- 31 Agosto 2003
Vanitoso e narcistista. Gianfranco Ferré, 55 anni, architetto per laurea, stilista per carriera, 118 chili portati con grande disinvoltura, 1.520 miliardi di fatturato, 7.800 metri quadrati di sede nel centro di Milano. Sì, è vanitoso e narcisista. Ha un rapporto di grande corrispondenza di affetti con lo specchio. “Sono narcisista perché ho un senso innato del piacere della qualità. Mi guardo spesso allo specchio, senza problemi. Mi piaccio anche se sono fuori della norma. Mi curo. C’è compiacimento in me tutte le volte che vedo la mia immagine”.
Narcisista all’ultimo stadio.
Io sono uno di quelli che ama guardarsi nudo.
E si piace.
Mi piaccio, mi piace la mia carne, mi piace come sono fatto, mi tocco, mi carezzo, mi pizzico, sono soddisfatto di me.
Si piace anche se è fuori della norma. Il fatto di essere grosso non è un problema per lei?
Non è mai stato un problema. Non è che io sia nato grosso. Mi sono ritrovato grosso.
Improvvisamente?
No, ci sono state delle tappe. Prima ho avuto un incidente. Ho rotto tibia, perone e calcagno e sono stato ingessato un anno e mezzo. Poi ho smesso di fumare. Così mi sono irrobustito. D’altra parte nella mia famiglia, da parte di mia madre, c’è una tradizione di uomini robusti.
E da parte di padre?
C’è una tradizione di uomini atletici e belli.
A lei piacciono gli uomini magri?
Non troppo. E’ difficile che io apprezzi uomini troppo magri. Mi piacciono i fisici con una certa solidità.
Lei è stato anche più robusto di adesso.
Ho cambiato il mio genere di alimentazione. Faccio ginnastica.
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Il ’68 aveva un inno. Lo aveva scritto uno studente romano, Paolo Pietrangeli. Era una canzone che si chiamava “Contessa”. Gli studenti la cantavano nelle assemble e nei cortei. Paolo Pietrangeli divenne uno dei simboli della contestazione. Oggi ha 54 anni e lavora per Berlusconi. E’ il regista del “Maurizio Costanzo Show”. Ma contrariamente a molti dei cinquantenni che abbiamo intervistato per questa inchiesta sulla generazione che non sa invecchiare, non è pentito e non ha cambiato idea. E non fa nemmeno parte di quell’ “old boys net” di cui ha parlato Alberto Ronchey. Era del Pci allora ed è di Rifondazione Comunista oggi. Con la sua chitarra continua come allora a girare per le feste popolari senza farsi pagare, o quasi. Per quanto riguarda la vecchiaia, non crede sia un suo problema. “Io mi sento meno anni di quelli che ho”, dice. E non se ne compiace. “Faccio ancora un po’ troppo spesso la Vispa Teresa”.
Finalmente uno che ha fatto il ’68 da protagonista.
Da protagonista ma casualmente. Se non fosse per “Contessa” sarei stato un qualunque studente del movimento.
Eri più famoso di Capanna.
Perché giravo continuamente, andavo dovunque. Ero una specie di volante rossa. Il telefono squillava: “Serve una cantata alla fabbrica tal dei tali”. E io partivo.
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Claudio Martelli, Silvio Berlusconi, Irene Pivetti, Valeria Marini, Ambra, Che Guevara, Massimo D’Alema. Meglio di Zelig. Ogni volta entra nel personaggio, lo viviseziona, lo frulla. Poi lo restituisce ai telespettatori come un clone, più reale del reale ma con le contraddizioni spiattellate senza misericordia. Un’operazione radicale, spietata che Sabina Guzzanti conduce col sorriso sulle labbra. Ora che la sua “Posta del Cuore” è terminata, le chiediamo di fare un bilancio.
La sua è una satira violenta?
No, perché?
Qualcuno lo sostiene.
Violenza è una parola grossa.
Ci sarà pur qualche differenza fra lei e il Bagaglino.
Il Bagaglino non fa satira politica. Spettacolo diverso, pubblico diverso. Più popolare. Può piacere o no, ma non è giusto chiamarla satira.
Lei guarda gli spettacoli del Bagaglino?
No. Come non guardo le trasmissioni televisive di varietà, Frizzi, Carrà, Baudo.
Allora, la satira?
La satira esercita il senso critico basato sulla propria onestà intellettuale. Quando ci sono ammiccamenti vari, non è satira.
E la satira non deve essere cattiva…
No, la satira non deve fare del male. Anzi.
Anzi?
La satira deve fare del bene. A tutti.
Anche alle persone oggetto di satira?
Si, anche a loro.
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Il Grande Provocatore è un anziano prete, don Leonardo Zega, 69 anni, direttore di “Famiglia Cristiana”. Ogni volta che scrive un articolo o risponde alla lettera di un lettore, scatena polemiche. I vescovi lo bacchettano. I bigotti lo denunciano. Gli integralisti gli abbaiano contro. Ma che cosa dice di tanto scandaloso don Zega?
Dice che la gonna lunga non ha mai fatto la donna onesta. Che la masturbazione non è il peccato più grave che possa compiere un ragazzo. Che gli omosessuali hanno diritto al rispetto di tutti. Che i divorziati non devono essere emarginati dalla Chiesa. Che i figli possono andarsene da casa se i genitori hanno comportamenti immorali. Cose semplici. Quasi banali. Scandalose.
Uno dei primi scandali risale all’estate del 1988. “Famiglia Cristiana” pubblicò la pubblicità dell’acqua minerale Sangemini in cui si vedeva un piccolino di otto mesi, paffutello e gongolante mentre forti mani paterne lo lanciavano per aria in uno di quei giochi che fanno impazzire i bambini. Dov’era la provocazione? Nel pistolino del bambino, completamente e scandalosamente nudo. Alle proteste per tanta oscenità don Zega fu perfino costretto a rispondere. Con un’altra massima di buon senso: “Il mondo come Dio l’ha creato è quello in cui non ci si debba vergognare del proprio corpo”.
Perché il buon senso fa scandalo? Quando “Famiglia Cristiana” pubblica un libro di educazione sessuale interviene su “Repubblica” l’arcivescovo Alessandro Maggiolini: “E’ ora di dire basta a questo tipo di editoria. Perché continuare con questa ossessione sessuale? A furia di cancellare tabù, i giovani alla fine crescono ancora più complessati”. Quando “Famiglia Cristiana” si sbilancia a favore dell’Ulivo, il cardinale Silvio Oddi interviene sul “Giornale”: “Un giornale cristiano non può permettersi di dire ciò che vuole senza consultare l’autorità ecclesiastica”.
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Carlo Freccero nel mirino dei cattolici. In una trasmissione di Raidue, “Macao”, Carmelo Bene ha detto che Dio non esiste. Carlo Freccero come al solito al centro delle polemiche, come quando fu cacciato da Berlusconi, come quando se ne andò dalla tv di Stato, come quando fu licenziato dalla tv francese. Il solito provocatore.
Io non sono un provocatore. La provocazione è ben altra cosa. La provocazione la fanno gli artisti. Quello che faccio io è opera di buon senso. Io sono un tradizionalista. Io mi faccio tenerezza per quanto sono alla ricerca della bontà.
Freccero, la prego…
Io faccio una televisione conservatrice.
E gli altri allora?
Non mi faccia parlare. Il mio corpo è pieno di ferite. Mi sembra di essere Indiana Jones. Quello che ho subìto è un indegno martirio. Ma ormai sono vaccinato anche per il martirio.
Le pare cos strano che i cattolici si arrabbino a sentire che Dio non esiste?
E’ stato detto e scritto migliaia di volte. In Italia tutte le idee religiose hanno diritto di esistenza, anche l’ateismo. Prendiamo atto che non è vero. Oggi dobbiamo essere tutti buoni.
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Aldo Biscardi, conduttor11e del “Processo del Lunedi”, si dichiara imbarazzato a parlare delle disgrazie del “rivale” Maurizio Mosca. Ma basta insistere giusto un poco.
“La trasmissione di Mosca Š una delle tante imitazioni della mia. Sono tutti figli di Biscardi, l’ha detto qualcuno. Ma fra tutte le imitazioni del “Processo” questa Š la pi— diretta, a partire dal titolo”.
– Quindi “Processo” e “Appello” sono simili…
“Ma per carita! Posso anche condividere la linea strategica, la scelta di Berlusconi, di puntare sul variet…, sull’ironia, sulla dissacrazione. Mi fa venire i brividi, ma Š una scelta, una linea. Ma adesso se una puntata viene criticata perfino dallo stesso committente, l’editore, vuol dire che sono stati superati tutti i limiti. E quindi significa che l'”Appello” Š solo una imitazione mal riuscita del “Processo””.
– Mosca la invita continuamente…
“Continuamente. E dice anche che io mi faccio pregare. Ma io non voglio confondere le due trasmissioni. Il “Processo” era giudicata una trasmissione fortemente polemica all’inizio, ma non ha mai avuto nulla a che fare con la rissa e col variet…. Non mi presto a questo gioco. La mia trasmissione non ha ballerine, incantatori di serpenti, ipnotizzatori, donne pornografiche, chiappe di fuori. La mia valletta non fa mai vedere pezzi di tette. Quando la Tamburi si fece fotografare nuda per la copetina di “Playboy” io la licenziai su due piedi. E nessuno mi dette del bacchettone”.
– Mosca dice che siete litigiosi voi come sono litigiosi loro…
“La discussione calcistica deve essere appassionata. A volte ci sono situazioni da fioretto, e a volte da sciabolone. Parlare di calcio non vuol dire fare dispute teosofiche tra domenicani e francescani. Ma c’Š differenza tra le nostre sane polemiche e i loro insulti. A me nessuno mi ha mai accusato di becerume. Oggi la critica che fanno a me, semmai, Š di essere troppo ufficiale, troppo di palazzo. Dicono che sono una messa cantata, un officiante del potere”.
– Ormai lei sembra un baronetto inglese. Come fa a condurre un salotto cos educato?
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Una campagna in provincia di Catania, a Lentini. Limoni, aranci, cani che abbaiano. Una mamma, una nonna, uno zio, un cuginetto. Una giornata con Anna Valle, 24 anni, ex Miss Italia, una delle famose “commesse” televisive, vuol dire immergersi nella tradizionale gentilezza siciliana, mangiare gli arancini e i cannoli e andarsene con una borsa piena di agrumi e di dolcetti. Fossero tutte così le interviste!
Che cosa è meglio: il successo o l’amore?
Spero che non mi capiti di dover scegliere.
Le capiterà.
Io sono per l’amore, non so vivere senza, non potrei portare me stessa sul set senza un amore nella vita.
Allora?
A me non interessa il successo, interessa la soddisfazione.
Insomma rinuncerebbe al successo e si terrebbe l’amore.
No.
Come no?
Il mio ideale di uomo è quello che vive della mia soddisfazione personale come io vivo della sua.
Ma è proprio a quelle che la pensano come lei che prima o poi capita l’uomo che la pensa in maniera diversa.
Speriamo di no. A me è capitato di avere dei problemi. Pensi solo al problema dei baci!
Quali baci?
I baci che dai al partner.
Al fidanzato?
Ma no. Al partner sul lavoro. Agli attori.
E lei perché bacia gli attori?
Perché lo richiede il copione.
E il fidanzato è geloso.
Si chiede: che tipo di baci sono?
Ha ragione: che tipo di baci sono?
Sono baci.
Baci bacetti o baci baci?
Sono baci. Io sono sempre sincera con la persona che mi sta accanto. Sono sempre riuscita a fargli capire che i problemi sono meno grandi di quelli che sembrano.
Lei ha mai avuto fidanzati gelosi?
Lorenzo, il mio amore attuale, non è geloso. Ma Gaetano, il mio ragazzo dai 18 ai 20 anni, lo era.
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Era il 1974. Lidia Ravera era una ragazzina torinese piuttosto scapestrata, colta e intraprendente. Aveva 23 anni. Io la assunsi ad “Abc” e la mandai a fare cose orrende nei confessionali di tutta Italia, oppure a sedurre autonomi per conquistare documenti e scoop. Era una brava giornalista ma “Abc” chiuse e Lidia diventò una scrittrice. Prima con “Porci con le ali”, un libro che segnò una generazione, poi con romanzi meno traumatizzanti e rivelatori. Da allora 14 libri, 59 sceneggiature di film, centinia di articoli e una lunga mancanza di frequentazione fra di noi.
Oggi ci rincontriamo nel suo casale di Ansedonia. “Sette” ha appena pubblicato l’ultimo articolo della serie “Maledetta gioventu” nella quale Lidia Ravera, parlando con Claudio Rinaldi e Paolo Mieli, Gherardo Colombo e Fiamma Nirenstein, Barbara Palombelli e Maria Laura Rodotà, Elisabetta Rasy e Giorgio Montefoschi, Giampiero Mughini ed Ernesto Galli della Loggia, Giuliano Ferrara ed Alberto Ronchey, ha tracciato una specie di identikit della generazione che non vuole invecchiare, quella dei baby boomer, i nati tra il 1946 e il 1955, quelli che hanno fatto, o semplicemente hanno guardato, il movimento del ’68. Le faceva da linea guida il suo ultimo libro, “Maledetta gioventù”, appunto, nella quale ha raccontato la storia di un uomo, una donna, due figli e una giovane amante percorsi da opposte pulsioni ma omogenei nel maledire la giovinezza, quella propria e quella degli altri, quella rimpianta o quella dolorosamente vissuta. Gioventu come ricatto, alibi, debolezza, trincea, bene rifugio.
Alla fine delle sue interviste, sono ora io che intervisto lei, per consentirle un riassunto. Meglio, un’analisi, un riordinamento di idee. Aveva cominciato con Alberto Ronchey, un adulto vero, di quelli che non stanno vivendo patetici tempi supplementari (come ha definito Giuliano Ferrara la terza età). Alberto Ronchey che dirigeva la “Stampa” nel ’68, che ha lanciato la definizione di ”old boys net”, per individuare quel gruppo di sessantottini che oggi si spartiscono il potere nel mondo dei mass media appoggiandosi a vicenda – dice Ronchey – a prescindere dalle loro attuali posizioni politiche.
“Old boys net”: quasi a dire una forma di massoneria…
No, è un tipo di legame più fluido. Non è un patto criminoso. E’ una sorta di vecchia affinità.
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- 30 Agosto 2003
Un po’ inventa: scrive gialli e thriller che hanno grande successo in libreria. Un po’ analizza: racconta irrisolti misteri italiani nella sua fortunata serie "Blu Notte" in televisione. Carlo Lucarelli presenta oggi pomeriggio a Lavarone l’ultima sua opera, "Il lato sinistro del cuore", Einaudi editore, raccolta di 53 racconti.
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- 28 Agosto 2003
E’ stata l’unica giornalista italiana "embedded" al seguito dell’esercito americano in Iraq. Causando anche polemiche. E’ giusto che un giornalista segua una guerra praticamente arruolato in uno dei due eserciti? Monica Maggioni sostiene che non c’è tanto da scandalizzarsi. "Io raccontavo quello che volevo". Mezzi soldati e mezzi cronisti? "Vale per gli americani. A volte avevano comportamenti militari". Molti si vantavano di sparare. "Forse qualcuno".
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