Antonio Ghirelli - (letta 7.496 volte)

La miccia l’ha accesa Maria Grazia Bruzzone, giornalista de La Stampa nel libro L’avventurosa storia del Tg in Italia, scrivendo che Antonio Ghirelli era stato fatto direttore del Tg2 su segnalazione di Serenella, la segretaria di Craxi. Ghirelli, accusato di essere innamorato anche fisicamente del leader socialista, ha risposto piccato, con una lettera al Foglio, parlando di spazzatura. A questo punto è intervenuto Don Pancrazio, probabile pseudonimo di Sandro Curzi, su Liberazione. Poche righe, molto carine, che ricordavano per quanto, sostanzialmente, Ghirelli fosse stato un cortigiano di Craxi. Cortigiano: pane per i nostri denti. Piaggeria? Adulazione? Ghirelli leccapiedi del cinghialone? Eccoci qua, davanti al mitico ottantenne che fu direttore di Tuttosport, del Corriere dello sport, del Mondo, del Globo, del Tg2, dell’Avanti!, portavoce di Craxi e di Pertini. «Intanto devo dire che Bettino non era il mio tipo. Non ho niente contro i gay. Ma il mio ideale resta mia moglie e, in subordine, Marilyn Monroe».
Non prenderla alla larga. Era una metafora. «Io ero direttore di un giornale quando Craxi portava i calzoni corti». E questo che vuol dire? «Vuol dire che la mia carriera non si discute. Quando Craxi mi ha fatto direttore del Tg2, sono stato io che ho fatto un piacere a lui, non viceversa».

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Antonio Pennacchi - (letta 19.540 volte)

Antonio Pennacchi pone dei problemi di deontologia. È uno scrittore operaio. Quello che allo Stenditoio, in mezzo al fior fiore dell’intellettualità di sinistra, ha dato una scossa a un sonnacchioso dibattito. Ha cominciato presentandosi come «leninista-marxista-stalinista». Ha proseguito dicendo che «i giudici so’ ‘na massa de fiji de ‘na mignotta». Alle rimostranze del filosofo Vattimo, ha detto: «Ah Vattimo, vedi d’annattela a pijà ‘n der culo». Quindi, dopo avere difeso D’Alema «perché è er mejo che ci avemo», ha concluso: «Tanto lo so che fate come cazzo ve pare». Immaginate il parapiglia. Fratello di Gianni (ex Servire il popolo, giornalista prima della Stampa e adesso del Giornale), fratello anche di Laura (ex sottosegretario al Tesoro con Prodi, diessina così dura da essere considerata la Thatcher Ds), Antonio usa un italiano piuttosto colorito. Che fare? Come tradurre il suo linguaggio in maniera da eliminare rischi di querele e non disturbare i lettori sensibili? Innanzitutto l’ho tradotto quasi tutto in italiano. Poi ho cassato il 99 per cento delle parolacce sostituendole con BIP, capirete perché. Quell’uno per cento che rimane, vi prego, sopportatelo. «Lei lo sa vero che io non sono molto entusiasta che lei sia qui a rompermi i BIP», ha esordito. Me ne vado? «No. Queste cose servono. Uno scrive libri e non se lo fila nessuno. Poi un giorno manda affanculo Vattimo e te vengono a cercà tutti». Pennacchi, mi sembra un po’ agitato. «Sabelli, che pretende?! Ognuno fa il mestiere suo! Lei fa l’intervistatore e io faccio l’intervistato. Avrò il diritto d’esse un po’ agitato, no?». Basta che cominciamo. «Cominciamo».

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Denise Pardo - (letta 13.719 volte)

L’ha chiamata "Affettuosità giornalistiche". È una piccolissima rubrica in cui Denise Pardo, ogni settimana, nella sua pagina dedicata ai mass media sull’Espresso, racconta l’adulazione, spesso incrociata, che alberga fra i giornalisti italiani. "Ma quanto è bravo Tizio!", dice l’Adulatore-Redattore, dimenticando di precisare che Tizio è il suo direttore. "Ma come scrive bene Caio", insiste l’Adulatore-Redattore, dimenticando di ricordare che Caio ha appena scritto la stessa cosa di lui. I lettori, naturalmente, non capiscono che cosa c’è dietro queste "affettuosità". Ma Denise Pardo è lì, pronta a mettere nero su bianco quello che tutti i giornalisti, famosi pettegolieri, continuano a dirsi nei corridoi. E così è diventata una specie di vendicatrice degli inciuci nascosti. Tanto da costringere gli adulatori mascherati a modificare i loro comportamenti per paura di finire sotto la sua lente. Alcuni continuano a farlo ma avvertono. Come fa spesso il Foglio. "Sappiamo che finiremo in "Affettuosità giornalistiche". Ma non possiamo fare a meno di?".

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Sergio Romano - (letta 21.761 volte)

Adulare, lusingare, sviolinare, incensare. Gli italiani lo fanno. E lo fanno bene. Il leccapiedi è una professione, talvolta un hobby. Senza distinzione di censo, di ceto, di posizione sociale. Stare vicino al potente, scodinzolargli attorno, fa godere della luce riflessa. Il potente è il sole, l’adulatore è la luna. Compresi gli intellettuali? Sì, compresi gli intellettuali. Anche loro hanno un buon rapporto con la piaggeria. «È stato più volte detto che l’intellettuale italiano vuole essere sempre alla corte del principe. Ma io credo che ci sia qualcosa di diverso. Gli intellettuali hanno bisogno di sentirsi portatori di un messaggio generale, pensano che la loro sia una missione sacerdotale», spiega Sergio Romano, una volta ambasciatore, oggi editorialista, polemista, saggista.

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Mattia Feltri - (letta 54.483 volte)

Stenio Solinas lo ha inserito in Giganti di carta, un libro che celebra i grandi del giornalismo, accanto a Eugenio Scalfari e ad Alberto Ronchey. Eppure lui, Mattia Feltri, figlio di Vittorio Feltri, è l’ultimo arrivato, uno degli ultimi, nell’affollato e narcisistico mondo della stampa italiana. Ma i complimenti arrivano da tutte le parti. Ferdinando Adornato, su Liberal, lo ha definito «una delle penne più felici del giornalismo italiano». «Mi piace molto pensare che sia vero», si schermisce Mattia. Qualche sospetto di adulazione? «No», dice, «Ma il giudizio mi è sembrato un po’ eccessivo».
Si potrebbe pensare a una forma di «adulazione di sponda», che qualcuno voglia adulare suo padre adulando lui? «Qualche volta l’ho pensato. Ma di sicuro finora è successo il contrario». Cioè? «Che qualcuno ha elogiato me per colpire mio padre. Come ha fatto Barenghi sul Manifesto, scrivendo che io sono bravo, non come mio padre». Leccaculismo strumentale?

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Antonio Di Pietro - (letta 7.278 volte)

È stato per un paio di anni l’uomo più popolare d’Italia. Se ci fossero state elezioni presidenziali a suffragio diretto, avrebbe vinto alla grande. Sui muri di tutta Italia comparivano le scritte: «Forza Di Pietro» e il popolo dei fax inondava le redazioni con messaggi di sostegno. I giornali facevano il tifo per lui. I salotti se lo contendevano. Le televisioni mandavano in diretta i suoi processi e lui diciamolo gigioneggiava. Per la stragrande maggioranza degli italiani era diventato il simbolo di onestà e di moralizzazione. Gli perdonavano anche un italiano imperfetto, una difficoltà ad andare d’accordo con i congiuntivi e modi di dire poco raffinati come «Che ci azzecca» che diventavano in breve un tormentone simpatico e alla moda. Sono bastati pochi anni, meno di dieci, per far scendere Antonio Di Pietro dal piedistallo. Gli adulatori sono scomparsi, le scritte sui muri anche. E alle ultime elezioni non ha nemmeno ottenuto il quorum. È una storia emblematica per capire come funzionano i meccanismi volubili dell’adulazione?

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Clemente Mastella - (letta 5.713 volte)

Con questa intervista al più bersagliato dei voltagabbana si conclude una serie fortunata, cominciata il 24 febbraio 2000. Arrivati a quota 85 abbiamo deciso di chiudere, per lasciare al lettore un po’ di acquolina in bocca. Ma come finire? Facile: intervistando proprio il più citato, il re dei voltagabbana. Eccolo dunque, Clemente Mastella, l’uomo della sinistra democristiana che si è presentato alle elezioni con la destra del Polo e che poi è passato a dare man forte alla sinistra dalemiana e adesso, scontento, si agita facendo pensare che, prima o poi, salterà di nuovo il fossato.

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Renato Mannheimer - (letta 21.825 volte)

I sondaggi: scienza moderna per capire come va il mondo senza dover faticare troppo. Per capire che cosa sta succedendo, e adeguarsi. Per capire che cosa succederà, e prevenire. Una specie di magia. Si chiede un’opinione soltanto a mille persone ma è come se la si fosse chiesta a tutti gli italiani. Renato Mannheimer è uno dei santoni di questa nuova religione che ogni giorno ci dice chi siamo, che cosa facciamo, dove andiamo. Sembra un mago del futuro e invece ha un passato piuttosto particolare. Da giovane era un contestatore, un rivoluzionario, un maoista che militava nel gruppo meno modernista che esistesse tra i sessantottini, Servire il Popolo, una specie di piccola chiesa, guidata da quell’Aldo Brandirali che si era messo perfino in testa di celebrare i «matrimoni del popolo». Per Mannheimer un lungo tragitto, da una specie di medioevo politico all’analisi del presente, alle previsioni del futuro.

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Alessandra Mussolini - (letta 8.736 volte)

Anche i più strenui difensori della libertà di cambiare idea non possono non notare che di questo diritto si fa un certo abuso, a volte. Soprattutto quando cambiano le maggioranze politiche o le egemonie culturali e scoppiano le transumanze. Alla presentazione del libro di Pia Luisa Bianco, Elogio del voltagabbana, Cesare Romiti ha ricordato che per i parlamentari esiste un istituto piuttosto desueto ma ancora apprezzabile nel caso che cambino idea: le dimissioni. Paolo Mieli, per evitare l’uso militare, poliziesco e punitivo della parola «voltagabbana», ha proposto che il cittadino intellettualmente onesto la riservi a coloro che cambiano idea andando verso di lui, evitando di usarla nei riguardi di coloro che da lui si allontanano. Questo perché – ha fatto notare Mieli – voltagabbana è un’arma usata dalla sinistra nei confronti di chi si sposta a destra, mentre chi fa il percorso contrario è un convertito, uno che vivendo nel male ha scoperto finalmente il bene. È vero questo? Sono andato a controllarlo da Alessandra Mussolini, una signora notoriamente di destra, deputato di An, molto poco attenta alla disciplina di partito, pronta a difendere le sue idee con grande decisione, sia che si tratti di menar le mani con la sinistra che con la destra.

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Valerio Morucci - (letta 11.548 volte)

Tre interviste, in queste stesse pagine, in cui oltre che di voltagabbana si è riparlato dei tragici avvenimenti dell’assassinio di Aldo Moro. Prima Lanfranco Pace, l’uomo della trattativa fra socialisti e Brigate rosse, colui che faceva avanti indietro tra Signorile e il duo Faranda-Morucci. Poi Claudio Signorile, il vicepresidente del Psi che si oppose alla linea dura di Dc e Pci. Poi Adriana Faranda che recapitava per le Br le lettere di Moro. Qualche nuovo pezzo di verità: è stato Germano Maccari a uccidere Aldo Moro, erano frequenti gli incontri fra Pace e i brigatisti, i telefoni di Signorile erano sotto controllo, erano state le Br a chiedere il contatto. Non mi restava che andare a parlare con Valerio Morucci. «Su quello che avrebbe detto Maccari a Pace non posso dire molto perché Maccari a me questo racconto non lo ha fatto», dice subito Morucci.

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