andreatta a Legge. Mia moglie Vanna doveva dare Economia, ma non ne capiva nulla e Andreatta la mandava sempre via. Alla quarta volta mi chiese aiuto. Io avevo già conosciuto Prodi, e gli dissi: “Quando è che non c’è Andreatta? Basterebbe un 18 altrimenti Vanna va avanti per anni”. Prodi disse: “Mandala al prossimo appello”. Vanna si presentò ma c’era sempre Andreatta. Disse: “Signora, qui di nuovo? La vedo volentieri”. Poi venne chiamato fuori da qualcuno. Prodi prese la situazione in mano e le fece subito una domanda, tipo “Mi dica qualsiasi cosa che sa”. Quando Andreatta tornò chiese: “Come va?”. E Prodi: “Niente di eccezionale ma un ventuno si può dare”. E Andreatta: “Facciamo diciotto”».
Da allora…
«Abbiamo cominciato a frequentarci».
Tu come hai fatto i soldi?
«Avevo un discreto gruzzolo risparmiato giocando a basket e l’ho investito nella mia impresa di catering. Non hai idea di quanto sia grande questo mercato. Roba da un milione di pasti al giorno».
La tua quota?
«Diciamo cinque mila al giorno, soprattutto in Algeria e Kazakistan».
Eri amico di Gardini.
«Sì. E l’ho presentato a Prodi».
Sulla morte di Gardini che idea ti sei fatta?
«Si è ucciso perché rientrava nel suo carattere di anarchico romagnolo e di grande giocatore. Si è trovato di fronte ad una situazione per lui insostenibile».
E cioè?
«Tutti hanno parlato di Enimont, di Tangentopoli, però il primo grande impatto negativo è stato alla borsa dei cereali di Chicago. Aveva comprato allo scoperto quantità enormi di mais e di cereali, roba da 500 milioni di dollari. Gli americani delle grandi compagnie erano abbastanza incazzati e lui fu costretto a vendere i contratti in perdita. Fece un buco di 300 milioni di dollari. Poi ci fu la storia della benzina verde. Le tre compagnie petrolifere americane lo fecero affondare con una fortissima opera di lobbying sui governi».
Nel basket sei diventato presidente della Lega e hai comprato la Virtus Roma. Eri considerato un rompipalle.
«Io ho una concezione particolare dello sport. Ritengo che non ci si debba fare influenzare dai fuoriclasse. Se si comportavano male non li facevo giocare».
Come presidente della Lega…
«Proposi il campionato europeo. Si incazzarono tutti sostenendo che volevo rovinare lo sport nazionale. Invece lo avrei salvato. Oggi è alla deriva, tutte le squadre sono piene di debiti. Come quelle del calcio».
Che cosa pensi del sistema di potere di Moggi?
«Il calcio è come un malato terminale e medici come Moggi potrebbero accelerarne la fine».
Al posto di Lippi avresti convocato Buffon per la Nazionale?
«No. E al posto di Buffon mi sarei autosospeso».
Rutelli ha perso, Fassino ha perso, D’Alema ha perso, Berlusconi ha perso. Perché nessuno se ne torna mai a casa come succede in tutto il mondo occidentale?
«La politica in Italia è una categoria professionale. Un avvocato che perde una causa non si ritira, fa un’altra causa. Così un politico. Questo è un Paese corporativo».
Si può saltare sul carro del vincitore. Lo farà Follini?
«Ci sono anche persone con una coerenza intellettuale se non ideologica. Sono democristiano e li conosco bene i democristiani. I cinque anni con Berlusconi non li ha cambiati. Uno con il quale mi vedo spesso è il mio amico Bruno Tabacci. Sta dall’altra parte ma condivido tutto quello che dice».
Chi ti piace a destra oltre Follini e Tabacci?
«A me non dispiace nemmeno Berlusconi. Forza Italia e l’Ulivo sono stati comunque due fenomeni innovativi nel panorama della politica italiana».
Chi non ti piace a sinistra?
«Non avrei messo in lista Caruso. Ma apprezzo Luxuria».
Gioco della torre. Mimun o Rossella?
«Rossella è intelligente ma alla fine il suo tg si è rivelato il peggiore. Manipolava la realtà».
Casini o Pera?
«Butto Pera. Quando si parla di voltagabbana tutti pensano ad Adornato. Nel frattempo Pera è passato da Popper al Papa. Casini fino a un certo punto è stato coerente. Poi ha rotto, come i cavalli, è passato dal trotto al galoppo».
Borghezio o Calderoli?
«Calderoli santo subito. Ci ha consegnato la vittoria. Senza di lui avremmo perso. È il nostro eroe».
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