- 8 Settembre 2003
Se andate sul suo sito Internet (www.marcomorandi.com) lo scoprite piccolino, col viso imbronciato, davanti a un leggìo, alle prese con un violino più grande di lui. E’ Marco, il figlio ormai ventinovenne di Laura Efrikian e Gianni Morandi, oggi sessantenne mito di due o tre generazioni.
«La musica classica è sempre stata di casa da noi. Mio padre studiava contrabbasso. E noi ascoltavamo musica sinfonica».
Tu hai cominciato col violino. Prestissimo.
«A 5 anni. All’ inizio era un gioco. Mi incuriosiva. E mi piaceva la reazione della gente, i parenti che ti chiedevano di suonare e si divertivano a vedere un ragazzino mingherlino che tirava fuori suoni decenti da un violino. Mi gasavo».
Poi hai lasciato.
«Verso i 15 anni cominciai a preferire stare con gli amichetti. Il violino richiede una grande dedizione, anche 4 ore al giorno. La svolta è stato il motorino. Noi abitavamo in campagna, a Tor Lupara, isolati. Appena il motorino mi ha collegato col mondo degli amici, ho mollato il violino».
Le canzoni quando le hai scoperte?
«Quando ho cominciato a suonare col mio gruppo del liceo. Io suonavo la chitarra che da piccolo mi sembrava uno strumento minore, facile. Con i compagni del liceo ho scoperto il rock, un mondo che proprio non conoscevo».
Ma tuo padre era un famoso cantante popolare.
«Io non mi sono mai reso bene conto di quello che faceva mio padre. Non vedevo molta tv né ascoltavo troppa radio».
Il tuo primo guadagno?
«Facevamo concertini col mio gruppo, Onderadio, che poi diventò Percentonetto. Il primo fu nel cortile di Sant’ Ippolito, a Roma, vicino a piazza Bologna. A sentirci c’ era anche Lino Banfi. Il primo guadagno furono 250 mila lire a una sagra della salsiccia vicino a Frosinone».
Ti è mai venuto in testa che sarebbe stato meglio un lavoro diverso?
«La musica l’ ho presa seriamente solo più tardi. E comunque all’ università mi ero iscritto ad Architettura. Ma ho fatto solo due esami».
E tuo padre?
«Mi ha detto: stai attento, non sarà per niente facile».
Il nome Morandi non era un aiuto?
«Maggiore attenzione certo, ma anche maggiore critica, maggiori aspettative. E molti pregiudizi. Ogni volta ti guardano con quei sottintesi ai quali ormai sono abituato».
Tipo: sei arrivato fin qui perché sei il figlio di Morandi?
«Appunto. Devo sempre dimostrare qualcosa».
Ti viene mai in mente che un giorno potresti essere bravo, famoso e amato come tuo padre?
«Faccio fatica a prenderlo in considerazione. Ce ne sono solo tre o quattro in Italia come lui».
Tu, per natura, sei più morandiano o celentaniano?
«Un po’ più celentaniano. Ma sai, la musica di mio padre non riesco a giudicarla. L’ ho sentita talmente tanto. Anche quando ero nella pancia di mia madre. Non so nemmeno dire se è bella, se mi piace o non mi piace. C’è. E’ lì».
Ci sono canzoni che non ti piacciono?
«Ci sono canzoni che non sopporto più. Come “Fatti mandare dalla mamma”. Per non parlare di “Sei forte papà”. Tutti pensano che sia io, invece era Marianna, mia sorella. Gli amici non smettevano di prendermi in giro, poi hanno dovuto confessare che ce l’ avevano tutti quel disco».
E quelle che ti piacciono?
«Molte, spesso sconosciute. Tipo “Solo all’ ultimo piano”, oppure “Domani”. Tra quelle famose, una di quelle che non mi fa venire il latte alle ginocchia è “C’ era un ragazzo”».
Che ricordi hai della tua infanzia?
«Ricordi di due case differenti. Quando i miei si separarono ottennero l’affidamento congiunto. Io vivevo un po’ di giorni con mia madre e un po’ con mio padre».
Facevi il pendolare.
«Non ho sofferto più di tanto».
Quando ti sei reso conto che eri figlio di due persone famose?
«Da subito. Io non avevo fatto nulla e la gente mi riconosceva». Essere figlio di un cantante così amato ti pesa?
«Sono solo contento. Mi vogliono tutti bene a priori. Parto già amato anche io».
Da bambino tuo padre giocava con te?
«A calcio soprattutto. E andavamo alle partite. Io tifavo per la Roma e lui per il Bologna. Nel 1983 abbiamo seguito tutta la Coppa dei Campioni della Roma, fino alla finale persa col Liverpool».
Tuo padre era severo?
«Abbastanza. Ma niente di più di qualche sberla. Io ero un bambino bravo. Poi ero il figlio minore. Tutte le sberle se le prendeva mia sorella Marianna».
In che cosa sei simile a tuo padre?
«Siamo tutti e due molto disponibili verso il prossimo. Ma io sono più calmo di lui, ho un ritmo più rilassato».
Se lo criticano tu che fai?
«Dipende dalla critica. Non lo difendo a priori».
Quando si mise in mutande per contestare la dipendenza dall’ audience in Tv tu l’hai difeso?
«L’ ho difeso. Aveva ragione. Aveva una tesi e l’ha verificata».
Sei mai stato geloso dei nuovi fidanzati e delle nuove fidanzate dei tuoi?
«No. Fortunatamente hanno sempre fatto delle scelte che mi piacevano».
Tuo padre è noto per l’ impegno a sinistra. E tu?
«Tutti noi in famiglia siamo dalla stessa parte. Io forse sono il più radicale di tutti, ma una cosa è parlare e una cosa è fare e non sono un grande praticante. Quelli della mia generazione vivono la politica in maniera diversa. Se ne parla pochissimo, anzi zero».
E’ successo che tuo padre ti abbia detto che una tua canzone non era bella?
«Qualche volta ha criticato una mia canzone».
Fino a bocciarla?
«Sì. Ma alla fine l’ ho incisa ugualmente senza dargli retta».
E tu ascolti le sue canzoni appena composte?
«Sì. Ma io sono molto più diplomatico».
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