- 24 Febbraio 1992
OLBIA – Vittorio Sgarbi non è più sgarbato. Anzi è molto garbato e un po’ preoccupato. "Purtroppo sono diventato simpatico", ammette. Perché "purtroppo"? "Perché l’antipatia è un passaggio di energia. Tiene deste le coscienze. Chiama al confronto. E’ un’accensione di vitalità", dice. Invece la simpatia è piatta e poco creativa. E allora perché è diventato simpatico? "Ma non è colpa mia", si giustifica. "Non sono io che mi sono adattato agli altri, sono gli altri che si sono adattati a me".
Simpatico o antipatico, Vittorio Sgarbi, storico e critico dell’arte, famoso al grande pubblico per le sue intemperanze nelle trasmissioni di Costanzo e di Ferrara, è il fenomeno più divertente ed interessante di queste elezioni nelle quali si presenta per il Partito liberale. Non è sfiorato dal minimo dubbio: il 5 e 6 aprile sarà eletto in tre circoscrizioni, Sicilia, Sardegna e Umbria. Ma è altrettanto certo che in Parlamento non metterà mai piede per non confondersi con le centinaia di peones. Poi, quando sarà varato il governo, diventerà ministro dei Beni culturali. Nessun dubbio. "Perché dovrei avere dubbi? C’è qualcuno che potrebbe farlo meglio di me?"
Egocentrico, presuntuoso, narcisista, ambizioso, esibizionista, Sgarbi affronta questa campagna elettorale come al solito sovrattono. Mentre tutti evitano i comizi, lui li cerca. "Il comizio è morto solo perchè sono morti i politici", dice. "Hanno facce talmente orribili, dicono cose talmente stupide che nessuno va ad ascoltarli. Ma quando parlo io le piazze si riempiono". Clamorosa la campagna di Umbria: nella terra dei comunisti Sgarbi ha fatto 3 mila persone nella Sala dei Notari ("Non si vedevano dai tempi di Mussolini"). Poi 2 mila al Politeama di Terni ("Enrico Manca ne ha fatte 150"). Meglio ancora la campagna di Sicilia: nella terra dei democristiani sono andati in 2 mila ad ascoltarlo a Mazzara del Vallo ("Dove gli iscritti al Pli sono 50 e gli elettori 200"). "Ad Alcamo erano 6 mila le persone in piazza. Nemmeno Andreotti e De Mita insieme ne fanno tanti", dice.
Una sola cosa può veramente offendere Sgarbi: sospettarlo di modestia. "Io sono più grande del Partito liberale", dice al paziente pubblico di Olbia, trecento persone che lo ascoltano sotto la pioggia. Per due ore hanno chiesto ed ottenuto il suo autografo. Pazienti loro e paziente lui. Sui suoi cartoncini elettorali – ne ha fatti stampare 30 mila solo per la Sardegna -, sotto al suo slogan ("Io sono quello che so fare") e accanto ad un dipinto del Maestro di Castelsardo, Sgarbi verga uno dietro l’altro autografi incredibilmente grandi. Per ognuno una dedica. E con ogni persona inizia una conversazione. Il bagno di folla lo esalta, gli dà vitalità. Senza consenso, o meglio senza attenzione, non vive. Se vuoi fargli un orrendo dispetto devi ignorarlo, ma ignorarlo è difficile. La gente lo vuole vedere, toccare. E lui vuole toccare la gente. Sono baci, carezze, sguardi. "Professore lei è più bello che in televisione", gli dicono le vecchiette e lo fanno gongolare. Ai complimenti non sa resistere. "Vittorio sei forte", gli dicono le ragazzine e lo fanno eccitare. "Io sono democristiano ma voto per te", "Io sono comunista ma voto per te". E lui impazzisce di gioia. Il massimo sarebbe che qualcuno gli dicesse: "Io sono liberale ma voto per te". Che è esattamente quello che pensa. "Il Pli vale il 2 per cento. Io valgo il 5 per cento. Ho un contenitore troppo piccolo per me. Tutti i miei voti non c’entrano nel Pli. Ne prenderò 10 mila in Sardegna, 15 mila in Sicilia, e 8 mila in Umbria. Ma se potessi correre da solo farei molti più voti, diciamo 150 mila".
E allora perché ha scelto il piccolo Pli? "Perché è un partito che non ha burocrazia, che non ha capi da rispettare. E contemporaneamente è un partito di governo", spiega la notte in un "Filo diretto" con gli ascoltatori di Teleregione. "Io non voglio fare opposizione. Io devo diventare ministro dei Beni culturali. Ne ho tutti i diritti se finora l’hanno fatto la Bono Parrino e Facchiano. E se sottosegretario è oggi uno come Covatta, uno che rovina le opere d’arte soltanto a guardarle".
Sgarbi vola da un comizio all’altro, da Iglesias a Sassari, da San Sperate a Nuoro, ma non trascura i contatti individuali. Entra nei negozi, saluta tutti, attacca bottoni. Alcune signore gli portano da firmare le loro carte di identità. E lui va in brodo di giuggiole. "Confermo validità eterna, Vittorio Sgarbi", ci scrive sopra. Al ristorante si siede al tavolo dei vicini, pilucca dai loro piatti. Se resta solo o isolato si guarda attorno spaesato alla ricerca di una prossima vittima. Non sta un minuto fermo né un minuto zitto. Si agita come un furetto ma appena sale in macchina si addormenta come un ghiro. Le ragazze se lo divorano con gli occhi e lui, se ne trova di carine, le invita ad unirsi al gruppo. La piccola carovana di auto guidata da Chichito Zuddas, candidato al Senato, si ingrossa ad ogni tappa.
Ma chi le assicura professore che diventerà ministro? "Se non sarà ministro, sarà sottosegretario", spiega. "Come potranno negarmelo visto che con le mie sole forze conquisterò tre seggi? Gli uomini di cultura si presentano sempre nei collegi "sicuri". Strehler, Ginsburg, Lagorio, Paoli. Non vogliono rischiare. E così quando vengono eletti, non contano niente perché non hanno peso nel partito. Io al contrario ho accettato i tre posti più sfigati, tre collegi disperati dove i liberali non hanno mai vinto e dove non vincerebbero mai senza di me".
La giornata elettorale di Sgarbi e della sua carovana non finisce mai. Alle due di notte dopo l’ennesima intervista televisiva, sveglio come un grillo, il professore si guarda attorno con gli occhi spiritati che lo fanno ancora più pallido, e chiede: "Quale paese c’è da conquistare? Non vorrete mica andare a dormire". Ci mancherebbe altro. Si finisce in un piano bar, il Punto d’Incontro, a parlare del suo profitto al ginnasio. E’ uno scoop di "Novella 2000": il giornalista Angelo Aquario e il fotografo Stefano Banfi hanno scovato e fotografato la sua pagella all’istituto Manfredini di Este. Un disastro: il colto ed erudito professore fu rimandato in quattro materie, latino, greco, matematica e ginnastica. Peggio ancora: il rompiballe, il contestatore Sgarbi aveva dieci in condotta.
A dormire si va alle cinque di mattina. Poche ore di sonno e ricomincia la sarabanda di baci, di autografi, di incursioni nei bar. Porta soqquadro anche al comune di Nuoro, dove interrompe una seduta di giunta, in questura, in un centro artigianale, in un asilo. All’Istituto d’Arte non lo vogliono, si oppone il Consiglio d’istituto. Poi è di nuovo comizio. E sono di nuovo i suoi racconti, la sua simpatia per Cossiga, "il più grande rivoluzionario dei nostri giorni", che ha imparato da lui a picconare, a "rompere da dentro", come recita il suo secondo slogan (il terzo è: "Non voglio il voto dei coglioni"). E i pericoli che corre il Pli di non essere più chiamato al governo ("Visto che ormai ci sono io"). E quella volta che è stato accusato di "assenteismo" ("Bisogna lavorare, non scaldare le poltrone"). E quella volta che ha detto "stronza" alla preside-poetessa al Maurizio Costanzo Show. E quella volta che D’Agostino gli dette lo schiaffo all’Istruttoria di Ferrara. E quella volta che augurò la morte al suo "rivale" Zeri.
Sgarbi, oggi lei quanto vale? Per la prima volta lo vedo a disagio. Non perché non voglia parlare di soldi ("Prendo 15 milioni per una conferenza, 25 milioni per una comparsata in televisione") ma probabilmente perché non ci ha mai pensato e gli secca molto essere colto impreparato. Ma è solo un attimo, basta un rapido calcolo, un confronto, un’equazione. "Diciamo due miliardi l’anno".
Lascio l’allegra carovana elettorale al volo, quasi scendessi da un treno in corsa. Sgarbi e compagnia sono diretti al sud per l’ennesimo bagno di folla in una discoteca di Cagliari ed io torno al nord. Nelle orecchie mi risuona ancora la frase detta agli allibiti ma entusiasti spettatori del suo comizio. "Sapete perché dovete votarmi? Perché io non vi rappresenterò. Io rappresenterò solo me stesso. Non andrò a fare le cose che vorrete voi, ma quelle che voglio io. E così sarete sicuri che qualcosa farò". E pensare che prima che Sgarbi accettasse la candidatura, i liberali stavano offrendola a Pamela Prati.
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