Pier Luigi Celli - (letta 9.274 volte)

Lo avevano appena licenziato da capo del personale della Rai. Ci incontrammo a Bologna. Poco tempo dopo licenziarono me da direttore di “Cuore”. Una conoscenza nata sulla base di un comune destino di trombati. Ecco perché ci diamo del tu. Parliamo per tre ore all’ultimo piano del palazzone Rai di viale Mazzini, quello imbottito di amianto. Pier Luigi Celli, direttore generale della Rai, fa finta di essere vecchio, di amare la maturità. In realtà ha la grinta e la determinazione di un neonato ben nascosta dietro un mezzo sigaro che mastica in continuazione, un eloquio pacato e sereno, un’aria da filosofo prestato temporaneamente al crudele mondo dei manager. Ha avuto una giornata dura: da fuori arrivavano da giorni echi di governi in crisi; dentro si percepivano agitazione, distinguo, disimpegni . Celli ha chiamato tutto il top management Rai e ha fatto una scenata delle sue. Alla sera lo trovo ancora con la mente e il pensiero rivolti alla riunione chiarificatrice. “In Rai”, dice, “c’è sempre una certa tendenza a leggere in anticipo i segni di cambiamento. Allora ho convocato tutti e ho detto: fa leggermente schifo il modo in cui si cerca di riorientarsi prima ancora che siano cambiate le cose”.

Proprio così hai detto? “Fa leggermente schifo?”

Proprio così.

Ti sei arrabbiato molto?

No. Quelli che cambiano idea mi danno molto fastidio ma li capisco. Quando uno ha paura non c’è niente da fare. Il coraggio non è una virtù in Rai. Molti non lo hanno mai esercitato: sono vissuti in un periodo in cui quello che premiava era la fedeltà, quello che garantiva era l’affiliazione.

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[csf ::: 09:19] [Commenti]
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