- 16 Ottobre 2003
Bertucci, lei è voltagabbana fresco di giornata. Solo qualche mese or sono era con Berlusconi contro Mastella. Oggi è con Mastella contro Berlusconi. Prima governava, adesso si oppone.
«Il più recente, se vogliamo essere precisi, è Acquarone. Dalla Margherita all’Udeur».
Ma sempre all’opposizione.
«Io non ho mai cambiato casacca. Sono sempre stato un cattolico popolare. Nella Democrazia cristiana, in Forza Italia e adesso nella piccola isola moderata di Clemente Mastella. I voltagabbana invece sono i furbastri, gli spregiudicati, quelli che lasciano partiti in crisi per andare ad occupare posti di potere nei partiti di governo. Io ho lasciato il più grande partito italiano, dove ero vicepresidente del gruppo parlamentare, capogruppo in Commissione di vigilanza Rai, presidente della sottocommissione per le tribune d’accesso, e sono andato nel più piccolo partito della opposizione».
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- 4 Ottobre 2003
Grande successo popolare e critici spietati. Aldo Busi è arrivato a dire che sei meno sexy del fantasma di Tina Pica.
"L’hai notato anche tu? Pensa, in tre anni ho avuto più di seicento copertine. Però per Busi c’era un motivo. Voleva farmi una intervista per cui dovevo stare tutto il giorno in un paesino. Io stavo facendo il Bagaglino, ero impegnata tutti i giorni, gli dissi: "Tesoro, non posso". E lui se l’era presa per questo. E divenne una belva furibonda!"
El Pais, dopo la "Bambola" ti ha definito la peggiore attrice mai vista sullo schermo.
"Non è vero. E’ stato riportato da una giornalista in Italia, ma non è vero. El Pais scrisse che il film forse non era il migliore di Bigas Luna".
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- 2 Ottobre 2003
È stato un potente. Ma veramente potente. Gianni De Michelis ha fatto parte di quell’arroganza politica e di quella supponenza partitica che è stata spazzata via dal ciclone Mani Pulite. Al contrario di molti altri non si è nascosto in una tana. Ma non ha nemmeno sgomitato per restare a galla. Ha scelto il basso profilo e adesso lo ritroviamo più magro, meno ballerino, e senza capelli lunghi alla testa di un nuovo velleitario Psi che ha contribuito a fondare.
Eppure avevi detto: giuro che non farò più politica.
«Non ricordo».
Te lo ricordo io, era il 15 novembre 1993.
«Non sono stato l’unico: Giuliano Amato si è presentato in Parlamento e ha detto: “Basta, adesso smetto”».
Perché avevi fatto quel giuramento che non hai mantenuto?
«Erano i momenti peggiori della vicenda Tangentopoli. Non avevo le idee chiare su quello che era successo. Era un periodo intenso di vera confusione mentale».
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- 25 Settembre 2003
Non è che lo conoscessero molti in Italia. Poi scoppiò il fenomeno dell’Uomo Gatto. Poi, quasi incidentalmente, la coda del suo programma, Sarabanda, cominciò a dar fastidio, sovrapponendosi, a Striscia la notizia. E a Mediaset cominciarono ad andare in fibrillazione. Ai piani alti si decise che la cosa non doveva più accadere. E Sarabanda venne mutilata degli ultimi venti minuti, quelli che superavano Striscia. Magnaghi, direttore di Italia 1, se la prese e si dimise. Enrico Papi no. «In questo sono poco artista, vedo l’aspetto commerciale», spiega Enrico. «Diciamo che il mio era un successo poco opportuno, in quel momento».
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- 18 Settembre 2003
Tutto quello che è successo e che sta ancora succedendo nel calcio italiano ha avuto inizio da lui, da Luciano Gaucci, 65 anni, presidente del Perugia, del Catania e della Sambenedettese. Reclami, proteste: alla fine il suo Catania è rimasto in B ma il pandemonio era ormai scatenato. E intervenuto perfino il governo a stabilire promozioni e retrocessioni e l’Italia calcistica è rimasta per molte settimane col fiato sospeso. Perché è così importante il calcio in Italia? Lo spiega lo stesso Gaucci, un florido romano che ha raggiunto il successo e la ricchezza con una impresa di pulizie e che è famoso perché non riesce a tenere a freno la sua esuberanza. «Una volta per dimenticare le amarezze della vita c’era l’osteria», filosofeggia. «Ci si andava a perdere tempo, a incontrare gli amici, a ubriacarsi. Adesso per dimenticare le amarezze della vita non resta che il calcio».
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- 11 Settembre 2003
Questa non è un’intervista. E’ un dibattito sul tema: contano più i genitori o gli amici? E in seconda battuta: il carattere di una persona si forma geneticamente o viene influenzato dall’esempio dei genitori? Partecipano al dibattito Mara Venier (confusionaria, incasinata, vivacissima, spensierata) e sua figlia Elisabetta Ferracini, detta Lisa (precisina, metodica, prudente, pensierosa). Fisicamente sono una identica all’altra. Vedere le foto. Psicologicamente non sembrano nemmeno parenti. Al centro io, il moderatore.
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- 8 Settembre 2003
Se andate sul suo sito Internet (www.marcomorandi.com) lo scoprite piccolino, col viso imbronciato, davanti a un leggìo, alle prese con un violino più grande di lui. E’ Marco, il figlio ormai ventinovenne di Laura Efrikian e Gianni Morandi, oggi sessantenne mito di due o tre generazioni.
«La musica classica è sempre stata di casa da noi. Mio padre studiava contrabbasso. E noi ascoltavamo musica sinfonica».
Tu hai cominciato col violino. Prestissimo.
«A 5 anni. All’ inizio era un gioco. Mi incuriosiva. E mi piaceva la reazione della gente, i parenti che ti chiedevano di suonare e si divertivano a vedere un ragazzino mingherlino che tirava fuori suoni decenti da un violino. Mi gasavo».
Poi hai lasciato.
«Verso i 15 anni cominciai a preferire stare con gli amichetti. Il violino richiede una grande dedizione, anche 4 ore al giorno. La svolta è stato il motorino. Noi abitavamo in campagna, a Tor Lupara, isolati. Appena il motorino mi ha collegato col mondo degli amici, ho mollato il violino».
Le canzoni quando le hai scoperte?
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- 4 Settembre 2003
"D’accordo per l’intervista, ma non voglio fare il gioco della torre". Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione Comunista, non vuole buttare giù nessuno, nemmeno per gioco. "Ho impiegato tanto tempo e tanta fatica per passare dalla categoria del nemico alla categoria dell’avversario", spiega. "Una persona può avere anche idee politiche schifose e repellenti. Ma in un angolo magari conserva qualcosa di interessante. Potrebbe essere pessimo politicamente ma gradevolissimo per prendere un caffè, fare due chiacchiere o giocare a bocce".
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- 31 Agosto 2003
Vanitoso e narcistista. Gianfranco Ferré, 55 anni, architetto per laurea, stilista per carriera, 118 chili portati con grande disinvoltura, 1.520 miliardi di fatturato, 7.800 metri quadrati di sede nel centro di Milano. Sì, è vanitoso e narcisista. Ha un rapporto di grande corrispondenza di affetti con lo specchio. “Sono narcisista perché ho un senso innato del piacere della qualità. Mi guardo spesso allo specchio, senza problemi. Mi piaccio anche se sono fuori della norma. Mi curo. C’è compiacimento in me tutte le volte che vedo la mia immagine”.
Narcisista all’ultimo stadio.
Io sono uno di quelli che ama guardarsi nudo.
E si piace.
Mi piaccio, mi piace la mia carne, mi piace come sono fatto, mi tocco, mi carezzo, mi pizzico, sono soddisfatto di me.
Si piace anche se è fuori della norma. Il fatto di essere grosso non è un problema per lei?
Non è mai stato un problema. Non è che io sia nato grosso. Mi sono ritrovato grosso.
Improvvisamente?
No, ci sono state delle tappe. Prima ho avuto un incidente. Ho rotto tibia, perone e calcagno e sono stato ingessato un anno e mezzo. Poi ho smesso di fumare. Così mi sono irrobustito. D’altra parte nella mia famiglia, da parte di mia madre, c’è una tradizione di uomini robusti.
E da parte di padre?
C’è una tradizione di uomini atletici e belli.
A lei piacciono gli uomini magri?
Non troppo. E’ difficile che io apprezzi uomini troppo magri. Mi piacciono i fisici con una certa solidità.
Lei è stato anche più robusto di adesso.
Ho cambiato il mio genere di alimentazione. Faccio ginnastica.
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Il ’68 aveva un inno. Lo aveva scritto uno studente romano, Paolo Pietrangeli. Era una canzone che si chiamava “Contessa”. Gli studenti la cantavano nelle assemble e nei cortei. Paolo Pietrangeli divenne uno dei simboli della contestazione. Oggi ha 54 anni e lavora per Berlusconi. E’ il regista del “Maurizio Costanzo Show”. Ma contrariamente a molti dei cinquantenni che abbiamo intervistato per questa inchiesta sulla generazione che non sa invecchiare, non è pentito e non ha cambiato idea. E non fa nemmeno parte di quell’ “old boys net” di cui ha parlato Alberto Ronchey. Era del Pci allora ed è di Rifondazione Comunista oggi. Con la sua chitarra continua come allora a girare per le feste popolari senza farsi pagare, o quasi. Per quanto riguarda la vecchiaia, non crede sia un suo problema. “Io mi sento meno anni di quelli che ho”, dice. E non se ne compiace. “Faccio ancora un po’ troppo spesso la Vispa Teresa”.
Finalmente uno che ha fatto il ’68 da protagonista.
Da protagonista ma casualmente. Se non fosse per “Contessa” sarei stato un qualunque studente del movimento.
Eri più famoso di Capanna.
Perché giravo continuamente, andavo dovunque. Ero una specie di volante rossa. Il telefono squillava: “Serve una cantata alla fabbrica tal dei tali”. E io partivo.
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